La vita è fatta di strane vicissitudini e la parte più eccitante di questa, viene risaltata dagli eccessi. Esistono infatti eccessi di vita, eccessi di tragedia, eccessi di perversione e così via; è come planare, e per riprendere quota bisogna prima avvicinarsi al fondo altrimenti si rischia di picchiare verso il suolo e creare più disastri di quanti se ne possano immaginare. Questo racconto narra di un volo lungo un'eternità, e comincia dalla fine, l'atterraggio.
Sid aveva i capelli lunghi, poi decise di non pensare più e quindi li tagliò. Ha le borse agli occhi perché vive di notte e scrive sempre (o quasi), anche se quel che dice alla gente è che ci teneva i pensieri che gli restavano; è cambiato come cambia un paguro. La sua testa vive altrove, «chissà dov’è » si chiede spesso; anche se le scelte che si prospetta sono soltanto due: persa forse durante uno dei tanti colloqui di lavoro o durante quella giornata a Milano. Non riesce a spiegarsi come mai dopo quest’ultimo litigio restino sospese per aria ancora tante cose, tra lui e Pinhead. D’altra parte i due si amano e come potrebbero non farlo? Chi in un modo, chi in un altro, il risultato è sempre quello. Si rincorrono come gatto e topo, non avrebbero senso se fossero diversi. Si danno del filo da torcere e litigano come pazzi, forse soltanto per poi fare la pace. Adesso è a casa, a tarlare il legno dello specchio con gli occhi e a parlare da solo. Sembra un matto: «Dannate pazze, mettete la faccia sempre dove non va bene, il naso poi, non ne parliamo. Siete peggio delle parole che fanno pendant con altre parole, situazioni da stellina in più per guadagnarvi un posto vicino al culo del professore. Io vi odio e per questo vi amo, quindi lasciatemi il silenzio e non rompete i coglioni per una volta, che si sta meglio tutti così, lasciatemi il silenzio e quando mi romperò anche del silenzio ve lo farò sapere, care dannate pazze! »
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Sid aveva i capelli lunghi, poi decise di non pensare più e quindi li tagliò. Ha le borse agli occhi perché vive di notte e scrive sempre (o quasi), anche se quel che dice alla gente è che ci teneva i pensieri che gli restavano; è cambiato come cambia un paguro. La sua testa vive altrove, «chissà dov’è » si chiede spesso; anche se le scelte che si prospetta sono soltanto due: persa forse durante uno dei tanti colloqui di lavoro o durante quella giornata a Milano. Non riesce a spiegarsi come mai dopo quest’ultimo litigio restino sospese per aria ancora tante cose, tra lui e Pinhead. D’altra parte i due si amano e come potrebbero non farlo? Chi in un modo, chi in un altro, il risultato è sempre quello. Si rincorrono come gatto e topo, non avrebbero senso se fossero diversi. Si danno del filo da torcere e litigano come pazzi, forse soltanto per poi fare la pace. Adesso è a casa, a tarlare il legno dello specchio con gli occhi e a parlare da solo. Sembra un matto: «Dannate pazze, mettete la faccia sempre dove non va bene, il naso poi, non ne parliamo. Siete peggio delle parole che fanno pendant con altre parole, situazioni da stellina in più per guadagnarvi un posto vicino al culo del professore. Io vi odio e per questo vi amo, quindi lasciatemi il silenzio e non rompete i coglioni per una volta, che si sta meglio tutti così, lasciatemi il silenzio e quando mi romperò anche del silenzio ve lo farò sapere, care dannate pazze! »
