L’odore di bruciato alle narici, la strada sterrata che ci sporcava le scarpe, nessun rumore, il caldo del primo pomeriggio che si attaccava alla maglietta e campi di pannocchie ovunque e infiniti. Veniva voglia di correre, inseguire qualcosa o essere inseguito, senz’altro correre. Da qualche minuto avevamo lasciato il villaggio con le sue case di fango e sassi, le case che ogni giorno spuntavano dalla terra e che alla terra tornavano dopo la prima pioggia e allora il giorno dopo bisognava ricostruirle, ma tanto in Africa il tempo non insegue nessuno. Ci stavamo inoltrando nel “mato” più totale io e il mio compagno di viaggio, gli stavo accanto per paura di perdermi, e intanto parlavamo di elefanti, il desiderio di vederne uno dal vivo era forte – non è il periodo giusto, disse, le piogge hanno bagnato il terreno e i bestioni sprofonderebbero, non si avvicinano alla strada. Non fu difficile, per il mio compagno, trovare un piccolo rifugio costruito in mezzo ad un campo di pannocchie: due tronchi conficcati nella terra e ricoperti di foglie per proteggersi dalla calura del sole africano durante i giorni di caccia o di coltivazione, per raccogliere la famiglia, mangiare qualcosa, riposare.
La donna seduta per terra ci fece accomodare su due sassi, non troppo grandi ma stabili, e non faceva altro che sorriderci. Era makua e non parlava il portoghese, nel villaggio in cui mi trovavo solo poche persone lo parlavano, tanto non capitava tutti i giorni di dover comunicare con un acunha, un bianco; in Mozambico si parlano diverse lingue locali, e farsi capire fu difficile persino per il mio compagno (lui era di un’altra regione del Paese e conosceva un’altra lingua bantu). Mentre cercavano di capirsi, guardavo tutto quello che mi stava intorno: sul fuoco una pentola senza manici, da un’altra parte le pannocchie, nere e troppo calde per essere mangiate subito, e i bidoni gialli che agli africani avevano così tanto cambiato la vita, quelli che le donne riuscivano a portare in testa senza far cadere una sola goccia d’acqua. Alla donna mancavano molti denti, quelli rimasti erano storti, eppure il suo sorriso mi affascinava, non mi guardava direttamente, timidezza o cultura pensai, ma sapevo che stava parlando di me con il ragazzo che mi sedeva accanto, che non si prese nemmeno la briga di tradurre una parola perché tanto le domande erano sempre le stesse - quanti anni ha? è sposato? ha figli? da dove viene? - e lui conosceva tutte le risposte (le stesse domande me le aveva poste lui qualche minuto dopo esserci conosciuti), e intanto guardavo la donna e la trovavo bella, sentivo l’odore della sua pelle nera sporca di terra, odore di fumo di pannocchie arrostite, odore di un Mozambico sporco che sa ancora di pozzi avvelenati dai portoghesi cheabbandonarono il paese negli anni ‘70, di capanne distrutte dalla pioggia, di babbuini che distruggono i campi e di bambini che alle cinque del mattino si svegliano per andarli a scacciare.
Qualcosa cominciava a bollire dentro la pentola, vedevo il coperchio andare su e giù e dall’interno usciva del vapore, forse era matapa (foglie di manioca cotte con arachidi), o forse era riso, lasciato cuocere dentro la pentola con un po’ d’acqua e coperto da un sacco di plastica per non disperdere il calore.
Tornato da una caccia un po’ scadente, il marito della donna iniziò a sorridere quando mi vide; sembrava una piccola mangusta nera armata di arco e frecce, gli occhi piccoli e i denti storti, magro e scalzo, come la maggior parte dei mozambicani era incurante dei pericoli che si possono incontrare in posti come quello (ma sono gli acunha i fragili).
Come sei arrivato, mi chiese, quanto è costato il biglietto, casa tua è lontana da qui?
In Mozambico tanti non hanno idea di come sia il mondo fuori dal campo di pannocchie, fuori dai villaggi, dalle latrine, dagli ospedali da un solo reparto e allora ti fanno centinaia di domande di ogni tipo: soldi, famiglia, lavoro, come se essere bianco significhi essere sapiente, come se essere bianco significhi essere ricco, essere felice. Dopo avermi fatto tutte queste domande, senza smettere di sorridere, si sedette accanto a me in attesa di una risposta, guardandomi dentro, emozionato da una vita diversa, lontana da lavori nei campi di pannocchie, dall’arretratezza tecnologica, dalle malattie e dai pericoli, e io lo guardai dentro e avrei voluto non sentirmi così tanto diverso; no, risposi, casa mia non è molto lontana da qui.
Tornammo indietro ed era tutto nero ma i mozambicani sanno orientarsi al buio. Il mio amico mi prese per mano, io ero un acunha.
