Le briciole di pane sparse sulla tovaglia, uno dei due bicchieri vuoto, l’altro con un dito di vino. Rosso come piaceva a lui. Sul tavolo anche il suo cellulare.
Rigiravo la tazzina del caffè quando mi accorsi della sua impazienza. Con gli occhi sbirciava continuamente l’orologio. Era domenica, non avevamo altri impegni.
Cominciai ad osservare i suoi movimenti, la contrazione della mascella, i polpastrelli delle sue mani che si toccavano nervosamente; era palese, cercava le parole giuste.
Io parlavo delle solite cose, ma già da qualche minuto non rientravo più nel raggio della sua visuale.
Cercando di capire, non avevo ancora formulato nessuna ipotesi, stavo solo vagliando sensazioni, mentre l’ansia cominciava ad allertare i miei nervi.
«Qual è il problema?» chiesi intrecciando le dita e sporgendomi verso di lui.
Quello che accadde dopo mi trascinò tra le fauci dell’assurdo.
Lo guardavo come si guarda un’opera d’arte della quale non si comprende la vera natura, ma che suscita disgusto perché sovverte tutti i canoni della bellezza stessa.
La nostra unione era di per sé un’opera d’arte. Stavamo insieme da vent’anni e, seppure senza figli, avevamo condiviso una vita ricca, piena di emozioni, tante gioie, tanti progetti, quasi tutti realizzati.
Certo non ero mai vissuta nell'illusione che tutto potesse rimanere uguale per sempre. Né l’intensità né la qualità del nostro rapporto.
Non era un’attesa ineluttabile, ma un timore quasi congenito, naturale. Senza pessimismo, con consapevolezza. Era per questa insinuante apprensione, forse, che non mi ero mai risparmiata.
Le sue parole scorrono senza argini e non avranno frontiere. Se ascolto non capisco, se capisco, non voglio credere.
Non si è mai pronti a recepire verità che ci escludono dal futuro, che smantellano il passato.
Non si è mai pronti.
Tutto accade sempre troppo all’improvviso.
Il suo cellulare vibra sul tavolo, risponde alla chiamata con un monosillabo.
Si alza, si scusa, ha già le mani sopra la spalliera della sedia, sistema quella sotto il tavolo e mi dice: «Vado via da casa.»
Adelaide Jole Pellitteri
Diciamo pure che della tragedia "consapevolmente incombente" mi rimarranno impresse le "fauci dell'assurdo". Che poi fauci non sono. E neanche possiamo appellarci a tutto 'st'assurdo... ;))
RispondiEliminaCapisco che tu non ci trovi "l'assurdo" perché in realtà il racconto, per entrare nel post, è stato mutilato. Ciò nonostante non trovo azzeccato l'appunto sulle fauci. In genere sono molto attenta alla scelta delle parole anche quelle che sembrano banalissime (non uso mai un linguaggio forbito, non ne sono capace, però quello dico lo rigiro mille volte per trovare la parola esatta). Le fauci indicano proprio l'attaccatura della lingua dove, più precisamente, avviene il passaggio del cibo per essere ingoiato. E questo era ciò che voleva indicare. La sua storia viene inghiottita, poteva aspettarselo per ovvietà della vita, ma non era pronta.
RispondiEliminaTi ringrazio per avere letto con tanta attenzione. Amo molto le osservazioni, da quelle imparo moltissimo, sempre. Grazie Lampur.
questo posto mi piace molto, ha grande lentezza, dovizia di dettaglio, la sua cifra è la noia delle cose che funzionano senza grandi guizzi, bello assai.
RispondiEliminail finale non mi diverte, poteva funzionare anche senza l'SMS, però a volte mi pare che sembri necessario inserire un effetto speciale.. può anche non succedere nulla oppure rimandare su un altro piano l'evento che cambia qualcosa; per essere banali poteva rompersi il bicchiere, o andare via la luce, o bloccarsi la lavastoviglie. O essere finita la carta igienica.
