Bicchierata sto cazzo. Quello era un vero e proprio banchetto. Banchetto un po’ alla buona, certo, perchè si stava sempre nel paesello buco di culo di cinquemila anime e certo, ai paesani non piacciono certo le cose troppo chic, però diamine, c’era il ben di Dio, su quei tavoli. Tutto era stato adibito alla perfezione. Una perfetta riproposizione dell’Albero della Cuccugna. Stessi umori, stesse facce fameliche, stessa ingordigia da naufragi. Lì dentro era tutto un ruminare di mascelle, uno sbattacchiare di pappagorge, uno strabordare di panze e corpi mollacchi.
Attorno ai tavoli del buffet, tovaglie a quadrettoni rossi come a riproporre chissà quale sagra rustica, attorno ai tavoli del buffet gli avventori erano perlopiù gente bruttissima e oscenamente grassa, dal colorito malarico e dalle pesanti occhiaie intartarate di ottusa furbizia e bieco rancore. Quasi tutti erano del tipo umano malaticcio. Flaccido, grosso e malaticcio. Molti si avvicinavano al mito dello straccione obeso, quello che ogni giorno s’ingozza di merce scadente rigorosamente sottomarca, inferni di coloranti, conservanti e grassi saturi. Animali da superdiscount, arrampicatori di scaffali inumani, schiavi del carrello carico di schifezze, disperati divoratori di immonde merendine, salumi, paste, lardi, cioccolatini grondanti tossine e grassi residui di Occidente alla deriva.
Marco affilava annoiato le sue armi da salutista, lui che di solito mangiava più schifezze di tutti. Intanto conversava con lo squallore fatto persona. Un trentenne emaciato, alto e magro come un palo in disuso, patetiche stempiature, occhiali spessi e sporchi, acne rivoltante. Argomenti di conversazione, sempre gli stessi. La Sicilia posto di merda, il lavoro che non c’è, le femmine che non te la danno e gli ettolitri di bile verde che inondano gli animi dei Poveri Sperduti Desolati Giovani Contemporanei. Una paranoia. “Sai che è? – sbotta infine Marco – è che tutto questo benessere, tutti questi vizi, tutti questi capricci, tutte queste comodità che mammina finora non ci ha mai fatto mancare, adesso ci si stanno rivoltando contro. Perchè è innaturale tutto sto benessere, è innaturale tutto questo. E la natura si rivolta, come per gli uragani, le grandi catastrofi e tutte queste belle cose che fanno crollare le Incrollabili Costruzioni del Genere Umano. E credimi, ti dico io, credimi che in fondo ce lo meritiamo”. Marco sentì chiaramente la colonna sonora dei suoi personalissimi Discorsi Molto Intelligenti. Ma il tizio dalla faccia butterata non la prese benissimo. Roteò gli occhi, chissàperchè sembrava abbastanza offeso. E corse dunque verso i tavoli del buffet, per rimpinzarsi anche lui.
Nella sala ampia e spaziosa del ristorante di Gino, anche lui un mezzo cugino dell’Onorevole, ma che non c’entrava niente con la famiglia di Marco, in quella sala ampia e spaziosa i robusti tavoli del buffet quasi vacillavano sotto l’assedio, i disperati colpi di ariete di quella torma di uomini in giacca e cravatta, tutti vistosamente a disagio nell’abbigliamento che adoperavano soltanto per le feste comandate. Schiera di Padri di Famiglia tutti di un pezzo, odoranti di profumi che utilizzano di rado, dai movimenti maldestri, ingolfati in giacche desuete e ancora impregnate di naftalina, tutti intenti a ingozzarsi di arancini, bruschette, olivette, mozzarelline, tartine, patate fritte e tanti di quegli stuzzichini da far fermentare un esercito di stomaci di ferro. Il tovagliolo era un optional che solo in pochi apprezzavano, visto che i più mangiavano con le mani, ingollando gli assaggini in un sol boccone, dirigendosi poi sulla tovaglia a strofinarsi i palmi per togliersi di dosso il grosso dell’unto. Per il resto, si strafogavano senza pietà, le labbra umide per il fritto, le guance rosse per il calore. Goccioline di sudore sulle fronti, che scendevano giù dai riporti imbarazzanti, dalle tempie trafelate, dalle teste nude e grottesche.
Molti ridevano, parlando tra un boccone e l’altro con il compagno di strafogata, alzando i calici con il vino rosso di discreta qualità. I brindisi si susseguivano freneticamente. Tra un sorso e l’altro, poi, i Padri di Famiglia si scambiavano i convenevoli, facendosi le solite domande di rito, fingendo un qualcheduno interessamento per le vite altrui. Ma non erano avvezzi alla vita mondana. E si vedeva. E mascheravano l’imbarazzo buttandosi sul cibo, affogando le buone maniere nel vino e nei fritti misti.
Considerazioni socioeconomiche. Marco ricevette un sms. Lo lesse. Sorrise.
