Svolgimento
Quando i miei genitori comprarono la casa in montagna, nel 1981, io e i miei fratelli ci organizzammo per portarci dietro qualcosa da leggere: serviva qualcosa di poco impegnativo, e che potessimo lasciare lì da un’estate all’altra senza troppi rimpianti. Optammo per un pacco di Topolini avanzati da una vendita di giornalini organizzata dai bambini del quartiere.
Ogni anno, quindi, le storie che leggevamo erano sempre le stesse, ma noi eravamo sempre diversi: a dieci anni ricordo che mi mancava la figurina numero 106 dell’album di Candy Candy, a quindici aspettavo con ansia una telefonata della mia ragazza che era partita per le vacanze con un ritardo nelle mestruazioni di tre giorni.
Due mesi erano lunghi – già dopo una settimana sapevo ogni battuta a memoria. Mi leggevo anche le pubblicità (Paolo Rossi con le Galatine, Daniela Goggi con le Big Bubble), e tutte le rubriche - tra le quali c’era “La posta di Topolino”.
Domande da Giovani Marmotte: Caro Topolino, ma è vero che il muschio cresce solo sul lato nord degli alberi?
Domande da cultori: Caro Topolino, di cosa è fatta la calzamaglia di Super Pippo?
Domande da posta del cuore: Sposerai Minnie?
La mia preferita era questa:
Caro Topolino,
ho otto anni e sono innamorato della bambina più bella della classe: è una vera principessa e io ho perso il cuore per lei. Ma lei non mi guarda nemmeno, perché dice che sono brutto. Per quale motivo non si pensa a cosa c’è nel nostro cuore? Dentro io sono bellissimo, e meriterei il suo amore più dei bambini per i quali lei perde la testa.
Cosa devo fare?
Un piccolo ranocchio
Conosco Francesco da cinque anni.
Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto: eravamo a Bologna, alla libreria Betty Books, tra falli di gomma e vibratori da tasca (era un circolo che promuoveva il piacere della donna), e lui presentava la prima raccolta della casa editrice che aveva appena fondato con suo cugino Angelo, l’allora sconosciuta Neo Edizioni. Aveva una barba folta e spettinata, i capelli ricci attorno al viso, un maglione di lana sapientemente trasandato, e gli occhi di tutte le donne presenti addosso.
Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto: eravamo a Bologna, alla libreria Betty Books, tra falli di gomma e vibratori da tasca (era un circolo che promuoveva il piacere della donna), e lui presentava la prima raccolta della casa editrice che aveva appena fondato con suo cugino Angelo, l’allora sconosciuta Neo Edizioni. Aveva una barba folta e spettinata, i capelli ricci attorno al viso, un maglione di lana sapientemente trasandato, e gli occhi di tutte le donne presenti addosso.
Con il tempo, io e Francesco ci siamo conosciuti bene – lui è diventato il mio editore, e poi uno dei miei migliori amici. Ci capita spesso di andare in giro insieme – alle fiere del libro (non solo Torino: c’è stata anche la commovente desolazione di Lugo), alle presentazioni, nei bar a prendere un caffè (corretto Sambuca), nelle pizzerie a orari impossibili. E ogni volta è sempre la stessa storia: entriamo, e tutti gli occhi di tutte le femmine presenti nel raggio di cento metri si girano verso di lui. Mi aspetto di vedere scritto sulle palpebre: “Kiss me”, come nei film di Indiana Jones. Ogni cosa che dice – basta un “ciao a tutti” – crea uno scompiglio nei cuori di queste ragazze, di queste madri, di queste nonne di ragazzi che avrebbero potuto essere stati compagni di classe di Francesco. Io, con la mia frittatina di pelo in testa, gli occhi sporgenti, la barba a macchie, la panzetta, il mio sguardo normale, i miei lineamenti di tutti i giorni, divento una creatura trasparente.
**
Nel mio periodo oscuro, attorno ai trent’anni, andavo con un certo Chicco in una specie di discoteca che si trovava in centro a Padova – e ci sono giorni in cui mi chiedo se sia mai esistita veramente: penso che se tornassi lì, ora, troverei un cratere, o l’ansa di un fiume, o una casa di quelle che se ci suoni il campanello ti risponde una vecchietta che dice di aver sempre vissuto lì.
Andavamo lì per ozio, per vizio, per malvagità. Ci mettevamo ai bordi della pista, stravaccati su poltroncine di pelle rossa – come romani del tardo Impero, Eliogabalo e il suo sodale più corrotto - con due tanichette di gin tonic, l’occhio che era l’acquario di un ristorante cinese, e guardavamo la battaglia che si consumava sotto la sfera di specchietti e le luci strobo.
Due eserciti – i ragazzi e le ragazze - si combattevano a colpi di ancheggiamenti, mosse alla Toni Manero, sguardi ammiccanti, labbra turgide, ascelle profumatissime. E come nella mitologia greca, i primi che se ne andavano erano i più belli: la più figa della discoteca usciva di pista con il macho di turno, per andare a farsi esplorare nei divanetti vicini al nostro. Si elidevano così, a vicenda, una coppia dopo l’altra.
