Ci nan ischio watah. Cosa ci fa sveglio il giapponese alle cinque? Fa ginnastica, perfeziona il corpo. Muro bianco, schiena dritta, posizione del loto teravada. Piccoli spasmi contenuti. La bacchetta affetta la schiena scandisce i kangi a ogni goccia di sudore. I giapponesi tengono il corpo meglio della casa. Piccole dita incrociano origami. L’inchiostro non è ancora asciutto, il thè è nelle tazze dei pigmei. Conta le spirali e vedi il verde del thè che ti assale. È necessario bollire l’acqua altrimenti ci viene il colera. Come mai non si sente il traffico? La svizzera Rwandese ha disposto il “clearing day”: nessuna auto e tutti in giro a pulire e sistemare le strade. Perfetto posso andare a giocare a cricket senza fila.
Irene: «sono proprio bravi questi ad usare il machete».
La giornata di volontariato mordicchia in piccole dosi la buona coscienza e problemi post-coloniali. Terra rossa, l’erba si aggroviglia come serpenti. Spine, sudore sorrisi si mischiano. Le mani sporche.
Un comitato di insegnati si riunisce: portano le notizie del presidente Kagame, parlano alla gente come la radio. Notiziari, comunicati: c’e tutto il paese da ricostruire. La modernità da esportare, si prevedono grattacieli e sviluppo: la ricchezza si compra a Bolliwood.
Gli antropologi chiedono la questua alle suore, ospitalità hanno bisogno di un tetto.
Le suore ordinate puliscono, rassettano, cantano, pregano, spendono mezza parola con tutti. Abitano nella zona più ricca di Kigali: strada asfaltata muretto di recinzione. Scuola belga: liceo, elementari, casette raggruppate con orto.
«Avete posto per due ragazzi?»
«Noi vogliamo solo ragazze, mi spiace. Qua non potete stare.»
Delle donne lavano i panni a mano li stendono, strisce di colori, sapone. Questo sabato profuma di serenità. Dobbiamo trovare un posto dove stare. Dopo quattro giorni di divano occupato dai giapponesi mi sa che ci serve una casa. Gli insegnati sono avviliti per il rifiuto delle suore. Tutti eleganti e compatti sfogliano i registri: colletti inamidate sfogliano conoscenze. Il preside della scuola fa sedere tutti all’ombra in linea: gli insegnanti e i due ragazzi. Dove possono andare due bianchi così? Non parlano kiniarwanda, sono zitti e mansueti come i nostri migliori studenti. Il professore di fisica dopo aver calcolato gli equilibri giunge alla conclusione: «io conosco una donna che affitta una casa, se vi va, vi posso portare là.»
Marco estrae il kit da antropologo intatto: agenda convertiore kiniarwanda alla mano conta.
Prof di fisica: «è in un bel quartiere, una bella casa. Fidatevi. »
Irene: «specialmente non sono suore. »
La macchina attraversa la città. Pian piano l’asfalto svanisce e si fa strada la polvere, muri alti, baracche. Inizia il “toto casa”. Ogni cancello, ogni mattone potrebbe essere quello giusto. Le case brillano di colori intensi: giallo blu, verde rosa. Muri alti e baracche si alternano. Una striscia di verde fra la sabbia e i muri. La strada rossa si assottiglia. La macchina si ferma con moderata sicurezza. «Forza ragazzi scendete, siamo arrivati.» Dici centimetri d’erba e sopra la neve rossa. Le rose ben curate, portone verde. Una donna apre colorata. Mostra due case: una totalmente vuota e l’altra è
la sua: cristi, madonne, fiori di plastica appesi, le pareti gialle non hanno pietà del buongusto. Il giardino è circondato da un piccolo canale di scolo. Il giardiniere cura minuziosamente le foglie gialle del lime. La donna siede in veranda, Marco si toglie il cappello per rispetto e le parla in francese con tono elegante.
«staremo cercando una sistemazione, sa siamo due studenti di antropologia staremo cercando una sistemazione carina per due europei.»
«vi do la casa, quella li vuota, con i mobili son centosettanta euro in più, io mi chiamo Marinane.»
