Ripubblichiamo oggi questo post per commemorare Placido Rizzotto,
sindacalista ucciso nel 1948, nel giorno del suo funerale dopo che i suoi resti sono stati ritrovati solo nel marzo scorso.
La Maestra
Svolgimento
Uscì quella mattina che sentiva
ancora il sapore di caffè nella bocca e si leccava le labbra ancora calde della
tazzina. E si aggiustò i baffi prima di tirare la sigaretta mattutina. Di
lavoro ancora ce n’era e non poteva fermarsi. Certo due orette ancora poteva
dormire ma c’era abituato lui a dormire poco. Tutte le aveva passate e la
cicatrice sul braccio glielo ricordava ancora. Liberare le terre da quei
crucchi bastardi non era stata una passeggiata. E non si fermava perché da
liberare c’era ancora la sua di terra. Quella che calpestava sotto coi suoi piedi, che gliela
avevano rubata a lui e alla sua gente. I Borboni furono, lui lo sapeva. E
quella femmina nera, la draga, valeva più di tutti gli eserciti crucchi che
poteva immaginare. Una mano che gli stringeva la gola era quello che sentiva
ogni santissimo giorno della sua vita. La terra doveva essere coltivata,
strappata di mano a quella femmina nera, nata perché lo Stato laggiù non c’era
ancora stato e se c’era stato era per starsene con quella femmina nera, la
draga. Neanche i colpi di mitra erano serviti per farlo calmare, con quei morti
innocenti in quella vallata la prima mattina di maggio. Camminava ancora a
testa alta attraversando la piazza e sputando ai piedi di quelli seduti alla
villa. Quella villa, rideva solo quando ci pensava, sulle inferriate lo aveva
appeso e lui di tutta risposta si presentò alla manifestazione e a colpi di
mitra ne fece fuori un poco. Non propriamente lui che le mani non se le macchiava,
aveva i suoi scagnozzi lui. Così imparava la lezione. Ma lui duro era, i
crucchi li aveva cacciati e quella femmina nera, la draga, pure se ne doveva andare. Se le terre erano
abbandonate e nessuno le va a coltivare dovevano andare ai contadini. Con le
zappe, mica coi fucili. Fame di pane c’era e non di potere. E sognava con la
sua donna di vivere in una terra libera e di crescere tanti bambini in mezzo
alle campagne che amavano. Tutti glielo dicevano di lasciare stare che tanto le
cose non cambiano. Se li avesse ascoltati forse quei figli li avrebbe visti. Ma
la femmina nera, la draga, se lo mangiò
una notte di primavera spuntando tre colpi nel buio tra le rocce.
Il padre
svegliò tutti quella notte e per sette giorni e sette notti correva per il
paesino e gridava in faccia a tutti il nome della draga, ma nessuno sentiva,
chiudevano le gelosie e tornavano alle loro case che tanto le cose non
cambiano. Pure un bambino era scomparso perché diceva che l’aveva vista la
femmina nera, la draga, mangiare quell’uomo. Che poi va a finire che la draga
si mangia il drago, femmine voraci che succhiano sangue e fottono i loro figli.
Passarono gli anni e chi doveva parlare parlò, con la forza, dentro alle mura
della Vicaria Nova. Qualcuno diceva che sapeva dov'è che riposa adesso. Il bastardo
della femmina nera nel frattempo pure la sua donna s’era presa, vigliacco fino
alla fine fu. Lo Stato ci andò e se lo portò, ma quando era vecchio e non ci
potevano fare niente. Nel frattempo tanto ancora altri ne arrivarono di figli
della femmina nera e tutt'ora vanno girando anche se lo Stato dice che c’è
stato in quella terra e che fa tante cose per combattere la draga, anche se
ogni tanto gli piace allo Stato starci con la draga. Se questa fosse stata una
favola di quelle belle arrivava un principe su un cavallo bianco a sconfiggere
la draga e a liberare la terra. E di principi un poco ne vennero e la draga se
li mangiò uno ad uno manco se fossero ciliegie che una tira l’altra. Ma questa
non è una favola bella e un principe azzurro che uccide la draga non c’è mai
stato. Ora però gli uomini che se lo ricordano sanno dove piangere Placido
Rizzotto.
VB
Grazie.
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminaTroppo bellissimo post che al maggio dei libri ha fatto rabbrividire l'auditorio
RispondiEliminaGd
GRAZIE!
RispondiEliminaBA
Ho sentito già Vito leggercelo alla libreria Garibaldi. Bello, bello davvero.
RispondiEliminaPerchè non c'è solo lo stile, c'è una forza dentro nel dire le cose. C'è tutto il nostro disagio, scoramento, e anche lucido convincimento di figli di Sicilia. Figli di una terra che amiamo, bella e bellissima come poche. E questi principi azzurri che l'anno amata più di noi hanno combattuto, lottando fino all'ultimo respiro.
Ma il drago, qui al femminile e ancora più feroce in questo cambio) li ha uccisi. Sputando fiamme e incenerendo tutto intorno.
Vito grazie di aver scritto. Grazie a tutti che hanno deciso di ripubblicarlo.
Grazie di leggerlo, oggi, per Placido Rizzotto, per la sua terra.