Svolgimento:
Custu è u contu de forredda …
(questo è un racconto da focolare …)
Le avevano dato quel nome perché quando voleva che qualcuno notasse la sua presenza cominciava a cantare, e cantava forte, a squarciagola dalla mattina presto. Aveva nove fratelli, tutti maschi, lei era la più piccola e l’unica femmina. Sua mamma era morta nel darla alla luce come in tutte le storie tristi che si rispettino e, non appena Cruccueu fu in grado di reggersi in piedi da sola e di ficcarsi il cibo in bocca con le sue stesse mani, fu lasciata al suo destino a badare a se stessa. Così, d’estate, ma anche in autunno, inverno e primavera, dalle prime luci dell’alba, lei era per strada che correva nelle cunette poco profonde dove scorrevano urina e acqua sporca e dove lei, comunque, sguazzava felice incurante del lezzo e nella stagione giusta anche del freddo. Solo grazie alla sua incapacità di stare un solo minuto ferma riusciva a preservare il suo corpicino dagli agguati di germi e malanni. Le scarpe non sapeva cosa fossero e anche dei vestiti aveva una conoscenza del tutto immaginifica. Lei, al mattino, apriva i suoi grandi occhi neri e cominciava a raccattare quel che i fratelli avevano gettato alla rinfusa sul pavimento la sera, prima di cadere addormentati nelle due stuoie, un mucchio a destra e uno a sinistra, dell’unica stanza che fungeva da cucina e camera per dormire.
Cruccueu, quindi, aveva un modo di indossare quelle robe del tutto originale e nessuno del resto era mai venuto a rimproverarla per come le metteva.
Mai un rimprovero, ma quell’estate qualcosa di nuovo era successo.
Tzia Assunta Pibiri glielo ricordava ogni anno.
Tzia Assunta Pibiri non dormiva più di due ore per notte e quando Cruccueu passava di fronte alla finestrella della sua casa la trovava già affacciata:
- “Cruccueu, oi fai a bona po’ sa festa de mamma tua” (Passerotto, oggi fai la buona per la festa della tua mamma), così Cruccueu sapeva, senza aver mai visto calendario, quando arrivava quel giorno.
Tutta felice per il giorno di festa, se n’era andata al fiume a fare il bagno perché era una giornata molto calda, mentre giocava nell’acqua bassa le era passato davanti un oggetto grande e giallo, tondo come il sole quando lo guardi con gli occhi socchiusi, aveva allungato le mani per prenderlo ma non arrivandoci si era spinta un po’ più avanti, poi ancora un po’, poi un po’ troppo! Si era trovata ad annaspare nell’acqua un pelo più alta di lei e – aveva voglia di turbinare con le sue braccine su quell’acqua scura e limacciosa – andava giù in fondo, ancora su e giù, poi solo giù. La luce del cielo cominciò a farsi piccola, poi grande, poi di nuovo piccola, vide una scia di piccole bollicine argentate salire verso un punto bianco, poi solo nero.
- “Cruccueu, Cruccueu” (Passerotto, Passerotto)
- “Chini esti fustei?” (chi siete voi?) chiese la bambina.
- “Seu mamma tua fillixedda mia, bei cun mei” (sono tua madre figlioletta mia, vieni con me)
- “No mammai, deu no bengiu, abarru innoi” (no mamma, io non vengo resto qui)
- “Poitta, fillixedda mia?” (perché figlioletta mia?)
- “Esti fustei ca s’ind’esti andada, torridi fustei” (siete voi che siete andata via, tornate voi)
- “Chi tui oisi chi deu torri, deu torru, ma su primu de Donniassantu” (se tu vuoi che torni io torno ma il primo di novembre)
Cruccueu si svegliò sulla riva del fiume come da un lungo sonno, si ripulì dei lunghi filamenti che le si erano incollati sulle braccia e sulle gambe e senza dir bah o mah se ne tornò a casa cantando come ogni giorno.
Nel mese di ottobre il terzo dei suoi fratelli che si chiamava Terzu, si ammalò gravemente, una febbre fortissima lo prese e non lo lasciò mai, le donne anziane del paese, passando di fronte alla porta della casa di Cruccueu, si facevano la croce e dicevano le preghiere, ma non c’era niente che rinfrescasse le membra roventi di Terzu.
Tutti i fratelli stavano attorno al letto di Terzu e piangevano, tutti tranne Cruccueu.