Considerazioni socioeconomiche. Attorno al tavolo, a fondo nel mucchio, erano tutti Padri di Famiglia del ceto medio-basso del paese. Tutti più che altro operai, o artigiani, al massimo piccoli commercianti. I più l’indomani si sarebbero dovuti alzare prestissimo, e a quell’ora erano stanchi e assonnati dopo una dura giornata di lavoro. Se non ci fosse stato l’Evento, sarebbero arrivati a casa, sprofondando un’oretta sul divano, poi doccia, poi cena preparata dalla meravigliosa adorata amata idolatrata Mogliettina Servizievole, poi avrebbero ammazzato la serata a fondo di qualche divano tutto ceduto davanti a qualche ottuso programma televisivo. Ma quella sera c’era l’Evento, e all’Evento non si poteva assolutamente mancare. Assolutamente non si poteva perdere l’occasione di mangiare a sbafo, e gratis, tutt’al più a spese della politica. Così mani grosse, callose, spaccate, sbucavano dalle maniche e afferravano gli assaggini con scatti da predone. E giù espressioni voraci, sorrisi larghi e sgraziati, lunghi brindisi e rozze tracannate. Ancora non si era sentito nemmeno un rutto. Che meraviglia.
I paesani più agiati, per una strana coincidenza, se ne stavano invece un po’ in disparte, seduti attorno ad un piccolo tavolino nero in un altro angolo della sala. Osservavano lo spettacolo, loro, con placida benevolenza paternalistica. Come turisti allo zoo, a voler essere cattivi. Qualche sopracciglio un po’ rialzato rispetto al normale, ma niente di più. L’espressione più frequente, nelle loro nobili facce, era quello del tenue divertimento, della gaiezza rilassata. Loro, Veri Signori oltre che Padri di Famiglia, si erano fatti portare dai camerieri i piattini ricolmi di tutti i tipi di antipasti del buffet. Usavano correttamente il tovagliolo, loro. E alcuni si erano fatti portare addirittura le posate. Erano in pochi, lì, attorno al tavolino nero, nemmeno una decina, seduti in varie pose, ma tutti estremamente a proprio agio, aggraziati, sicuri. Coincidenza, erano quasi tutti costruttori, imprenditori edili, trafficanti di cemento. Gran parte degli invitati erano dipendenti loro.
L’Onorevole Giovanni Anello fece il suo ingresso trionfale quando i camerieri stavano caricando i tavoli della seconda razione di antipasti. Robusto e atletico nel suo completo gessato blu scuro, entrò come circonfuso di luce, come accompagnato da una fanfara di bersaglieri. L’atmosfera cambiò, le mascelle cessarono di ruminare, le pappagorge di sbatacchiare, le panze di strabordare. La folla di invitati si dette un contegno, controllandosi i vestiti, sincerandosi che non ci fosse nulla fuori posto. I più abbienti rimasero seduti, godendosi la scena con un sorrisetto furbo e acuto. Un gruppetto di Padri Di Famiglia, che aveva bevuto più di quanto era opportuno, diede il via ad un applauso pacchiano. L’atmosfera si sciolse. L’applauso venne condiviso anche dai più sobri. Toni entusiasti, sorrisi esagerati, cori da stadio. L’Onorevole – così lo chiamavano tutti, anche se era soltanto un consigliere comunale che stava correndo per un posto in Parlamento Regionale – l’Onorevole lentamente, con studiata lentezza, sfilò in direzione dei costruttori per dar loro il primo saluto. Intanto offriva la testa da una parte e dall’altra, sorriso sfacciatamente televisivo, denti bianchissimi e accecanti, rasatura perfetta, intanto offriva la testa da una parte e dell’altra, sorridendo, cenni e occhiolini a destra e manca, abbracciando tutti, almeno con lo sguardo. Dopo la doverosa riverenza ai più abbienti, si inoltrò nel pieno della folla di poveracci.
Strinse molte mani, ascoltò molte richieste, annuì molto e si lasciò scappare anche qualche promessa. “Dottò, dottò, c’è mio figlio che è disoccupato e vuole partire. È giovane ed è sempre stato bravo a scuola. Un posticino qui non si ci può trovare?”. “Onorevole, mi permetta, poi dobbiamo parlare di quella mia sorella che lavora alla Regione e che non la fanno andare in pensione”. “Dottò, dottò, c’ho il 50% di invalidità, pensione non me ne arriva, ma almeno un lavoretto in un supermercato non me lo può capitare?”. Attorno a lui si avvicendava un tremendo mosaico di facce rosse e contratte dalla digestione. L’Onorevole finse di ascoltare tutti e a tutti diede soddisfazioni. Di ognuno promise che si sarebbe ricordato certamente. Di molti si appuntò sull’agendina il numero di telefono, inforcando perfino gli occhialini da vista, quindi facendo sul serio. A qualcuno fissò addirittura un appuntamento per il giovedì successivo. “Se non mi trova in ufficio, può sempre parlare con Giuseppe, il mio segretario. Ma credo proprio di esserci, giovedì prossimo. Per lei ho una cosa che andrà in porto quasi di sicuro. Non stia in ansia. Vedrà che riuscirò a fare qualcosa di buono per lei”. Il tizio, camionista licenziato di recente, quasi gli stritolò la mano nella sua morsa.
