mercoledì 26 settembre 2012

Tema: Impatto


Racconto pubblicato nell’antologia “Nave senza rotta in un mare di sogni”, edito da Del Bucchia Editore, da un’iniziativa di Pizza&Letteratura. La cornice narrativa è quella di una nave da crociera e successivo naufragio. 


La nave lentamente si avvicina alla costa. 
Lentamente, inesorabilmente, va per salutare la terraferma. 
Ma sarà un saluto troppo focoso,come un bacio insopportabilmente violento,
un lacerarsi di labbra, uno sbattere di denti contro denti.


I

Aria piena di sapori forti, voci concitate e un via vai frenetico, incantato. Camerieri, sguatteri, cuochi e aiuto cuochi che corrono, vanno e vengono. Siamo nel bel mezzo del servizio. Lo chef urla ordini, manco fosse un generale. L’unico che ha i piedi ben piantati a terra è Guido, che butta anima e sudore nel lavorare di polsi e di braccia, nel grattare frenetico quei piatti, quelle pentole, quel ferro e quella ceramica unti di sudiciume da ristorante. Martina gli passa accanto, un fulmine. Guido per un attimo freme, le si accartoccia dietro, poi la sbircia di riflesso nello specchio lurido che campeggia in cucina, mentre lei entra in scena nella grande sala da pranzo della nave.
Schiena dritta, portamento elegante, i capelli crespi raccolti in una crocchia, il vassoio fumante nell’incavo di un braccio, la mano che rilascia abilmente sul piatto la portata – quaglie in agrodolce – mentre il grasso omone si lecca i baffi, seduto sul suo trono, la fronte che gli sgocciola del sudore della digestione. Martina arriccia il naso, sudore misto a dopobarba, un fiotto disgustoso nel grande salone che odora di pulito e roba buona da mangiare. Poi di nuovo via in cucina, prende un altro vassoio dal carrello et voilà,  ancora a servire abilmente – questa volta il contorno: spinaci – al tavolo dell’omone panciuto, che si strafoga, rosso in faccia, quasi in apnea, continuando a sgocciolare. E sua moglie che spizzica compiaciuta i suoi grissini. Siamo in crociera, Vittorio, siamo in crociera!

“Arrosto al tavolo 23”. “Acqua frizzante al tavolo 37”. “Chardonnay al tavolo 7”. Via, via, sveglissima, nessun segno di fatica. Sempre sorridente con i clienti. Sempre sorridente con tutti. Martina alla mano, dolce, gentile. Perché Guido con lei si accartoccia? Perché con Francesca, per esempio, con Francesca cameriera piccola e carina, questo non succede? Gli passa accanto in questo momento, Francesca. Gli passa accanto e Guido le afferra un braccio e le picchia dolcemente la testa con le nocche. Lei prende la rincorsa e gli piazza un pugno in mezzo alla schiena. “Che scemo che sei!”. Lui fa la mossa di toccarla ancora con le mani unte di grasso e lei scappa via ridendo. Lui gode ancora per un attimo quel suo culetto tondo, quella sua schiena snella, e poi di nuovo giù a capofitto nel lavoro, ora alle prese con quel pentolone enorme, luccicante di sporco, che sembra quasi sfidarlo. Ci si infila con tutto il torace finchè non si vede più la testa. Gratta la roba appiccicata agli angoli, sente i muscoli dell’avambraccio pulsare, quelli della schiena tirare. Poi alza la testa, e c’è di nuovo Martina che gli passa accanto, veloce e sfuggente come un coniglio. Lei però stavolta si ferma un istante, lo guarda e gli sorride – deve essere proprio buffo, così, con la testa dentro il pentolone. Lui accenna un sorriso ma poi distoglie gli occhi. Il sorriso gli esce male, accartocciato. Lo chef urla: “Tavolo 14!”. Lei vola via in sala, su un braccio l’ennesimo vassoio. Lui riesce a dare un’ultima occhiata allo specchio, scrutando ancora per un attimo quella sua camminata aggraziata, quell’ancheggiare sinuoso, sottile e sensuale.

