Tutto era al suo posto: la tovaglia di lino azzurro polvere con
i ricami écru, i piatti del servizio buono col bordino in oro zecchino, i
calici leggeri di cristallo sopravvissuti del servizio che la mamma aveva
portato dalla Francia, la bottiglia per il vino col tappo che s’incastrava
sempre, le posate riesumate dalla loro custodia in velluto blu; l’albero di
natale con le lucine che sfarfallavano a intermittenza così rapida da apparire
psicopatiche, i festoni dorati drappeggiati sul lampadario in stile olandese, i
pacchetti sotto l’albero come di prammatica. Guardavo le mie sorelle che li
incartavano, una diceva: “Guarda la raffinatezza, il pacco della nonna è verde
militare, ci metto anche le stelline dorate così magari le ricorda Lembke.”. “Chi
è Enchel?”, chiedo io. “Un amico della nonna”, mi risponde. Non ricordo quanti
anni avevo, ma so che ero alle elementari: vedevo mia nonna Lisa come una donna
cattiva, e dubitavo che avesse avuto amici. La stavamo aspettando, sarebbe
arrivata assieme alla zia Jolanda e ai tedeschi, che erano dei cugini di mio
padre: Jolanda col marito Karl Heinz e la figlia Ariane, e Benito con la moglie
Linde.
La mamma arriva dalla cucina col vassoio degli antipasti,
semplici tartine e amuse-geule. Dopo
è la volta dei tortellini in brodo: mai troppo abbondanti, la mamma ha sempre
avuto la fissa di tenersi scarsa con le dosi perché non voleva avanzi, e per
abitudine lasciava sempre una mezza porzione nella pentola a languire in
cucina, sola e triste e perfettamente inutile per chiunque avesse voluto un
bis. Il vino iniziò a fare effetto e rendere loquace mio padre e suo cugino: si
alzò il sipario sullo spettacolo di Benito & Benito, nel quale ognuno dei
due doveva dimostrare all’altro di essere il migliore in quello che faceva. Le
donne legavano poco: Linde arroccata nella sua maschera apotropaica aveva un
costante ghigno di disprezzo, mia nonna beveva come un carrettiere e faceva
pesare a nuora e nipoti ogni parola che dicevano e ogni posata che doveva
spostare, le due Jolande, zia e nipote, erano le sole tranquille e si prodigavano
a fare da interpreti per Karl Heinz e Linde che non parlavano italiano. L’arrivo
dell’arrosto con le patate fornì un diversivo, per pochi minuti si sentì solo
uno schioccare di lingue e masticare di ganasce. Il vino ruscellava allegro. Io
ero sempre più distratto, avevo voglia di andare a giocare con i cani; il
cicaleccio della tavola divenne quasi un frastuono, sembrava il rumore che fatto
dalle fruste del frullatore quando la mamma montava le chiare a neve nella
terrina grande.
È la volta del pandoro con lo spumante, con la scenetta
rituale di mio padre che stappa la bottiglia facendo il botto e mia madre che
teme che il tappo centri uno dei vetri del mobile della sala. Finalmente il
caffè e il liquore: il pranzo stava per finire e avremmo potuto aprire i
regali! Non ricordo che cosa mi sia stato donato, ricordo solo la
profusione dei pacchetti dei tedeschi: un po’ più che benestanti, ci tenevano a
sottolinearlo.
La nonna fece un commento sgradito di troppo, papà la rimise a
posto; lei imbastì una pantomina degna di Francesca Bertini, barcollando per la
sala in mancanza di tende cui aggrapparsi come l’attrice del muto, e corse a
buttarsi sul primo letto che trovò vagolando per casa. Guarda caso era il mio.
Se ne stava lì, afflosciata, con le braccia incrociate sul viso e borbottando
qualcosa in tedesco. “Unzi aus”, o pressappoco.
Mio padre aprì il regalo di Benito, erano dei sigari. Il
cugino era molto orgoglioso dei suoi sigari, e li strombazzava ovunque a ogni
minima occasione. Vidi mio padre succhiare da ambo i lati tre sigari prima di
darne uno ciascuno ai cugini, provai un vago senso di nausea. L’odore del fumo
del tabacco non poté che peggiorarlo. Dalla mia camera giungeva di tanto in
tanto un gemito più forte, un ululato della nonna. “Unzi aus”. Mia madre e le
sorelle avevano rigovernato, sul tavolo erano rimasti i bicchieri e le
bottiglie. “Unzi aus, unzi auuuuus”. La zia Jolanda ci informò che, forse, sua
sorella aveva voglia di tornare a casa. Papà disse che sarebbe stato bene.