FO
Beh, si percepisce che l'Africa descritta è vera, vissuta. E il racconto ha il tono quieto e disteso di una esperienza rielaborata che trova, dietro il dettaglio apparentemente irrilevante, un gancio per una riflessione o una costatazione sulla condizione del Mozambico.
RispondiEliminaIl registro linguistico è adeguato alla narrazione, raffinato come lo sono tutte quelle cose prive di ornamenti inutili.
Critiche spietate:
la pentola sta per bollire oppure è coperta dal sacco di plastica?
"mato" più totale
GD
ahahahah!
EliminaMea culpa:
1) probabilmente quello della pentola non si capisce bene. All'interno della pentola si mette il sacchetto a coprire il riso, dopo si copre col coperchio
2) Nel "mato più totale" hai ragione
P.S: cominci un commento con "Beh"? I kill you!
Federico, prima o poi io ti sequestro per farmi raccontare tutta l'Africa che hai vissuto. Sono davvero felice che tu voglia dividere queste emozioni con noi. Grazie!
RispondiEliminaChi mi conosce di persona sa che non c'è bisogno di sequestrarmi per farmi parlare del Mozambico...chiedi in giro!
EliminaGrazie a te!
che bello questo racconto! Non avrei voluto che finisse.
RispondiEliminaAhahahah, wood, non sarà l'ultimo te l'assicuro!
EliminaScherzavoooo!!
Eliminae riuscire ancora a sorprendersi credo sia il miglior successo di questo blog :)
RispondiEliminaGM
Mizza, passerei giornate a premere F5 per ricaricare la pagina e vedere se qualcuno lascia post o commenti
EliminaGrazie Meis!
Eliminabravo!
RispondiEliminacredo che questo tipo di narrazione (semplice, chiara, frutto di riflessione) ti si addica molto.
approvo in pieno.
Citando R.L.: approvo che tu approvi!
EliminaGrazie Vito
Mi è piaciuto tantissimo.
RispondiEliminaFunziona tutto, dall'inizio alla fine, sono d'accordo con la Wood: viene voglia di leggerne ancora.
Piccola critica: non sono una fan delle parentesi, anche se capisco che qui dovevi spiegare tante cose e un certo vegano dice che sono le benvenute.
E' un racconto vero, vivo, ha una forza che fa accadere tutto davanti agli occhi del lettore, che si sente catapultato anche lui in un altro mondo. Un mondo così diverso che sembra quasi banale dirlo, ma quando dici "in Mozambico tanti non hanno idea di come sia il mondo fuori dal campo di pannocchie, fuori dai villaggi, dalle latrine, dagli ospedali da un solo reparto" suona come una rivelazione. Credo che questo sia perché il post è scritto bene.
W le parentesi. E i trattini, e tutto quello che rende possibile una diversa modulazione della voce narrante.
EliminaGD
- Beh - che dirvi? (Grazie)
Eliminaè vero. è uno di quei racconti che vorresti non finissero mai. Continua, continua a scrivere di tutto quello che questo paese ti ha lasciato perchè ti riesce benissimo. Hai un modo fantastico di osservare e raccontare le cose, cose che molti non saprebbero neanche vedere, e che io vorrei conoscere in ogni loro dettaglio. Regalacene almeno un po'. AG
RispondiEliminaNon mi provocate che io continuo veramente, eh?
Eliminaok, noi sappiamo
RispondiEliminaAnonimo chi sei e cosa significa il tuo messaggio?? Sappiamo cosa?? Come fare i pop corn??
Eliminaahahahaha! L'anonimo sa perchè in parte della mia esperienza c'è pure lui...ma, da quel che mi ricordo, un nome ce l'aveva!
Eliminache bella questa Africa
RispondiEliminallg
Come ho fatto a perdermi questo post?
RispondiEliminaLeggendolo ci si dimentica di tutto e viene voglia di sedersi per terra ad ascoltare altre storie come questa...
BA
Grazie per queste emozioni...
RispondiEliminaE' un'Africa che un po' conosco e che non mi stancherei mai di vivere. Di amarla, di riempirmene gli occhi, il cuore e i pensieri.
Grazieeee
Grazie a te, Sara!
EliminaQuesto è il mio modo di guardare l'Africa mentre sono in Italia, spero ne venga fuori qualcosa di più grande!
Grazie ancora!!!
Ciao!
Sì, il racconto è "vero" (come qualcuno ha già commentato). Ma, stando alla scrittura, per un'eventuale pubblicazione, ha - qua e là - qualche caduta di ritmo che provoca caduta d'attenzione in chi legge. Rielaborerei curando molto la scrittura. Anche il senso di essere in un luogo totalmente "altro" (per un occidentale) come il continente africano, presuppono un ritmo di scrittura: la partitura ancora è da rivedere, manca di una sua trama che, sul piano della scrittura, tutto tenga insieme. Ma è solo il mio modestissimo anonimo parere.
RispondiEliminaIl tuo modestissimo anonimo parere è stato molto apprezzato...grazie
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