giovedì 19 dicembre 2013

Tema: Il Fornaio

Sez. In Fuga dal Presepe
Svolgimento

Un giorno come un altro. Per i più era semplicemente questo. Una notte come tante. Betlemme era spenta, illuminata unicamente da alcune stelle sparse in un profondo cielo, svuotato da ogni ostacolo. Tutta la città era cosparsa di una leggera rugiada notturna, accarezzata da un lieve vento pungente e piacevole. In quelle poche ore notturne si poteva percepire la tranquillità, quella positiva solitudine che riesce a dare vita ad un qualcosa che, in caso contrario, non si riuscirebbe a distinguere dalla morte. Questa era una sensazione che tutto il popolo di Betlemme non riusciva a cogliere, quasi certamente per paura. Tutto il popolo, eccetto una persona.
Quella notte, alle pareti leggermente illuminate dalle stelle, contrastavano due piccoli focolai che riuscivano a colorare con le sfumature più calde i pochi metri circostanti. Uno di questi era un semplice loculo per il pane, che da solo riusciva a dare anima ad una città intera. Il silenzio del sonno era interrotto sporadicamente dal piacevole crepitio della legna che bruciava, e che riscaldava l'atmosfera adiacente. Amava quel lavoro. Le mattine al mercato si parlava spesso di lui, ci si domandava che tipo di persona potesse decidere di vivere di notte, trovando spesso come unica risposta quella che entrava in ogni dialogo: il danaro. Ma non era così, non per lui. Era stata una scelta, una scelta nemmeno ponderata, ma vissuta. Una scelta non di certo dettata solo dalla necessità. Più semplicemente lui aveva sempre vissuto la notte. La contemplava ogni giorno, ascoltava il suo silenzio, guardava l'infinito. Ma in realtà non è stato sempre così. Accadde un giorno che una persona gli insegnò a diventare freddo, ad essere freddo. Perché quello era l'unico modo per non provare dolore: la fiducia è un'arma a doppio taglio che spesso viene impugnata dalla persona che si ha davanti. Non serve specificare chi deve essere il bersaglio. Lo stesso freddo con cui aveva imparato ad avvolgere i suoi caldi sentimenti, era il freddo che di notte avvolgeva la città, la sua città. Il calore di quel forno gli serviva a ricordare che era vivo, che dentro ai molti involucri di ghiaccio, c'erano sensazioni calde, vive, che pulsavano tentando di uscire da quei bozzoli da lui stesso costruiti. In quei momenti si sentiva vivo, e non aveva paura d'esserlo.


Stava sfornando un'altra pagnotta, quella sera, quando si accorse che si era bruciata da un lato, probabilmente perché i suoi pensieri lo avevano distratto nuovamente, come spesso accadeva. Stava per prenderla e gettarla, quando il sorriso di serenità si levò improvvisamente dal suo viso. La fissava, quasi impaurito, senza riuscire a sfiorarla. Quel lato, completamente nero e completamente sbagliato, gli smosse qualcosa. Perché gettarlo? Cos'aveva di sbagliato? Queste domande continuavano a confondere i suoi pensieri, senza dargli la possibilità di rispondersi.
Il fuoco si era ormai spento nel forno, ma l'uomo era ancora lì, fisso davanti alla pagnotta bruciata. Raffreddata ed indurita dalla rigida temperatura circostante che aveva ricoperto il dolce avvolgere delle fiamme sulla legna, diventata cenere. L'abitudine lo aveva portato sino a lì, sino a quel giorno. L'abitudine a credere che, chiudere qualcosa in un recinto, potesse evitare di provare dolore, senza accorgersi che l'unica cosa che riusciva ad evitare, era la vita. In quel momento gli sembrava di essere davanti ad uno specchio: quella pagnotta, scottata dal fuoco, gli aprì nuovamente il cuore, lo stesso cuore che aveva subìto la sorte di quell'oggetto da lui creato. Il silenzio ed il freddo avevano conquistato il suo banco di lavoro e per la prima volta, dopo molto tempo, non riusciva più a sentirsi a casa, al sicuro. Fu quello il momento. Il momento in cui si mosse. Continuando a fissare la pagnotta fece un semplice sorriso. Il sorriso più vero che avesse mai fatto.
Al sorgere del sole il suo forno era un luogo diverso. Abbandonato, freddo, vuoto ma pieno allo stesso tempo, pieno di pane. Non c'era nient'altro che pane. Splendido pane, pronto alla vendita. Senza sbagli. Senza bruciature. Aveva lasciato dietro di sé tutto quello che non serviva più, un taglio netto per concludere, o forse per riprendere da dove si era fermato. Quella pagnotta bruciata fu l'unica cosa che portò con sé, forse perchè era la cosa che gli aveva fatto ricordare nuovamente cosa significasse vivere.
Un giorno come un altro. Per i più era semplicemente questo. Una mattina come tante. Ma non per lui, non più.