Irene: «ma in mucche quant’è?»
Marinane:«le mucche non le usiamo più dal 1994, se vuoi usi direttamente la VISA.»
Marco «ci faccia dello sconto e poi voglio dire: dove troviamo i mobili? Per tre mesi non vale la pena.»
Marinane: «quanti anni avete?»
Irene: «io ventitre e lui venticinque. Maledetto tedesco. Maledetto svedese.»
Marco:« venticinque e ventiquattro lei.»
Marinane: «carini, siete nati come i miei figli che studiano in Belgio, potrei affittarvi direttamente le loro camerette? »
Irene:«cosa dice?»
Marco:«che ci affitta le stanze dei figli da domani. Cosa ne dici ? »
Irene: «ci sta, ci sto! Ma per lavare le cose non ho visto la lavastoviglie né la lavatrice, chiedile come si può fare.»
Marco: «la mia amica voleva sapere come si può fare senza elettrodomestici.»
Marinane:«cosa volete di più? Abbiamo il frigo, il microonde, la tv satellitare.»
Marco:«in effetti sento delle onde elettromagnetiche, potrei stare bene.»
Irene: «la parabola è lei? Chiedile se ha internet. Ma come si lavano le cose? E c’è l’acqua calda?»
Marco:«c’e l’acqua calda?»
Marinane: «qua nella colonia no, è già tanto se c’e l’acqua. Però abbiamo un bollitore di altissimo livello. Letto matrimoniale.» Ricordi belgi non troppo distanti.
Irene: «Le hai chiesto per lavare?»
Marco: «Che palle. E per lavare come si fa? »
Marinane: «Abbiamo un domestico, gli uomini fanno le cose meglio delle macchine.» Inizia a sbraitare un nome. «Sexi, sexi » parole in kiniarunda. Un ragazzo non troppo altro né trascurato esce dal capanno accanto al pollaio. Crea un inchino. Desidera? Wi, indossa un completo da giardiniere, un cappello di paglia e una t-shirt bianca. Il sole brucia la terra rossa.
Marinane: «lui è mio nipote, farà quello che gli ordinerete»
Irene:«ma no, lo schiavo mi sembra eccessivo. Voglio dire, cent’anni di lotte e l’apartheid e ‘ste menate e poi facciamo i bianchi in vacanza con lo schiavo?. »
Marco:«Ma è compreso nel prezzo? »
Marinane si sistema la gonna, si sventaglia: «Certo cosa credete che vi offro? Questi bianchi che arrivano e credono di portare lo sviluppo. » Confabula con l’insegnate di fisica. L’insegnate di fisica siede su una sedia bianca da regista e sorseggia una birra con un oliva dentro in un bicchiere da Manhattan. Inclina leggermente il labbro inferiore e riprende parte alla conversazione con un fare beffardo:
«Ragazzi ai domestici non si cambiano mai le pile, e poi funzionano anche senza acqua ed elettricità, basta portarli a messa uno o due tre volte.»
Economici ed efficienti questi domestici. Andiamo a cercare i Pentecostali.
Irene Dorigotti
Ogni volta che lo rileggo ci trovo una sfumatura nuova, ma stai tranquilla non è una delle 50 !
RispondiEliminaQuesto pezzo mi fa impazzire ! con ironia hai trasposto il pensiero colonialista.
"Ragazzi ai domestici non si cambiano mai le pile, e poi funzionano anche senza acqua ed elettricità, basta portarli a messa uno o due tre volte.!"
scrittura complicata che sembra semplice, e diverte pure. le battute di Irene sono da musona, Marco sembra uno di quelli nati per cucire pezze... mi piacciono i due personaggi.
RispondiEliminagrande scrittura
IRene da sballo in questo post
gd
Dico solo una cosa. Secondo me è soprattutto onesto, brava Irene, mi ripropone proprio le stesse sensazioni quando vi ho visto insieme a Kigali i primi giorni.
RispondiEliminaIlaria
Grazie id
EliminaPer un momento mi ha ricordato le stesse cose che mi ha ricordato Calvino durante la lettura de "Le città invisibili", complimenti.
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