Il tavolo 14 è lungo lungo. Le famiglie cominciano ad allentarsi le cinture, a sbottonarsi i panciotti, a togliersi le cravatte. Facce rosse e sazie, discorsi rilassati. È il momento del dessert. Martina distribuisce le fettine di torta gialla – sarà crema pasticcera – ma c’è uno strano tremore sottopelle che la agita. Potrebbe dirlo con certezza, Guido il lavapiatti non usa nessun profumo. Nessuna lozione, dopobarba, acqua di colonia, deodorante. Niente di niente. Eppure profuma lo stesso, lo circonda un afrore strano che lo avvolge come un’aura. Lo strano tremore sottopelle non accenna a diminuire.
Guido non usa nessun profumo ma profuma lo stesso, come Lui, l’Altro, che allo stesso modo profumava ma non usava nessun profumo, che allo stesso modo lo circondava quell’afrore strano che allo stesso modo lo avvolgeva come un’aura. Lui che “Tesoro mio, chi si profuma troppo si nasconde, si vergogna di se stesso!”. E lei che diceva: “Sì, quanto hai ragione amore mio”, e lo abbracciava, lo stringeva forte e si accoccolava nel suo placido focolare.

E lei era felice così, accoccolata nel focolare, con Lui, in Lui.

Lui le diceva vieni da Me, e lei andava da Lui.

Lui le diceva abbracciami, stringimi forte, e lei Lo abbracciava, Lo stringeva forte.
Lui le diceva fai l’amore con Me, e lei faceva l’amore con Lui.
Lui le diceva vattene che ho da fare, e lei se ne andava, perché Lui aveva da fare.

II

Chino sulle sue pentole, Guido pensa che è ingiusto. Ingiusto che la cosa più bella della nave passi le sue giornate a servire ai tavoli. Ingiusto e assurdo, poi, che ogni sera, quando finisce il servizio, Martina insista che deve restare in cucina per le pulizie finali, deve sporcarsi, deve sfinirsi nei lavori più umili. Nessuno riesce a fermarla, nemmeno lo chef che ogni volta arriva e le ordina di andarsene, perché  il suo turno è finito. Ma lei se ne frega. E va a infilarsi in quello sgabuzzino dove ci sono i piatti nuovi ammonticchiati. Piatti su piatti, un armadio pieno. Entra lì cameriera di classe e ne esce sguattera, lavapiatti, donna delle pulizie. Si toglie la camicia e si infila una maglietta bianca fatta apposta per sudarci dentro. Poi gli si mette accanto e insiste che deve dargli una mano.“Fammi un po’ di spazio, fammi un po’ di spazio”. “Via che poi mi licenziano!”. Lei lo fissa con quegli enormi occhi neri, interdetta. Anche Guido resta interdetto. Perché lo fa? Perché  vuole stancarsi così? Cos’è quella richiesta di aiuto in fondo al suo sguardo? Cosa sono quegli improvvisi lampi di spavento dentro i suoi occhi? Perché Guido non la prende, la bacia e le dice tutta la verità? Che a tutto c’è un limite. Che la cosa più bella della nave non può, cazzo, non può insozzarsi così.