BiMan

16 commenti:

  1. Ciao BiMan,
    secondo me ci sono alcune cose che vanno tolte e altre che possono essere tenute.
    Cose negative:
    - Non mi convince molto l'inizio delle frasi molto fiabesco: "Un giorno" "Accadde una notte" "Quella notte".
    - Ci sono un bel po' di ripetizioni (soprattutto verso la fine) che alla lettura stonano tanto: pane-pane momento-momento sorriso-sorriso
    - In generale, ma questa è un'opinione personale quindi da prendere con le pinze, non mi convincono le lezioni spiattellate (la questione del pane bruciato mi ricorda un sacco la questione razzista del bianco/nero, ma fonti esterne mi hanno detto che probabilmente mi sbaglio!). Secondo me il lettore deve avere uno spazio personale per le sue opinioni, per la sua interpretazione. È quello che cerco io in un pezzo.

    Cose positive: mi piace molto la delicatezza in armonia con il personaggio, c'è molto silenzio in questo pezzo, molta lentezza e questo ti fa entrare nell'atmosfera giusta. Leggendo immagini di essere la notte insieme al fornaio a infornare il pane, questo è un grandissimo pregio.
    Consiglio: Flaubert ogni volta che scriveva un pezzo, scendeva in piazza per leggerlo a voce alta in mezzo alla folla, da lì si accorgeva se il pezzo funzionava oppure no. Prova a leggere a voce alta il tuo pezzo, ti accorgerai di un po' di cose che andrebbero tagliate proprio perchè stonano alla lettura.

    Beh, allora ti do il mio benvenuto in classe, spero di rileggerti!
    A presto!

    Federico

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    1. Eh eh... Ciao Federico, provo a dire anche la mia, giusto per ribadire il fatto che non esiste "il racconto" ma esistono "tanti racconti quanti sono i lettori". ;)

      - L'uso di"quella notte", "una notte come tante", ecc è fiabesco, è vero. Però questa è una fiaba. Io le lascerei.
      - Le ripetizioni: è vero, qualche volta stonano, ma il tre-volte-pane del penultimo paragrafo ("Al sorgere del sole..") suona bene - assomiglia alla nota bassa degli arpeggi sulla quale la mano sinistra insiste.

      Concordo, invece, sull'osservazione riguardante alcune stonature qua e là. In molti casi, basterebbe togliere, semplificare.
      L'esempio più evidente è in questa frase: "L'abitudine a credere che, chiudere qualcosa in un recinto, potesse evitare di provare dolore, senza accorgersi che l'unica cosa che riusciva ad evitare, era la vita". Al di là del numero "esagerato" di infiniti (7 in un unico periodo), e una punteggiatura un po' incasinata, c'è una complessità pesante che si nota non appena si legge la frase ad alta voce,
      Poi: perché "chiudere qualcosa in un recinto" è tra virgole come se fosse un inciso? E' il soggetto di "potesse evitare".
      Poi: "che chiudere... potesse evitare di provare dolore": letteralmente, è "chiudere" che "evita di provare dolore". Invece si voleva dire qualcos'altro, giusto?
      Propongo: L'abitudine a credere che chiudere qualcosa in un recinto potesse evitargli di provare dolore; non si accorgeva, però, che l'unica cosa che riusciva a evitargli era la vita." Potrebbe andare?

      Per il resto, fiaba tenera, sognante, natalizia. Bravo/a BiMan!

