lunedì 4 giugno 2012

Sez. Salone del Libro, i temi proposti da Voi - " La fisica e la chimica applicate alla cucina "

                                                                       Questo tema è stato proposto da Alessio . e a lui dedicato


Siamo onesti: per accendere il fuoco sotto un pentolino d’acqua non serve un genio, basta avere il gas. Per metterci dentro due uova non occorre molto, al massimo aver presente che è meglio levarle dalla confezione. La cosa si fa più complessa quando interviene il fattore tempo, quello di cottura beninteso, che è quel fattore che ti fa la differenza tra un uovo à la coque, uno bazzotto e un uovo sodo (a parità di metodo di preparazione). Il gradino successivo è la temperatura dell’acqua: rigorosamente a 95° per preparazioni chic come le uova in camicia, le quali con un tempo di cottura maggiore diventano oeufs mollets. Questo perché la fisica è uno degli ingredienti base della cucina di ogni paese, ceto e gruppo etnico; lo è in maniera discreta ma immanente, è talmente presente che non ce ne accorgiamo e i più cucinano senza averne la consapevolezza. Entra in gioco anche la chimica, ma questa giocherà un ruolo principe in una branca specifica della scienza culinaria. 

Auguste Escoffier, Brillat-Savarin, Pellegrin Artusi, Livio Cerini di Castegnate, Ugo Tognazzi danno tutti delle regole precise per cimentarsi in un esperimento di fisica applicata che sarà presentabile e appetibile solo se riusciremo a realizzare un perfetto equilibrio termodinamico: il soufflé. Partiamo da elementi tutti rigorosamente a temperatura ambiente, sia che facciamo un soufflé di cioccolato sia che ne facciamo uno di tartufi, ossia il processo non varia se la preparazione è dolce o salata. Fondamentale è, se si parte da una base di purè di patate aver l’accortezza di lasciarlo intiepidire prima di aggiungere i rossi d’uovo, che si incorporeranno uno per volta perché un bravo sperimentatore sa bene che non bisogna variare più parametri assieme nel corso di un’esperienza di laboratorio. La fase successiva prevede la sbattitura delle chiare d’uovo per ricavarne una neve densa e fermissima: ci si può sbizzarrire sull’utensile da utilizzare per farlo, c’è chi ottiene risultati migliori con una semplice forchetta, chi si sente un po’ più sadomasochista e le frusta di gusto, chi invece è più tecnologico e adopera uno sbattitore elettrico. L’operazione di incorporare le chiare montate a neve all’impasto è di una delicatezza estrema, richiede un grado di mano ferma e gentile pari a quello che si dovrebbe avere maneggiando i seni di una monaca. La successiva fase richiede un ambiente, in questo caso un forno, perfetto: la cottura del soufflé dev’essere una trasformazione adiabatica, e qualsiasi infinitesimale variazione di temperatura imprevista farebbe irrimediabilmente smontare il preparato come una chioma cotonata anni ’80 in una raffica di Bora di Trieste, che per l’appunto è un vento catabatico. 





La fisica pervade la cucina e la chimica la segue, in alcuni punti molto discretamente, ma è nella pasticceria che gli spettri di Antoine de Lavoisier, Amedeo Avogadro, Jean Gay-Lussac e Giulio Natta aleggeranno sempre attorno allo sperimentatore. I maestri gelatieri in particolare sono ampiamente debitori di Gay-Lussac, che per primo ideò un sistema di graduazione per stabilire la densità e il peso specifico dei liquidi; suo figlio spirituale da includere nelle preghiere della sera di qualsiasi novello Procopio Cultelli o Tortoni de noialtri è Antoine Beaumé, il padre dei gradi omonimi che indicano, secondo precise tabelle, la percentuale di un soluto in un solvente: il liquido sciropposo che faremo diventare gelato di frutta dovrà misurare circa 20° Bé (gradi Beaumé) quando lo andremo a mettere nella gelatiera, il tutto a temperatura ambiente, ossia una media di 15° C, con un minimo di 8° e un massimo di 22°. Lo sciroppo di zucchero che tanto si usa è un preparato di densità circa 36° Bé, fatto sciogliendo 1,5 kg di zucchero in un litro d’acqua: è meglio farlo a freddo, anche se è un’operazione lunga e laboriosa degna di un amanuense, si evita che lo zucchero scurisca e che si trasformi parzialmente per effetto del calore e della bollitura. 

