Quel pomeriggio la signora era
svaccata sul divano, le gambe larghe – lo so, una cameriera non dovrebbe dire cose
così -, addosso una vestaglietta a righe sgualcita, sotto come sua madre l’ha fatta,
e sul tavolino il bicchiere vuoto, e la bottiglia per terra; in mano un copione, quello di Chi ha paura di Virginia Woolf. Il signor Burton invece era al piano di
sopra, nel suo studiolo, stranamente tranquillo (s’imbottiva in quel periodo,
il dottore gli aveva prescritto un nuovo farmaco) – ovviamente a lei non
garbava che lui fosse così assente, lo voleva sempre attorno, anche solo per
insultarlo, tenerlo in tensione: pretendeva che schioppettasse, una padellata di anelli di
calamaro.
La signora cominciò ad urlare per
richiamare l’attenzione del signor Burton, fogna! pantano! ehi palude!, ma il
signor Burton faceva finta di non ascoltarla – cosa impossibile, la voce della
signora sa essere un trapano e poi il soggiorno e lo studiolo sono privi di
porte e comunicano attraverso la tromba della scala, ehi fogna? pantano?, il
signor Burton dava fondo a tutta la sua pazienza per non risponderle - in
questi casi mette le mani alle orecchie, chiude gli occhi, persino la testa
sotto un cuscino -, ma la signora continuava a chiamarlo, fogna, pantano,
palude, non aveva pace la signora, lo voleva giù, da lei, a scodinzolare, a
grattarle la schiena, a dirle va tutto bene, Elisabeth? va tutto bene?, a
prenderle il ghiaccio, a riempirle il bicchiere – e non che non potessi farlo io, lei voleva lui, le avessi dato io
il ghiaccio avrebbe detto non mi serve, rimettilo in frigo – ma lei lo voleva
soggiogato, strisciante, ad una punta del divano a massaggiarle le caviglie, e
intanto pantano, palude, ehi, paludina?
Il signor Burton fu allora che si
decise a scendere dalla scala, e non che gradino dopo gradino si potesse giungere
solo al piano terra; vidi spuntare i piedi del signor Burton, lentamente, prima un piede e poi l’altro, non barcollava ma si percepiva lo
sforzo per mantenere l’equilibrio, e intanto le diceva Elisabeth, sarò sempre
disponibile a buttare di notte tutte le bottiglie di whisky che svuoti, quando
i vicini non mi vedono, ma non mi chiamare per metterti quel
maledetto ghiaccio nel whisky, fallo da te.
La fissò un attimo, nel suo
sguardo c’era sofferenza, provai commozione per lui. Poi risalì.
La signora tra sé e sé disse
strano, pure questo c’è scritto nel copione: questo film sarebbe meglio non
farlo.
GD
Ahahah, bel pezzo! Ho visto e rivisto il film almeno tre volte negli ultimi due anni, questa Liz Taylor (e anche quella del film, è ovvio!) sono grandiose, sono sbraitanti!
RispondiEliminaUnica cosa: nello sguardo di Richard Burton (o di George) c'è sofferenza? Io ne ho trovata molto di più in lei!
Aggiungo una piccola cosa che stona un po': il "maledetto" riferito al ghiaccio...io credo che il personaggio di Richard Burton sia molto più pacato nei modi di fare(è addirittura fastidioso!) e non si lascerebbe scomporre dicendo "maledetto" ghiaccio. Toglierei del tutto il maledetto per non mettere niente.
EliminaE questo, come si suol dire, è tutto.
sì, Burton è esasperato ma non guerriero... il maledetto sembra un'ascia di guerra dissepolta e invece, nel racconto, il litigio non c'è.
Eliminagrz
gd
A me non fa pena Burton,secondo me gli piace farsi trattare cosi' dalla Liz.
RispondiEliminaFili non mi piace questa frase : "pure questo c’è scritto nel copione" non so se è voluto, ma PURE QUESTO non mi va giu' è troppo popular in questo post
non è una bella frase, ma è Liz che parla tra sè e sè... però che sia un'espressione sgrassabile sono d'accordo...
Eliminagd
Lo ammetto, non ho visto il film o forse non lo ricordo. Nella vita reale come coppia mi sembravano assolutamente alla pari, stessa quantità di cattiveria di amore e di alcolici. Il post è asciutto, liscio e senza ghiaccio: bello anche per chi, come me, ignora l'argomento.
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