Pinhead ha ancora i capelli lunghi, ma dice di volerli tagliare perché ne ha passate tante, ed è cambiata come cambia un paguro. Ha le mani sulla testa, perché non le piacciono gli ombrelli ed in un modo o nell’altro deve mettere un punto nero da qualche parte, solo non sa come, l'aria si fa pesante quando ad urlare si è in due. D’altra parte i due si amano e come potrebbero non farlo? Si rincorrono come gatto e topo, non avrebbero senso se fossero diversi. A lei piace dargli del filo da torcere e litigare, forse soltanto per poi fare la pace. Tra le mani stringeva il telefono ormai sudaticcio: «Ma perché? Perché dovremmo darti ciò che vuoi? Cosa sei? Siamo da soli e siamo in due, in tre, in quattro, quando ci guardi allo specchio, perché ti muovi ed assapori ogni scroscio, che neanche dal buco della serratura ne vedrai mai così tante, di pazzie, mai, nemmeno se vai in mezzo ad un trionfo di frutta esotica a farti un giro in bici, mai e poi mai. Alternerai il silenzio alla mattanza e farai un casino che anche tu vorrai tapparti la bocca, ma non ci riuscirai, perché siamo una cosa sola ». Era arrabbiata con lui, perché non riusciva a capire niente di ciò che succedeva, questa situazione non aveva un fine ben preciso, quindi come al solito s’era sfociato nel brutale. Era assurdo continuare in questa maniera, sentiva lo stomaco torcersi e i capelli pesanti come un temporale. Lei era una buona ragazza e una buona compagna, un’ottima persona, non poteva permettersi il lusso di farsi barare da lui. « Tanta fatica per nulla », pensava. Inviò l’ennesimo sms.
Sid ebbe da dire, girovagando per l’anticamera di casa sua, ad alta voce, proprio come un matto, parlando con lo specchio. Aveva le gote rosse per la rabbia ed aveva paura; affrontare una situazione del genere proprio adesso, gli rendeva il mondo più inutile di come lo credeva già, anche le più tragiche speranze erano in bilico tra la fune e il nulla. Prese il telefono tra le mani, lesse il messaggio e scoppiò in una risata isterica, ciò che ne seguì, fu un discorsetto abbastanza crudele, guardando il telefono: « Ebbene, tu parli ancora perché t'ascolto, sei putrida più delle fogne di Beirut, tu, mi sembri il colera quando ti guardo, mentre la mia è solo collera che ha bisogno di silenzio per dormire, non di buonismi da principessa Sissi. É come se combinassi i guai non per colpa tua, sai di combinare guai e l'unica cosa che fai è trovare una scusa per giustificarti, quando mi piacerebbe sentirti dire un dannato punto a tutto il discorso, non ti chiedo l'umiltà, ti chiedo di star zitta perché non mi importa di sentire, vorrei essere sordo. » – sentiva che tutto questo stava per arrivare ad una fine molto brusca, la vicenda era diventata più grande. Accese lo stereo, prese carta e penna e cominciò a scrivere.
"La musica pop è tutta uguale, come questa storia. Certo, è la più bella all’inizio, ma tutto è destinato a finire e adesso mi chiedo se penso così perché sto ascoltando ‘sto pezzo, oppure se è qualcosa che ho sempre pensato, se mi sto arrendendo. Io cado ogni giorno in un pozzo di domande perenni, dal quale non riuscirei mai ad uscire se lei non ci fosse. È una storia strana, è una storia pesante, assente, chiamala come ti pare, Sid, chiamala come ti pare, ma è la tua salvezza." - Concluse così, in silenzio, pensando al suo corpo senza testa.
"La musica pop è tutta uguale, come questa storia. Certo, è la più bella all’inizio, ma tutto è destinato a finire e adesso mi chiedo se penso così perché sto ascoltando ‘sto pezzo, oppure se è qualcosa che ho sempre pensato, se mi sto arrendendo. Io cado ogni giorno in un pozzo di domande perenni, dal quale non riuscirei mai ad uscire se lei non ci fosse. È una storia strana, è una storia pesante, assente, chiamala come ti pare, Sid, chiamala come ti pare, ma è la tua salvezza." - Concluse così, in silenzio, pensando al suo corpo senza testa.