- “Tanti no morridi finzas a su primu de donniassantu, su primu de donniassantu beidi mammai a ndi du liai, liada a Terzu e torra mammai” (tanto non muore fino al primo di novembre, il primo di novembre viene mamma a prenderlo, prende Terzu e torna mamma)
Tutti si facevano il segno della croce e dicevano in coro:
- “Cruccueu baidinci, baidinci Cruccueu!” (Passerotto vattene, vattene Passerotto)
Il primo di novembre Cruccueu uscì di casa che era ancora notte fonda. Dal fondo della via vide arrivare una lunga processione di gente tutta ben composta con gli abiti della festa. Camminavano in silenzio come se cercassero qualcosa, si avvicinavano ad ogni porta ma poi, quasi ripensandoci, tornavano sui propri passi.
Cruccueu cercò tra quella gente silenziosa per vedere se c’era sua madre ma non vedendola continuò per la sua strada.
Aveva deciso di andare nel bosco di Don Matteo per prendere le castagne.
Mentre raccoglieva le castagne un gatto selvatico uscì d’improvviso da dietro un cespuglio facendola spaventare a tal punto che guizzò sopra il primo albero che aveva di fronte, salì, salì, in alto, in alto, stava per mettersi a sedere su un grosso ramo quando perse l’equilibrio e fece un volo lunghissimo cadendo rovinosamente a terra.
Silenzio.
Una voce le parlava tranquilla, la riconobbe subito.
- “Terzu sesi tui?” (Terzu sei tu)
- “E chi deppid’essi, seu deu, seu deu” ( e chi dev’essere, sono io sono io)
- “Asi biu chi c’esti?” (hai visto chi c’è?)
- “Eh, deu nau chi d’appu bida, mammai, da bisi tui puru?” (eh, io dico che l’ho vista, mamma, la vedi anche tu?)
- “Ellusu, deu du scia ca deppiada bei, e benida po’ t’indi liai” (“certo” io lo sapevo che doveva venire, è venuta per prenderti)
- “No Cruccueu … seu benida po’ ndi liai a tui!” (no Passerotto … sono venuta per prendere te!)
se mi si permette...trovo una forma di appesantimento del testo inserire nel corpo narrativo le traduzioni...
RispondiEliminaMeis
Si ma senza traduzione , io, Sabauda DOCG, non avrei capito niente di niente!
EliminaE quindi quale soluzione proporresti?
l'uso esclusivo dell'italiano...non so, ma non vedo indispensabile il dialetto qui.
EliminaMa è opinione molto personale
Meis
Grilletto, io mi trovo d'accordo con Meis. La storia è molto toccante, ma secondo me il dialogo doppio le fa perdere ritmo.
EliminaTrattandosi di un racconto del focolare, quindi presumo tradizionale, forse poteva essere tutto in lingua sarda, con traduzione integrale a seguire.
(emoticon del focolare) RQ
Pienamente d'accordo con il fatto che la traduzione messa così è orrenda ma volevo rendere partecipi anche altri lettori che non fossero sardi.
EliminaAl contrario di quel che dici Meis per me il sardo in questo contu de forredda era non solo indispensabile ma vitale.
ATTENZIONE:
Il Sardo non è un dialetto ma una LINGUA e non perché lo dico io, ma perché così è decretato da chi di questo argomento se ne occupa su base scientifica.
E' la mia lingua, lingua che è stata AMPUTATA a me e ai miei conterranei con immani sofferenze e senza la pietà di un'anestesia. Io voglio mantenerla viva perché visto che tutti o quasi qui la parliamo E' viva e vegeta.
Caro RQ il racconto ha suggestioni tradizionali ma è inventato di sana pianta.
Il giorno in cui si commemorano i morti si narra che i morti passeggino per il paese ed attendano, come quando erano in vita, alle proprie occupazioni. Nelle case si lasciava la porta aperta e la tavola apparecchiata con i piatti pieni di cibo per accoglierli. Alcune persone hanno la virtù di vederli, cruccueu è una di queste persone.
Avrebbe potuto essere scritto completamente in sardo (ne fossi capace, il sardo ha delle regole grammaticali precise, come ogni lingua appunto, non le ho studiate e c'è tutta una diatriba sulla lingua qui, per ora dovremmo accontentarci della LSC Limba Sarda Comuna, ma non è questione che possa spiegare in due righe) non faccio cose che non sono capace a fare, scrivo così come pronuncio con la variante del luogo in cui vivo, un pastrocchio, ma per quanto mi riguarda ha un senso politico.
ho sempre misurato sulla faccenda campanilistica dei dialetti o delle presunte lingue "certificate" o meno, tutto il provincialismo culturale del nostro Paese...sorry...e non andrò oltre nell'argomento :)
EliminaMeis
Nessun campanilismo Meis. Non hai bisogno di scusarti. Questione di identità. La mia è questa.
