Fa buio presto in inverno. La stradina che fiancheggia
l’argine del fiume fa una curva a gomito verso sinistra, poco prima di casa.
Nella luce del crepuscolo hai sempre l’impressione di non sterzare e proseguire
entrando nel tronco del grande albero che blocca il rettilineo. È un gigante
centenario, ha un tronco che in due riusciremmo ad abbracciare a malapena. Un
altro albero ti aspetta nell’aia, ti saluta facendo stormire le foglie. Ti
accoccoli in poltrona, una tazza di tè profumato accanto, e la mente vaga, alla
ricerca di qualcosa d’indefinito. Ricordi fatti d’immagini nette, colorate,
calde e palpabili si susseguono. Due alberi gemelli, in un parco. Quando stavi in
piedi tra di loro potevi toccare ambedue i tronchi allargando le braccia, la
prima volta che li hai visti hai notato che il sole dietro di loro creava una
cortina di luce nella bruma del mattino. Jachin e Boaz. La scena della curva.
Ancora, e ancora, e ancora.