Ginocchia a terra, come a espiare una pena, Martina si mette a lucidare piastrelle. Non ce n’è nessun bisogno. Gli sguatteri la guardano come fosse una pazza. Borbottano tra loro, passandosi pezzuole, scope e secchi, ma nessuno ha il coraggio di dirle niente. Lo chef, rassegnato, la ignora. Intanto torna il tremore sotterraneo, forse perché c’è stato di nuovo un contatto con quella pelle che profuma senza bisogno di profumo, e Martina si trova di nuovo avvolta da quell’afrore bruciante, questa volte più forte, la maglietta bianca sembra esserne intrisa. Pensandoci, con Guido non ci ha mai veramente parlato. Niente, se non quelle poche parole smozzicate nella bolgia del servizio, sfiorando col proprio respiro quelle due braccia che sussultano sulle pentole, quel pulsare di vene sulla fronte, quella flessione potente del collo, quel lento movimento del torace. Martina alza un sopracciglio, abbozzando un sorriso, mentre con la spugna fa su e giù, su e giù, e le piastrelle diventano man mano più chiare, e i residui accumulati in chissà quanto tempo saltano via. Via, via tutti quei brandelli di grasso e sporcizia collosa, nera, fetida. Via, via tutte le ombre, gli aloni, le sagome opache. Via, via, tutto di nuovo pulito, lucido, come nuovo. Tabula rasa. Su e giù, su e giù, e il polso si ingrossa e si piega, i tendini tirati bene in vista. Non mette guanti, Martina. Ha le unghia malridotte, i polpastrelli rossi, le dita tutte graffi ed escoriazioni. Ma sta bene, così, con le spalle che frizzano, che l’indomani fanno male, e tutti i muscoli in tensione, e i capelli crespi, inestricabili, che non ne vogliono sapere di stare a posto. Sta bene, si, mentre si china, si allunga, si strappa, si sbraccia, finalmente sudata.
Come mai succedeva con Lui, l’Altro, che faceva di tutto per renderle la vita facile. “Non sudare non ti sbracciare non ti sporcare non ti affaticare tesoro mio”. “Non studiare, che Io l’ho fatto e non ne vale la pena, cinque anni di Lettere e non m’è servito a un cazzo”. “Non cercarti un lavoro, che è troppo frustrante stressante avvilente”. “No, tesoro mio. Penso a tutto Io”. “E se proprio ti annoi puoi venire a lavorare in cartolibreria da me. Mi dai una mano in cassa, mi aiuti con le ordinazioni, l’inventario, i conti”. “Ma non ti stressare troppo, me la cavo anche da solo, non ti voglio caricare di responsabilità”. “Sei carina, dolce, alla mano, sai parlare con i clienti, fai fare bella figura”. “Poi alle rogne ci penso Io, penso a tutto Io, tranquilla tesoro, fa tutto quello che ti dico Io e andrà tutto bene”. “Accoccolati nel mio focolare non uso nessun profumo perché non ne ho bisogno non mi nascondo non mi vergogno”. “Sono come uno scoglio per te”. “Aggrappati, tesoro mio, aggrappati a Me perché con Me non temerai niente”.
Fine servizio, la gente che prende i caffè al bar, sorseggia gli amari, si alza, si stiracchia, si saluta, passeggia per la sala, reprime rutti, sbadigli e altri gesti poco chic. Francesca cameriera piccola e carina fa un ultimo giro in cucina, saluta tutti con la sua voce frizzante, passa da Guido, le accarezza le spalle, per un attimo.“Ieri non è stato male, passa da camera mia anche stasera. Ti aspetto”.  Intanto arriva Laura – Laura barista brillante e disinvolta – che viene a mettere a mollo un po’ di roba della caffetteria. Gli si appoggia accanto con tutto il corpo, anche lei piccola e carina. “Bellissima! Anche stasera subito a letto? Niente passeggiata sul ponte della nave come ai vecchi tempi?”. “Quali vecchi tempi, Guido?”. “Non fare la gnorri che ancora qualcosina ricordi”. “Non ricordo niente. Ho rimosso”. “Rimuovi i bei ricordi? Brutta malattia!”. Sorriso contro sorriso, quasi una sfida a chi riesce ad allargare le labbra di più. Schiaffo sulla nuca, ma affettuoso, e via a pulire la macchina del caffè. Niente Laura per questo giro. Pazienza.

Asciugare, mettere in ordine, un colpo di straccio a terra. “Allora Guido, anche stasera è finita la battaglia?”. “Si, ora a letto che sono stanco morto”. “Si, Guido! E chi ci crede!”. Risate generali di sguatteri, camerieri, cuochi e aiuto cuochi. Perfino lo chef si mette in posizione di riposo e si increspa in una risatina. Pacche sulle spalle e buonanotte a tutti, anche stasera abbiamo guadagnato la pagnotta. Martina intanto continua a strigliare, china a terra. Guido le passa accanto e la saluta con un buffetto sulla testa. Sorriso sghembo, ma le parole gli restano strette in gola. Quali parole, poi? Guido non lo sa. Mastica un po’ amaro e via dalla cucina. Destinazione: stanza di Francesca cameriera piccola e carina. Consoliamoci con le sue carni tenere, le sue chiacchiere, le sue risate, i suoi capelli morbidi, lisci e districati, le sue cosce dolci e sincere.
III

 “Cara la mia bella Martina, visto che hai così tanta voglia di fare, ti lascio un bel compitino”. Che  strano, lo chef che parla con un tono di voce normale. “C’è quello scaffale di piatti da scartare, dentro lo sgabuzzino. Lo fai tu?”. Martina annuisce, una mano in fronte per asciugare il sudore. “Tieni, ti lascio le chiavi, chiudi tu”. E se ne va, con il suo solito passo militaresco, lasciando la cucina vuota.  “Ah, un’ultima cosa – aggiunge – domani vieni un’ora più tardi. E da ora in poi niente più extra. Finisci il tuo turno e fuori dai piedi!”.