E noi, come cinesi, aspettavamo. Che i cadaveri passassero lungo il nostro fiume. Ci chiedevamo: quanto tempo passerà perché quel cesso, largo e basso, con il mento installato al contrario, si renda conto che non la tirerà su nessuno? O perché quel cane pechinese con le tette capisca che il ricciolino con gli occhi azzurri e la camicia attillata ha progetti ben diversi sul come e sul dove passare la notte? Non serviva sforzo: puntavamo sulla disperazione che avrebbe colto quei mostri quando si sarebbero trovate sole nella pista, finalmente consce che nell’abominevole gioco dell’attrazione fisica loro erano inesorabilmente perdenti. E quando finalmente avrebbero rivolti i loro occhi strabici su di noi – ormai ubriachi fradici e con le gambe di pongo – allora noi ce ne saremmo andati – eravamo cattivi, ma non così brutti - per ribadire loro il concetto che avevano intuito: che se sei un cesso, in discoteca nessuno ti guarderà mai.
**
La risposta di Topolino fu nel suo stile: diplomatica. Non ti preoccupare ecc ecc Vedrai che capirà ecc ecc. Le solite fanfaluche su non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, nelle sue diverse varianti.
Ma io avrei risposto così:
Caro rospo,
il fatto che tu abbia capito di essere brutto, è già un successo. Ma non basta. Infatti tu pretendi che la tua principessa ti legga nel cuore, quando tu, per primo, l’hai scelta solo per la sua bellezza. In realtà, tu non sei diverso da lei, come lei non è diversa da una persona normale: per tutti, è bello ciò che è bello, mentre ciò che è brutto è semplicemente brutto.
Se un giorno andrai in discoteca, capirai tutto: la forma del naso, le dimensioni delle tette, il culo – la sua consistenza, il suo design – il colore degli occhi sono i parametri con i quali si è giudicati: ma soprattutto sono i parametri con i quali tu giudicherai – nonostante la tua bruttezza – chi ti sarà accanto.
Se lo trovi sbagliato, allora, oltre ad essere brutto, sei anche stupido. O cattolicamente ipocrita. La bellezza non è un merito: è il dono di un dio idiota, che dispensa lineamenti e sguardi assassini senza alcuna logica. Allo stesso modo, essere brutti non è una colpa, ma solo un dato di fatto. E conviene rassegnarsi: smetterai di vestirti come un fighetto – nonostante tu abbia la pancia o la gobba o se all’anagrafe, quando ti fai la carta d’identità, ti chiedano: “quanto è basso, signore?” – e smetterai di pensare che sia la discoteca il posto giusto per trovare la tua anima gemella. Smetterai di lanciare occhiate strabiche da sotto gli occhiali che ti scivolano sul naso pieno di brufoli, di girare su un Alfa con il braccio appoggiato sul finestrino credendoti Don Johnson, mentre a tutti ricordi Alvaro Vitali.
Questo non significa che devi rinunciare alla figa: se sai parlare bene, se sei simpatico – o, in alternativa, se sembri un uomo di successo – alla fine potrai conquistare il cuore di qualsiasi donna, indipendentemente dalla tua faccia. Ci metterai solo un po’ di più: dovrai mandare sms, scrivere mail, parlare ore al telefono, farla ridere, farle capire che con te sarà felice. Inventarti mondi stupefacenti. Il tuo essere brutto ti renderà migliore – a cosa servono le parole a uno come Brad Pitt? Ma quando entrerai nei bar con qualcuno più bello di te, non ci rimanere male se nessuna ti guarda.
Perciò, caro tafano, prima di parlare, prima di scrivermi queste lettere, fatti il cesso della tua classe – guardandole dentro al cuore. Poi ne parliamo, ok?
Il tuo bellissimo amico Topolino
Paolo Zardi
ahahahahaha,
RispondiEliminasarebbe meglio, per me, non commentare neanche un post del genere, non vorrei mai e poi mai riaprire certe porte sigillate da tempo manco ci fosse un attacco zombie in città.
Che poi secondo me abbiamo avuto tutti un "amico Francesco"..
Paolo, ti dico solo che il post mi ha fatto molto ridere (soprattutto quella con il mento installato al contrario! ahahahahahahahahahah) e poi basta.
Ciao, vado via che sento una porta che dà segni di cedimento e devo andare a rinforzarla con travi di legno e chiodi!
Federico
Porte sigillate? Cedimenti? Zombie in città? Puoi mettermi a parte? Non vorrei aprirla neanch'io, quella porta, se è così rischioso... Quanto al racconto mi sono divertita e ho apprezzato tema e scrittura, dai tre aggettivi: intelligente, arguta, vivace.
EliminaAnche io vorrei un Francesco..ma non per amico :)
RispondiEliminaanonima anonimissima
Racconto molto bello. certo sei uno scrittore, e commentare la tua scrittura, per me, sarebbe ridicolo, ma quando si scrive qualcosa di bello e anche bello poterlo dire a chi lo ha scritto. Un piccolo viaggio sulla memoria, sulla verità, sulla malattia della giovinezza che comincia tra i banchi di scuola, con le sue difficoltà (non certo uguali per tutti, ahahah vedasi Francesco). "Farsi amare" per quello che si è richiede tutto quello che hai scritto tu. Bravissimo, ironia, verità, acume.