Tutto cominciò quando Pinhead si disse sicura di se, ma per quanto lei si ripetesse che sarebbe andato tutto nel modo migliore, ci credeva poco o niente e questo influiva negativamente in tutta questa storiella che pareva di fate e fatine. Sid non riusciva a perdonarle queste paure, questi scatti senza sparo di pistola, considerati, quindi, degli scatti assolutamente non validi. "Non fanno bum", diceva sempre prendendo come esempio la scena del Peter Pan di Disney, in cui Capitan Uncino sentiva il ticchettio della sveglia, "non c’è il rumore e quindi è più che lontano. Tutto quello che c’è, è solo un lieto fine forzato", non c'è molto da dire e anche se si lamentava come un cane, sapeva che quell'osso non era piccolo come quello degli altri cani, sperava sempre ne crescesse uno gigantesco e quindi lo sotterrava. Sapeva che sarebbe sempre stato così e viceversa. Lei, invece, sperava sempre che quello fosse soltanto il suo stomaco che si voltava e tornava a posto, tentava in ogni modo di far capire a Sid che non era lei, ma che lei era piccola nonostante fosse più grande di lui. Adesso è a nuotare tra le lenzuola del letto, già sfatto dalla sera prima, chiusa a chiave e con la musica ad alto volume e contenuto esplicito attivo "Un giorno sentirai il bisogno di sentire, eccome se lo sentirai, vedrai che tutto questo ti verrà a mettere le mani al collo in futuro, ti stringerà come il colletto della camicia che tieni sempre sbottonata. Cos'è? Paura? fatichi ad uscire dai vestiti?" - decise di andare da lui, le mancava di far pace e sarebbe tornato comunque tutto al suo posto. Indossò le Converse verdi, i jeans e una delle sue maglie sgualcite, legò quei fastidiosissimi capelli (sapendo che lui si sarebbe infastidito a vederli legati) e prese a camminare. Vedeva il paese come una sorta di cassaforte che la proteggeva da occhi indiscreti, lo conosceva a memoria e non avrebbe desiderato mai qualcosa di meglio. Nascendo lì e passando lì ogni Natale si era ormai abituata a tutto questo, passavano gli anni e passavano le persone, passavano i negozi che prima erano aperti e adesso sono chiusi per via della crisi, mentre camminava verso casa di Sid. Si perdono sempre un po’ di gradi agli occhi, un po' dell’innocenza e ritrovi le bugie, le vecchie paure, e lei le ritrovava sempre perché non le perdeva mai veramente e le sbucavano davanti agli occhi, magari quando ritornava a casa, passando sotto al neon della farmacia vicino casa o quando andava al cinese in auto e non sapeva la strada. Il bruco enorme la fissa con quel visino simpatico e fanciullesco, le ricorda tutte quelle cose che quando non lo vede non ci pensa. Arrivata all’uscio, adocchiò il cognome al citofono e pigiò: « Senti, dobbiamo parlare, quindi apri perché è importante credo, non credo d’essere niente per noi e non credo che noi siamo niente per noi, quindi dobbiamo parlarne, perché se stiamo adesso in silenzio un giorno, quello in cui sentirai il bisogno sarà troppo tardi » Sid aprì il portone e la aspettò davanti la porta di casa, con la spalla sulla porta aperta e sotto la luce gialla dell’anticamera. La accolse con un bacio, ma stavolta aveva il viso duro, duro davvero, non si era ancora ripreso però s’era calmato al punto tale da permettersi un bacio: « Un giorno, forse, ne sentirò il bisogno e quindi andrò al bagno. É questo che si fa quando si ha bisogno, no? Non è così importante, ma il silenzio mi fa stare bene, perché ogni giorno c'è una caciara che neanche immagini ed io non ce la faccio più ad ascoltare, voglio un silenzio così bello da morire in attesa sul mio cuscino, ogni notte, l'invidia d'ogni camaleonte al buio, due code messe da parte a tenerne la conta per non perdere il filo e una vista