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    2. ahahaha, Paolo, non ho detto che li toglierei, sto bene attento a mettere sempre il "secondo me" e "per mia opinione" quando si parla degli scritti degli altri.
      Sul fiabesco sono pronto a fare un mezzo passo indietro, ma sulle ripetizioni non cedo (stonano e a volte sono proprio inutili, c'è sempre un modo per evitarle).
      Sono d'accordo su alcune frasi che risultano "pesanti" alla lettura e anche un po' contorte.

      Per il resto a me è piaciuto, anche se non sembra, ma concordo sul fatto che la maestra sia una palestra per tutti, scrittori e, soprattutto, lettori.

      Federico

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    3. Penso sia giusto spiegare perché leggere ad alta voce faccia la differenza: è una questione di tempi. Il pensiero è molto più veloce della parola pronunciata quindi se una frase è lunga o inceppa da qualche parte, il pensiero, che la scorre rapidamente, non lascia emergere il difetto. A voce alta si colgono meglio anche gli errori d'interpunzione. Più che leggere, infatti, il proprio testo si deve recitare, ne guadagna in salute. Non dico questo per gli addetti ai lavori che lo sanno benissimo, ma per chi è solo all'inizio di questa meravigliosa avventura.

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  2. BiMan, chi sei? Questa storia è bellissima e tu l'hai raccontata in un modo così poetico e profondo da farmi gioire per la tua scrittura e un bravo/a anche per la capacità di stanare ciò che di solito si cela dietro una smorfia o uno sguardo assente.La vita umana troppo umana dei cosiddetti perdenti. Ora quasi quasi la rileggo per la terza volta!
    PS: Come diceva la Yourcenar, scrivere è come fare il pane!

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  3. Secondo me è scritto da una lei. Il pane bruciato gli farà sfornare tanto altro pane buono, dorato. La vita va avanti e con le ferite si migliora. Qualche difetto di scrittura c'è, ma le immagini arrivano perfettamente e già questo è un gran pregio. Benvenuta (?) e auguri.

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    1. ho pensato anch'io la stessa cosa: sembra una scrittura femminile... ora sono curioso di sapere chi è!

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    2. il sesso della scrittura non mi ha mai realmente entusiasmato...ho amato scrittrici "maschili" come scrittori "femminili"... non trovo il sesso di chi scrive qualcosa che mi interessi più di tanto. :)
      Meis

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    3. era mera curiosità ingegneristica! ;)
      un anno ero giurato in un concorso di racconti: mi arrivavano anonimi, e mi sono divertito a provare a indovinare il sesso dell'autore
      beh', ho sbagliato praticamente il 50% dei racconti, e visto che c'era una possibilità su due di fare giusto, se avessi tirato a caso avrei ottenuto lo stesso risultato... ;)

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    4. eh eh eh eh anch'io non c'azzecco mai ;)
      Meis

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    5. Ma comunque secondo me esiste una scrittura femminile e una maschile..per esempio Paolo Giordano nella solitudine dei numeri primi scrive come solo una femmina sa fare :)

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    6. Anche io lotto per il riconoscimento dell'identità di genere della scrittura nei testi letterari. Lotta dura senza paura!
      Giovanni Alberto Arena

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  4. Ciao BiMan, questo tema è di una delicatezza e sensibilita' incredibili.
    Citi la rugiada e questo tuo modo di scrivere le assomiglia modo.
    Per me è un SI MI PIACE morbido come una pagnotta di pane appena sfornata.

    Benvenuto in classe e w i carboidrati!
    ( siediti vicino a me che " toglietemi tutto ma non le biove"

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  5. Bel racconto, poetico e delicato .
    Benvenuto/a in classe BiMan !

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  6. Racconto soave che a me è piaciuto. C'è un po' da lavorare sulla scrittura, probabilmente, ma chi se ne ... Anche sul fatto di leggere a voce alta, vero è, solo che talune volte a forza di scorrere e rivedere un pezzo va a finire che non senti più ripetizioni, errori e simili e non ci capisci più nulla! Poi se sei un uomo o una donna non ha importanza alcuna: concordo col Meis e con la Wood.
    BiMan ben venuta/o in classe!
    L.I.

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