Jole dà grandi soddisfazioni, W W W
GD
GD Commossa sono. (ce lo posso mettere il punto esclamativo?) AhAhAh
RispondiEliminaQuesto pezzo mi piace, drammatico e reale. La difficoltà del relazionarsi nella coppia e il concetto di scontato credo che siano in stretta connessione, ma è solo una mia opinione. Triste, vero e scritto bene: brava!
RispondiEliminaNina
Grazie Nina
EliminaMah, vedo che è periodo: anche questo è un post che prende a sberle! Scritto bene, chi legge già sa dove si va a parare, ma la peculirità sta proprio nel titolo "Non si è mai pronti". Si, si prova ad esserlo, ma nella sostanza non lo si è, e tu sei riuscita a descrivere questo stato di cose con tanti piccoli particolri e una naturale semplicità. Brava. (Emoticon dell'addio)
RispondiEliminaL.I.
Grazie L.I. sono una fan del "semplice, conciso e deciso" a volte basta un solo "schiaffo" dato bene piuttosto che una lunga sgridata, una scalciata contro i muri, una serie incontenibile di imprecazioni ecc ecc. Suppongo sia tutta colpa dell'età. (attenzione non mi sento affatto vecchia, ma più matura di un tempo sì.)
EliminaBrava Jole, una semplicità disarmante per narrare un fatto tanto visto e rivisto eppure sempre inedito: la fine delle cose è nelle cose, è di stringente logica, ma quando lo viviamo in prima persona ci sembra il trionfo dell'illogico, un assurdo che ci ingoia e ci lascia inermi, buccia di noi stessi...
RispondiEliminaHo adorato quella sedia sistemata alla fine sotto il tavolo, questo lo chiamo raccontare per immagini, complimenti!
pat
Grazie Pat, per chi scrive sai bene cosa significhi leggere un giudizio simile. Grazie, grazie davvero.
RispondiEliminaJole, brava, anzi bravissima a rendere la stanca riluttanza e l'opposizione quasi senza speranza al disfacimento ineluttabile, alla dissoluzione; e poi la lucida presa d'atto di ciò che è presente in noi sin dall'inizio di qualsiasi tempo, quel 'congenito timore', che tutto sia in fondo predestinato a finire e a morire, nonostante noi e la nostra opposizione. Ed è quella fottuta riluttanza ci fa soffrire, perché,come scrivi magistralmente:
RispondiEliminaNon si è mai pronti a recepire verità che ci escludono dal futuro, che smantellano il passato.
Non si è mai pronti
Grazie per questo post.Ci ho trovato molta verità.
Esprime in maniera davvero efficace quel tipo di dolore contro cui non puoi nemmeno scagliarti con rabbia. Quel tipo di dolore che ti si incastra dentro e ti taglia come un vetro rotto...E ogni volta che ci ripensi quel vetro fa male, troppo male.
Bea
Grazie Bea il tuo commento vale più del mio post (grazie anche per Twtter)
RispondiEliminaJole, il realismo del tuo pezzo mi costringe a parlare in modo serio e sai bene che non ne sono capace. Secondo me, non si è mai pronti perché delle volte non si vogliono leggere i segnali che precedono, potrebbero essere utili a incassare meglio un colpo e riprendersi al più presto. Ciao. (emoticon delle royalties che prima o poi chiederò a Lucia)
RispondiEliminaGli eventi accadono in mille modi, e spesso si vede solo quel che si vuol vedere, per questo a volte i segnali non li notiamo. Riprendersi subito è l'unica via di salvezza. Forza indomita contro ogni dolore.
EliminaCiao, mi chiamo Mary, adoro scrivere...e trovo molto bello il tuo pezzo....semplice e particolare....brava.........
RispondiEliminaCiao Mary e grazie, beh se ami scrivere ti leggeremo presto. Leggere i giudizi è molto interessante, quelli belli (o buoni) ci inorgogliscono, quelli severi ci fanno riflettere e spesso insegnano anche.
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