Quello che le capitò, a Feliche la figlia dell'Almirante di Spagna, non fu una cosa che la creatura lo capì subito. Come poteva figurarselo, lei che era solo una bambina, che il figlio che poi partorì le sarebbe entrato nel ventre così? Capitò una notte che come un angelo dormiva in cella, nel monastero. Perché Feliche deve farsi Abbadessa. Non monaca come tutte le altre, ma di diritto Abbadessa, per la ragione della nobiltà. Perché Feliche c'ha la disgrazia. La pena d’essere nobile e ricca, e lo dico io, la balia, che la bimba la crebbi, e che sono solo una poveraccia.
Una notte di luna, diosaccome passando sopra i tisici corpi di cellarie novizie, quel lestofante nella natura le entrò e Feliche provò terrore e dolore. Mentre il picciotto le trafficava di sopra, Feliche buttò l'occhio alla cinta, che quello svelto aveva sguainato e lanciato incurante in un canto. E disse Ah. La biscia. Ah, è quello il serpente. Lo stesso per cui Eva si perdette per sempre e lo stesso che il cuoco le cucinò in quaresima per guarirla dalla concupiscenza.
Che Feliche avesse occhi di zucchero, il cuocomonaco se n'era accorto. E quel peso non lo portava, non trovava ricetto nel sacramento, le penitenze che si infliggeva più a fondo del fondo lo precipitavano. Quello sguardo di favo stillato lei glielo poggiava sul collo peloso, e lui si faceva appiccicoso di voglia. Credeva Feliche avidissima d'uomo, mentre lei era solo perplessa. Che un maschio assomigliasse tanto a un verro. E il cuoco sudato e risudato. E chi gli passava accanto imbarazzato.
Il simile si cura col simile, gli aveva prescritto lo speziale, una notte che il cuoco febbricitante e infoiato aveva chiesto consiglio e un rimedio adeguato. Ed eccola pronta dalle cucine, fumante e liscia, la biscia a pezzi, nel piatto fondo della concupiscente. Due foglie d'alloro a compassione. Alle compagne ridevano i denti marciti, le monache anziane bisbigliavano pietas ma più che pietas disprezzo e vergogna, mentre Feliche si calò il serpente. Un pezzo per volta, vischioso e rotondo, con schiocchi di gola come fosse acqua. E alla fine si pulì la bocca. Tutte lasciarono pendere le labbra fino all'ora terza.
Maria Rita Battaglia
Maria Rita, vecchia amica della 18etrentaedizioni, ha una capacità di usare le parole come raramente capita di trovare. In una piccola pagina c'è tutto un mondo, antico, tenebroso, che trasuda innocenza e sensualità. "La credeva avidissima d'uomo ed era solo perplessa" : come accade da sempre. Spero di averi ancora in classe con noi, cara bambina.
RispondiEliminaSe ho capito bene quello che ho letto, dietro quel linguaggio ricercato e antico, c'è una storia da fare accapponare la pelle. (emoticon quaresimale)
RispondiEliminaMi hai ricordato il Gadda di La cognizione del dolore... inzomma (per me è il top del complimento)
RispondiEliminagd
Ci sono testi che possiedono una natura ribelle e sfuggono alle regole della prosa (che, ad esempio, bandisce ripetizioni,rime o assonanze)Sono i pezzi che io chiamo "nobili". Se posso fare un paragone per farmi capire, cito il libro di Antonio Tabucchi "Sostiene Pereira" (magari qualcuno l'ha letto e coglie) è un vero capolavoro scritto con una infinità di "errori". Il pezzo di Maria Rita per me è un pezzo "nobile" (appartiene, cioè, ad un alto rango). Per il resto concordo in tutto con il commento di RL
RispondiEliminaGrazie. A Roberta Lepri e ai lettori, commentatori e non. Faccio tesoro di quello che avete scritto.
RispondiEliminaMaria Rita B.
Argh, Maria Rita, continua a scrivere per la maestra. Questo pezzo attrae e però allo stesso tempo, quando ne sei dentro, ti confonde. Questa scrittura è potente, dove sei stata finora?
EliminaBrava, brava, brava!