Voci rimbombano nel corridoio della nave, più dei passi, più dei rumori della gente dentro le camere, rimbombano voci che non ci sono, frasi che non sono mai state pronunciate. Perché con Francesca tutto facile, due battute giuste, due risate provocate, due sguardi ammiccanti, braccio sulla spalla, bocca sulla bocca, sorriso di chi la sa lunga, e via, una nuova avventura. Stessa storia con Laura, la traversata precedente. Tecnica rodata in anni e anni di pratica. Bisogna parlare poco e parlare giusto, solo quanto serve, mantenere il tono vago da bello e dannato, tenere gli occhi aperti, colpire quando è il momento, e il gioco è fatto. Nessun impegno e scopate assicurate. Una meraviglia, già. Ma ecco che Guido si blocca e torna indietro, ecco che comincia a camminare spedito verso la cucina che ha lasciato da poco, ecco che ora corre, corre proprio. Niente camera di Francesca, stasera. Voci rimbombano, frasi che non ha mai pronunciato, parole ancora senza suono.
Nello sgabuzzino male illuminato, mentre ripone i piatti scartati sullo scaffale, Martina sussulta quando lo vede. Che occhi ha? Brillano di un tremolare di stella. Ma è la sagoma del suo corpo che la acceca, quelle linee nette contrastate dalla luce scarsa, forti chiaroscuri che la scuotono nel profondo. La mano di lui sembra voler afferrare qualcosa nell’aria, Guido sussurra parole smangiucchiate, che lei non capisce. Fa un passo avanti, e si sente barcollare. Non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Lei scopre un coraggio che non conosceva, gli si tuffa incontro, gli si avvinghia con le unghie e prende ad azzannarlo con i suoi baci. Le labbra lo tempestano di colpi d’ariete, e Guido, come per difendersi, le prende i fianchi con le due mani. La stringe forte, le sue dita le lasciano i segni rossi sulla carne, mentre lei continua a martoriarlo con la bocca.
In fondo allo sgabuzzino, a terra cartoni disfatti e carta d’imballaggio strappata, i due si appiattiscono sul muro, la gamba di lei alzata. Prendono ad ansimare simultaneamente, rivoli di sudore sulla schiena. Così, facile, facile, come per Laura, e Francesca, e mille altre, tutte uguali, tutte scopate assicurate, nessun impegno, stavolta nemmeno la battutina giusta al momento giusto, nemmeno un minimo di tecnica e trucchetti del mestiere. A Guido stavolta è bastato presentarsi, farfugliar qualcosa, ed ecco che lei gli salta addosso. “Puttana! Puttana!”. La cameriera e il lavapiatti che si fanno una sveltina dentro lo sgabuzzino pieno di piatti. Proprio un bel cliché. “Puttana! Puttana”, lei sente la voce di Lui, l’Altro, che le urla dentro, e si scaglia ancora più violentemente contro Guido, come volesse inghiottirlo, conficcarselo dentro, farlo suo. Ma Lui, L’Altro, non cessa di gridare. Non cessa di dominarla.
Lui, L’Altro, che la cartolibreria andava bene ma che succede? I creditori che brutta razza. Facce orrende che bussano alla porta, aliti cattivi che si sentono anche quando ti telefonano, con quegli squilli che si susseguono a ogni ora del giorno, fino a tarda sera.
E Lui (serio): Falli venire, falli chiamare. Non ho tempo da perdere con loro.
E Lui (ride): Quanto la fanno lunga! C’è crisi per tutti ma non è niente di che. È che sono cagati morti da quello che dice la televisione.  Adesso basta che ritardi un giorno ed ecco che fanno tutto ‘sto casino.
E Lui (sorridente): Non ti preoccupare, tesoro. Ci vuole solo un po’ di pazienza.
Ma le chiamate continuano. E gli aliti dei creditori si fanno man mano più cattivi, e quella puzza secca e acida ammorba la cartolibreria e ammorba Martina che non ne può più. Gli squilli si susseguono giorno dopo giorno e Lui non risponde mai.
E Lui (agitato): Che strazio! Che strazio!
E Lui (infastidito): Ma tu non ti preoccupare, te l’ho detto. La chiamano crisi ma io la chiamo  psicosi collettiva. Paranoia. Non è niente. Va tutto bene.
E Lui (arrabbiato): Cazzo Martina, ci manchi solo tu! Vatti a fare un giro e pensa un po’ ai cazzo di affaracci tuoi.
Ma quali sono i cazzo di affaracci miei, amore mio? Tu sei tutto per me. Dimmi la verità. Se ci sono problemi ci rimbocchiamo le maniche e ci inventiamo qualcosa. Ne usciremo! Ne usciremo insieme!
E Lui (fuori di sè): Cazzo Martina ma che dici? Se ti dico che va tutto bene VA TUTTO BENE. Senti una cosa: sparisci, sparisci per un po’. Questa cosa me la devo risolvere io, da solo.
E Lui (raddolcito): Comprendimi, fai come ti dico. Fidati di me.
E lei fece come Lui le disse.
Chinò la testa e sparì per un po’.
Lui conosceva un bel posto da dove tuffarsi. Un bel promontorio dove i tuffatori andavano a farsi i tuffi. Ma Lui non era un tuffatore. Sapeva nuotare a malapena. Quindi un giorno giù di testa. Giù di testa contro uno scoglio.
Martina si ritrae, si stacca di colpo da Guido, lancia un urlo che rimbomba nello sgabuzzino, nella cucina vuota e in tutte le sale, le camere e i corridoi della nave. Guido sobbalza e lascia la presa, mentre gli occhi di Martina si riempiono di lacrime, e lei si accovaccia a terra, nell’angolo, come a voler scomparire. Una carezza. Guido tende la mano, le spalle incavate, la faccia irriconoscibile, per porgerle una carezza. Ma un boato che viene dall’esterno scuote lo sgabuzzino, la cucina vuota, tutte le sale, tutte le camere e tutti i corridoi della nave, che saluta così la terraferma, con un amore carico di una insopportabile violenza. Nemmeno il tempo di chiedersi cosa stia succedendo, però. Guido e Martina sono troppo intenti nello stupirsi di quello scaffale carico di piatti che cade giù, spaccando loro tutte le ossa. Piatti, piatti dovunque. Piatti bianchi rotti e rossi, dovunque. E in mezzo due corpi ancora vivi che, prima di spegnersi per sempre, cercano in qualche modo di abbracciarsi.