da favola, mica del mare, mica della montagna, io voglio le nuvole » lei di stucco, restò impassibile, quasi coperta di lacrime rispose con voce flebile « Ma allora è proprio vero, sei una persona cattiva. Non aveva torto chi ti diceva così, proprio non ne aveva. Sei un principe del niente, sei proprio come me e tu dovrai, un giorno, aprire gli occhi per guardare questo regno di annullamenti, questa grazia che ti porti tra i denti che digrigni e che sembra sorridi quando invece sei arrabbiato. Ti lascerò il silenzio, ma non per darti ciò che vuoi, bensì per darti ciò che non vuoi e tutto questo ti si ritorcerà contro, quando toccherai il fondo » quando Sid le rispose era voltato verso il balcone. Accese una sigaretta e le rispose con la calma di tutto il mondo « Lo saprai quel giorno, perché farò il rumore di mille tuoni e ti accecherò come mille fulmini. Allora avrò quello che voglio e nascerà (a quanto pare) da ciò che non voglio, sarà figlio di ciò che non ho partorito io: il ritorno del figliol bradipo. Un parassita. È questo che vuoi?! No, non lo vuoi neanche tu » - quello che voleva era un minuto di silenzio, ma Pinhead che non aveva ancora compreso bene, scappò di casa credendolo una persona che non conosceva e pensava, correndo come Flash verso il suo letto, verso un posto lontano “Tieniti il silenzio, che io mi tengo le parole, un giorno faremo l’amore e qui resterai incastrato. Il giorno e la notte che desideri tanto, non hai capito che gravano sul mio collo, è da me che devi prenderli e da me che potresti perderli perché io scappo, io scappo sempre e se tu non mi rincorri non ha senso tutto questo. Un giorno sono a destra e l’altro a sinistra, ma se non ho la certezza di trovarti dall’altra parte, che senso avrebbe questo discorso? Siamo distanti di poco e distratti anni luce, ma se questo equilibrio si rompe, cadiamo tutti e due dalla fune, chissà dove. Sento che la pensi come me, ma che hai una pistola caricata a rancori che ti vietano ogni occhialuta visione del mondo, preferisci da cieco e diffidente, tu. Io ti tendo la mano perché ti vedo da dietro, tu invece tendi la mano per acchiapparmi. Saremo insieme comunque.”
A Sid mancava già, come se stesse lontano migliaia di chilometri.
A Sid mancava già, come se stesse lontano migliaia di chilometri.
AS
Difficile e triste ma una soluzione c'è. In fondo. Da leggere ancora, con calma.
RispondiEliminaLe virgole, devo sistemare le virgole.
RispondiEliminami rifiuto di leggere se prima non togli "infatti" dal terzo rigo.. ahahahhaa
RispondiEliminagd
per sì e per no l'ho letto tutto; il tuo post ha una disperazione molto lirica, da Ultimo tango a Parigi ma senza lipidi, ottimo pezzo ma stracolmo di piccole imperfezioni di cui tu stesso ti accorgeresti se ascoltassi qualcuno che te lo legge.
RispondiEliminaGD
Purtroppo lo so, ma tempo al tempo provvederò anche a questo. Piuttosto, ma quando si farà sta seduta spiritica con le attrici?!
RispondiEliminaSID
mercoledì alle 21 all'Arsenale delle apparizioni.. c'è una partecpante palermitana, vi metto in contatto?
RispondiEliminagd
Ne parliamo in altra sede, caro. Adesso torno a fare il mio dovere.
EliminaSID
C'è una parte che rapisce. E ti dirò qui di seguito quale. Il tema affrontato con forma nuova, rapida, come lo senti tuttavia, è sempre un rincorrersi senza fine,
RispondiEliminaQui di seguito la parte migliore:
"Si perdono sempre un po’ di gradi agli occhi, un po' dell’innocenza e ritrovi le bugie, le vecchie paure, e lei le ritrovava sempre perché non le perdeva mai veramente e le sbucavano davanti agli occhi, magari quando ritornava a casa, passando sotto al neon della farmacia vicino casa o quando andava al cinese in auto e non sapeva la strada. "
Ciao