RispondiEliminada diversamente bella concordo in tutto e per tutto, in particolare sull'effetto "amico Francesco". Ottimo post, congrats
RispondiEliminaio opto per la campagna "Fatevi l'amico Francesco"
RispondiEliminaimpegno, costanza, lavorio ai fianchi e disponibilità della spalla durante emergenze affettive: paga sempre, fidatevi! eh eh eh
Detto la stupidata, Grazie Paolo per essere tornato... e si ci prendi gusto la classe ha le porte spalancate ;)
Meis
Caro Paolo,
RispondiEliminaAnch'io ci andavo in quella discoteca e il mio divertimento era speculare al tuo.
Quelli che come come te si confondevano alla tappezzeria o si facevano deformare la faccia dai riflessi della luce strobo affogata dentro i loro gin tonic, quelli come te , dicevo, io in realtà li amavo e li benedivo perché sai che noia se tutti tutti si fossero fiondati in pista a provarci o a pestarmi i piedi? Cosa peraltro quasi impossibile visto come mi dimenavo.
Io infatti in discoteca ci andavo per scatenarmi. Mi sentivo tanto la sorella segreta e sfigata di Tony Manero e me ne vantavo pure!
Appena entrata in disco, tutta gasata peggio di una gazzosa (bevanda da museo ormai) mi piazzavo in pista per ore SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per ballare e poco a poco con le mie piroette scoraggiavo qualunque ballerino appiccicoso e bavoso,all'occorrenza anche con qualche pedata.
Non me ne è mai fregato niente di rimorchiare. A me piaceva ballare da sola.
Quanta felicità quando la pista si svuotava e si rimaneva in quattro gatti: io, ciccio pasticcio e quella con il mento installato all'incontrario.
Mi viene in mente la bellissima poesia di Yeats:
''How can we know the dancer from the dance?''
E come non c'è vita senza la morte,come avrei potuto divertirmi tanto senza la vostra GRADITA assenza-presenza?
Adesso ti sei ricordato di me? ;-)
:-)
Naturalemente il racconto mi è strapiaciuto perchè ormai sono una tua FAN! E ti devo ringraziare per aver riportato alla mia mente quei momenti di gloria e puro divertimento!
Ah ah, bello vedere la stessa storia raccontata da un altro punto di vista! ;) Io odiavo le discoteche - ballare non mi dispiaceva (anche se di Tony Manero avevo proprio poco), ma mi sembrava di essere in un mare pieno di tante solitudini... ho capito cosa significa essere sordomuti - l'impossibilità di comunicare.
EliminaMa andavi proprio in quella specie di cantina di via Giotto? Ti ricordi come si chiamava?
Io preferisco Angelo (Biasella!)
RispondiEliminatiè
GD
Eh eh... Angelo è decisamente un bell'uomo - di una bellezza diversa, però. Francesco accoglie, Angelo è un lupo marsicano. ;)
EliminaScrivila! Ci sarebbe da divertirsi!
RispondiEliminaA commentare questo brano si rischia di cadere nel banale.
RispondiEliminaPosso solo dire che mi è piaciuto un casino. Grandissimo Paolo Zardi!
Capolavoro di maschilismo da cui si evince che se sei un uomo cesso ma sei simpatico intelligente e sveglio potrai avere tutte le donne del mondo; se invece sei una donna cessa resterai sola e ti attaccherai al tram, pur essendo intelligente, sveglia e simpatica. Da cui ne deriva che mentre una donna può innamorarsi della bruttezza se accompagnata da intelligenza simpatia (e perchè no pure qualche soldo), giammai potrà farlo un uomo. Ed è tutto tragicamente vero, come sono sempre tragicamente vere e belle le storie che racconta Zardi. W le donne.
RispondiEliminaE' vero: è un racconto maschilista. Soprattutto: è un racconto. Della bellezza ci si stanca presto, dell'intelligenza mai. E questo vale per uomini e donne. Sarebbe bello leggerne una versione femminile! ;)
Eliminaeheh... è sempre un godimento indescrivibile, per me e il mio alterego J. Stronkabook, considerati (giustamente) dei mangiascrittori italiani, poter leggere un altro perfetto capolavoro di Paolo, e potergli dire: Chapeau, Collega!! :)
RispondiEliminaUn racconto che è una goduria, pieno stracolmo di verità, l'unica domanda senza risposta è: Caro Paolo, ma Francesco sposerà Minnie? (emoticon neo)
RispondiEliminaLa cosa buffa di Francesco è che, oltre a essere unanimamente considerato l'uomo più bello del mondo, è innamorato e fedelissimo: non l'ho mai visto ricambiare un solo sguardo, mentre quando era con sua moglie aveva gli occhi colmi di tenerezza. Bello fuori, e bello dentro!. ;)
Elimina... e se ci mettessimo le Giovani marmotte al governo?!?
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