EliminaLe storie da focolare hanno il loro fascino e il personaggio ricorda un po' i gemelli terribili della trilogia di K.
RispondiEliminaTraduz o non traduz o come mettere la traduz: credo che il compromesso della traduz in parentesi sia il migliore (sarebbe stato peggio dover andare a piè di pagina per ogni nota).
Mi chiedo se, così come Verga ha reso l siciliano senza una parola di dialetto, anche in sardo ci sia un modo italiano di rendere il sardo.
Una cosa che non mi piace: se togliamo le parti in dialetto sardo, questo racconto potrebbe essere ambientato in Veneto o in Puglia. Avrei gradito un po' di sardità anche nelle parti in italiano.
ultima cosa: "lasciata al suo destino a badare a sè stessa" è ridondante.
Al di là di tutto, se fossi attorno ad un focolare, ascolterei e poi chiederei di averne raccontata un'altra. Grill, hai un focolare per ospitare tutta la classe?
GD
Aveva nove fratelli, tutti maschi, lei era la più piccola e l’unica femmina.
Eliminae qui GD non c'è niente di ridondante?
Il camino è grande ma se dovesse arrivare qui tutta la classe ne trovo uno enorme senza problemi!
EliminaScusa se ti sto rispondendo a rate, ma secondo me non c'è un modo italiano di rendere il sardo se non uno molto buffo, noi sardi ci pregiamo di parlare un italiano sostanzialmente corretto (fatto di cui alcuni spesso si stupivano tempo fa) la spiegazione è semplice, l'italiano noi lo abbiamo appreso in passato esattamente come lingua altra, perché questo era, non potevamo mischiare le due cose, le parole erano diverse, le regole grammaticali erano diverse, e le abbiamo imparate a suon di bacchettate.
EliminaCi si può giocare, si può fare e mi piace farlo, fa ridere, ma qui non aveva senso, prendi certe frasi per cui siamo ironicamente noti come ad esempio "capito mi hai?" in questo caso l'espressione è tradotta letteralmente, noi se dobbiamo chiedere a qualcuno "sei sardo?" diciamo "sadru sesi?" ed è corretto così.
Se vi proponessi un testo completamente in sardo, scritto come si comanda, non capireste niente, le due o tre battute del racconto sono intuibili. Verga ha reso il siciliano senza una parola di dialetto.
Io non posso farlo, perché il sardo non può rendersi in italiano, deve essere TRADOTTO come una qualsiasi altra lingua in italiano.
la frase che tu riporti non mi pare ridondante...
Eliminabbene, troviamo 'sto camino che la Sardegna merita!
gd
c' cazz d' dialett.
RispondiEliminaGrilletto, le parti in dialetto le avrei intuite lo stesso, ma non sono sabauda come la wood.
RispondiEliminaUna cosa che non ho capito : che filamenti ci sono in un fiume?
Racconto molto bello, a quando il prossimo?
Sabrina
Ecco!! abbiamo disquisito per 13 commenti su: dialetto si, dialetto no, ma nessuno ha scritto se ha trovato bello o meno il racconto.
EliminaPS. A mi, ale' piasume
Ricominciamo con il dialetto.
EliminaDovresti mettere tra parentesi una traduzione per noi del profondo sud.
(emoticon cazzeggiante) RQ
PS. anche a me è piaciuta la storia, inquietante e toccante. Vorrei sentirla davanti al focolare, ma con tutte le luci accese.
Azz, sarà perchè l'ho letto velocemente ma io non sarei riuscito a capire le parti in dialetto senza la traduzione. Purtroppo vengo dalla stessa scuola di GD (anche senza "stessa") e sono d'accordo con lui sulla questione dialetto. Senza il dialetto si potrebbe pensare alla sardegna oppure no?
RispondiEliminaIn ogni caso, Grilletto, il pezzo mi fa pensare a una fiaba quasi inquietante. Mi piace molto.
Ciao!
Grazie a tutti. Prima o poi spero che capiti di leggerla assieme, di fronte a un focolare dentro a un nuraghe magari, uuuuuhhhhhhh.
Eliminasupreme
RispondiEliminagolden goose sneakers
bape
palm angels
kobe shoes