NF

immagini tratte dai disegni preparatori per la "zattera della medusa"


7 commenti:

  1. Ho giusto un nuovo Canto da pubblicare ...

    RispondiElimina
  2. Nino , un po' lunghetto neh??
    Pero' mi sono impegnanta e l'ho letto fino alla fine. Non mi addentrero' in critiche letterarie o altro perche' non c'azzecco, ma ti posso elencare cosa mi è venuto in mente leggendolo:
    RATATUILLE ,
    I PEGGIORI CUOCHI D'AMERICA , CHEF ( Real Time),
    Gordon Ramsey in Hell's Kitchen
    ed infine , ciliegina sulla torta
    IL COMANDANTE SCHETTINO che si schianta sullo scoglio dell'ISOLA del GIGLIO.


    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sulla lunghezza avevo anch'io il dubbio, infatti ho chiesto pure il permesso, per pubblicarlo.
      La raccolta di racconti nasce ovviamente dallo spunto del naufragio della Concordia.
      Peccato, poi, perchè le critiche letterarie sono quelle che mi interessano di pià.

      Elimina
    2. eh lo so! Ma non sono capace! L'ho letto tutto d'un fiato questo si e mi è piaciuto, ma non è che posso dirti delle robe interessanti, quindi gioco su cosa mi evoca il racconto! :)

      Attendiamo crudele giudizio di Filippo, cheddici??

      Elimina
  3. Bello.
    Una domanda: perché hai abbandonato il verbo "accartocciare"? L'hai usato più volte nella prima parte, perché poi hai smesso? Avrebbe avuto un senso reiterarlo, soprattutto alla fine, altrimenti potrebbe dare l'impressione di una ripetizione casuale e pertanto sfuggita per distrazione. All'inizio sembra che tu voglia mettere in evidenza che tutto ciò che va da Guido a Martina sia accartocciato, poi, però, tutto si accartoccia davvero: il corpo dell'Altro sullo scoglio, e pure la nave, ma il verbo è ormai scomparso.
    "Lui conosceva un bel posto da dove tuffarsi. Un bel promontorio dove i tuffatori andavano a farsi i tuffi. Ma lui non era un tuffatore."
    Anche in questa frase le ripetizioni avrebbero il senso di aumentare il pathos, ma potevano esser scritte meglio.
    "Quindi un giorno giù di testa. Giù di testa contro uno scoglio."
    Qui invece a mio avviso sei impeccabile.
    Fine dei miei appunti.
    Ciao ciao

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lui si accartoccia quando c'è lei perchè sente un'attrazione; L'altro si accartoccia sullo scoglio perchè la sua maschera autoritaria è crollata; lei si accartoccia su guido, alla fine, i due si accartocciano l'uno contro l'altro, senza però arrivare ad una fusione, senza combaciare, alla fine il loro "scontro" amoroso è un'occasione sprecata, e i due restano "accartocciati" su sè stessi.
      Hai ragione: potevo giocarmi meglio con le ripetizioni. Il problema è che, nelle prime stesure, erano troppe. E poi, tagliando tagliando, non sono riuscito a dosarle in modo adeguato.
      Grazie mille!

      Elimina
    2. Hai reso benissimo nel commento, bravo!

      Elimina