Nelle preghiere serali di cui sopra è d’uopo includere la grande Caterina de’ Medici, che insegnò ai civilissimi Francesi l’uso della forchetta, l’amore per il caffè e li mandò in visibilio con gelati e i sorbetti. Caffè e sorbetti, però, in Italia in generale e in Sicilia in particolare non giunsero da Firenze ma dal bacino del Mediterraneo: arabi e persiani usavano fare bibite al gelo, sorbetti, gelati, granite. La parola “sorbetto” deriva dall’arabo “scherbetldy”, che era un funzionario addetto alle bevande ghiacciate di sultani e califfi… e qui chiudiamo la parentesi storica. 

In realtà, la scienza regina che regge la cucina non è la scontata gastronomia, non è la fisica, non è nemmeno la pignolissima chimica della pasticceria: è vecchia come l’universo e ne abbiamo coscienza da quando i primi ominidi tracciarono dei glifi sulla roccia, è la magia. Magia di quella vera, non una semplice idea fantasiosa da favola: chi di noi non vorrebbe poter agitare un po’ le mani in aria urlando “Scial Scial Scialanda” e far apparire dal nulla una cena completa per dodici persone? La magia consiste, semmai, nell’operare con dei materiali esigui (una scatoletta di ceci, una di fagioli e una di pelati) per trasformarli tramite l’applicazione di una volontà ferrea (la nostra) usando le proprie energie, originata dalla connessione personale con il divino (per esempio divinità come Annapurna, Dagda, Brigantia hanno energie legate al cibo e al sostentamento), catalizzata dalle erbe adatte (dalla cannella alla menta, al prezzemolo all’aglio, alle olive con le quali è fatto l’olio, e così via) e sostenuta dalle energie dell’acqua e del fuoco, per arrivare all’obiettivo di servire a quattro persone una cena improvvisata di sapore orientale, mettendo in tavola un curry di fagioli e humus che non tradiscano il fatto di non essere figli di legumi freschi, magari grazie ad una fascinazione. Parola di strega! 



MM

8 commenti:

  1. SONO UNA STREGA!! datemi una scatoletta e Vi realizzero' il pasto, e dopo anche MASTRO LINDO in persona perche' schizzo parecchio olio in giro :)

    La chimica e la fisica la usano gli chef PIRLA
    come BOTTURA ( cucina MOLECOLARE) io sono ancora per una bella e sana peperonata!

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    1. La cucina molecolare succhia! Sarà mica cucinare quello. Come certe ricette di Gualtiero Marchesi, "mettete a cuocere SETTE penne a testa".. ma che è? cucini per la Barbie?

      Io preferisco di gran lunga cuochi come Luisanna Messeri (che quando fa la pasta a mano finisce che si sporca di farina in posti che in tv dovrebbero restare intonsi), Laura Ravaioli (anche se tende ad essere un po' asettica), Simone Ruggiati (pazzo come un cavallo), ma soprattutto il beneamato Pellegrino Artusi: roba sana, senza fronzoli e ciarpame moderno

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    2. Benedico Artusi e Melon. Dunque si anch'io adoro l'Artusi, maestro e vera vera cucina

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  2. ahahhaa, questo post mi piace assai assai,mi piace come Melon sappia intrattenere anche quando sembri aver intrapreso la via del saggio.

    la maneggiata dei seni di monaca è strepitosa!!!

    Wud, pensavo citassi la pisellata...
    GD

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    1. La PISELLATA era un'imitazione di quella buona buona che fa la Peppa e che un giorno mi fara' assaggiare ! Mica potevo citarla a tradimento!!

      Comuqnue non c'e' stato modo ma sono molto brava con la PEPERONATA, roba altamente VEGANA ma buona :)

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    2. Mi piace una wood impegnata in cucina! Una Peppa con pisellata ...anche io sono una che in cucina non scherza: chimica e fisica...il fuoco riduce e amalgama la chimica degli ingredienti...insomma: buon appetito!
      Aggiungerei che il mauro spazia terribilmente bene tra i secoli dell'alta cucina...
      Degli arabi non hai parlato e nemmeno degli orientali...

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    3. Picchieremo il melon per avere ignorato certè bontà quali:
      la zuppa di pinne di pescecane
      le stigghiole
      quel frutto schifoso che dicono che puzzi di escrementi.
      gd

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    4. le pinne di pescecane le ho assaggiate quando ero militare, quindi oltre vent'anni fa: una delusione.

      ignoro le stigghiole, di che si tratta?

      il frutto schifoso è quello di cui parla Jodorowsky nel Figlio del giovedì nero?

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