“Unzi aus, Karl”. Karl Heinz era un vero signore, e sentendosi invocare
direttamente ci disse che avrebbero fatto meglio a rientrare perché per
accompagnare a casa Tante Lisa e Tante Landa c'era un po’ di strada da fare.
La tribù se ne andò; appena chiusa la porta mio padre si mise
a schiacciare un pisolino, sentii mia sorella commentare che “Tante Pesante
Lisa” se n’era finalmente andata, ed io che ero rimasto solo in sala da pranzo ebbi
un’idea. Goloso, mi andai a fare il giro dei bicchieri del vino per leccare le
ultime gocce rimaste sul fondo. Lasciai da parte un calice che aveva del grasso
rosso sul bordo, era quello di Linde che sfoggiava un trucco pesante come una
colata di malta, neanche si fosse messa il rossetto con una cazzuola. Mi diressi
sul bicchiere accanto, ma udii alle mie spalle la voce perentoria di mia madre,
la quale mamma scrutava tutto come l’occhio di Sauron: “Metti giù. È il
bicchiere di tua nonna che ha il gancio della dentiera, non è igienico”.
Melon, questo post è ricco di immagini che decorano un albero enorme. E forse proprio per il fatto di essere "enorme", l'ho trovato un po' confusionario...però ci sono degli accumuli che meritano tantissimo.
RispondiEliminaprobabile, è come i nostri pranzi di famiglia. Non sai che relax non averne più una
EliminaDal sito di Ferdinando Camon, www.ferdinandocamon.it, il tenero Mauro consiglia questo articolo:
RispondiElimina"Il Quinto Stato" e "La Vita Eterna": l'assoluzione dei colpevoli di strage in Germania
http://www.ferdinandocamon.it/articolo_2007_09_07_Fonti.htm
Melon mi e' piaciuto molto. Leggevo ed era come se stessi guardando un film.Ho immaginato i vestiti eleganti ed una tavola elegantemente imbandita.Ho sentito il vociare e percepito l' imbarazzo.
RispondiEliminaBravo davvero! Si ci sono tante belle immagini e spero nel seguito.
Wood
molto umana, Woody. Un seguito strictu sensu non credo, ma ti regalerò il prossimo ricordo appena lo ripescherò
EliminaQuesto post mi piacque molto, per me siculo è divertente scoprire un natale al confine, con gente mezza veneta e mezza tedesca. Mi ha ricordato un po' anche certe descrizione di Giorno dei morti, di Joyce.
RispondiEliminaLa battutina finale invece non mi ha entusiasmato, forse un finale nebbioso mi sarebbe piaciuto di più, ma questa è una notazione assolutamente superflua.
O volendo chiudere con la battuta, qualla della Tante Pesante è ottima (mi ha fatto ridere, proprio come certe cose della wood)
gd
Mi rimase impressa soprattutto perché mia madre la usò ancora, una volta che venne a pranzo suo fratello (cioè mio zio) con la suocera. Ricordo che si lamentava che la signora Rosa le avrebbe rovinato il bicchiere col gancio della dentiera: a distanza di oltre trentacinque anni non ho ancora idea di che cosa possa essere.
EliminaIn quell'ammonimento schioccato come una frustata c'è tutta la perfidia del tutto naturale di una che, non potendo dire "tua nonna è una stronza", ti instilla l'idea che la nonna in questione sia una poco raccomandabile. Cosa verissima, peraltro.
in ogni famiglia c'è sempre un concentrato dei diversi tipi di essere umani... bello poter crescere in famiglie numerose dove tutte gradazioni sono lì a portata di mano, e fare esperienza subito.
Eliminaa volte penso a cosa si perdono i figli unici di figli unici che scopriranno certe personalità contorte solo in ufficio o a scuola o boh..
gd
Ben scritto. La battuta finale è troppo lunga e perde un po' di efficacia.
RispondiEliminaArrivo in ritardo per dire che anche a me è piaciuto questo pezzo. Mi è sembrato tutto descritto benissimo, in modo volutamente caricaturale e, grazie alla nonna, me lo sono immaginato come un filmino di famiglia in bianco e nero d'altri tempi. Per rigirare un po' il coltello, non volermene, concordo anch'io sulla battuta finale che poteva essere più incisiva. (emoticon nostalgia) RQ
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