L’Onorevole però, Grand’uomo oltre che Vero Signore e Padre di Famiglia, era perfettamente a suo agio. Meraviglia delle meraviglie, riusciva perfino a sorvolare con ammirevole disinvoltura sui modi grossolani, il contegno peloso, le espressione dilatate e gli aliti pesanti dei poveracci che lo guardavano e lo toccavano, come si guarda e si tocca la Santa delle Processioni, la Reliquia, l’aura del taumaturgo. La gente gli si affastellava attorno come prima si affastellava attorno ai tavoli del buffet, ma l’atteggiamento adesso era più affamato, più rozzo, più sguaiato. Eppure sorridevano tutti, i questuanti. I loro volti incartapecoriti dal sole, imbruttiti dalla fatica, sformati per l’invidia e il rancore sociale, cercavano ora di aprirsi in goffe espressioni cordiali, macinavano prove di finto entusiasmo, tentavano di mettere su espressioni che potessero in qualche modo risultare addirittura simpatiche. Ma lo stridore era palese. La scena oscena. Quel plotone di denti marci e giallastri, quelle carie male otturate, quei buchi rabberciati alla bell’e meglio, quegli incisivi storti o mancanti, tutto quel fetido obbrobrio orale strideva rumorosamente, insopportabilmente, disperatamente, contro il luccicante biancore dei denti dell’Onorevole.
Mancano otto minuti a mezzanotte e mi è venuta fame, accidenti a te! Wood, che ne pensi?
RispondiEliminaNon vedo l'ora di leggere la terza puntata, veramente non riesco a staccarmi dalla pagina (naufragi o naufraghi?) (non per voler fare la rompina, ma io scena/oscena lo eviterei)
Alla prossima, grande Nino!
La "scena oscena" è troppo? Pensavo che fosse una cosa fighissima!!
RispondiEliminaE l'uso dei maiuscoli, che te ne pare? Tipo Padre Di Famiglia e cose del genere...?
Ho cercato di puntare il massimo sulla distorsione e sull'iperbole, di fare tutto molto caricaturale mantenendo però l'impatto realistico.
Immaginavo scene cinematografiche molto espressionistiche, primissimi piani di facce brutte e grasse, gente che mangia in modo osceno, cose così:
http://www.youtube.com/watch?v=jCrcPBD9Kcw
http://www.youtube.com/watch?v=MOfzTEvAHoQ
molte immagini in testa, insomma...ma non so se il gioco è riuscito, forse è tutto troppo compatto e mancano i dialoghi.
La terza puntata infatti è un dialogo, e non so proprio come sia venuto.
Comunque, grazie Roberta, per avermi letto.
Ho trovato delle ripetizioni. Per così dire delle immagini che si ripetono. Avrei forse snellito alcune parti per arrivare alla conclusione che descrivi peraltro così bene. Rendi tutto benissimo: l'atmosfera, i volti, le aspettative e le ragioni dell'essere lì.
RispondiEliminaHo letto che in origine ne avresti tirato fuori un romanzo, forse è questo il motivo, e in quel caso una descrizione ampia è giustificata.
Eh, le ripetizioni! Ho cominciato a scrivere il pezzo qui sopra circa un anno fa, con in testa il fascino per comescrivono Baricco e Giulio Mozzi, che non è che mi facciano proprio impazzire però sono dei maestri nell'uso delle ripetizioni....e se rileggi, certe volte mi metto a ripetere apposta frasi ed espressioni...non so però che effetto facciano...saper dosare la ridondanza è difficilissimo
Eliminaletta la seconda parte..
Eliminametto da parte i complimenti.
l'uso delle maiuscole non mi piace, mi pare giudicatorio in quanto crei delle categorie di persone contraddistinte per levatura morale o altro, delle erbe diverse messe in unico fascio. il pregio/difetto di questo pezzo sta nell'essere troppo sopra le righe, molto letterario nel decidere di essere un grande sfottò, e l'essere sopra le righe ci può stare benissimo, la realtà in fondo è molto peggio, il tuo pezzo non è aggiornato - mancano bunga e festini, ma in Sicilia forse queste cose non si sono mai fatte, possibboli? -, dovresti stare attento a non essere giudicatorio, il secondo paragrafo (Attorno a....) per esempio lo è, va oltre la descrizione.
Al di là di queste piccole cose, il tuo pezzo crea il "patto con il lettore", quindi ogni notazione rientra solo tra le sfumature sfumabili.
GD
Questa seconda parte mi piacque veramente assai.
RispondiEliminaAccumuli riuscitissimi, il senso di schifo c'è tutto, dall'inizio alla fine.
E' tutto, sì, molto caricaturale, ma molto vero, davvero la realtà è peggio.
L'immagine finale perfetta.
Questa parte piace pure a me...terza e quarta parte invece sono dei papocchi narrativi....quando si fa il passo più lungo della gamba....attendo i commenti :)
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