“Annuzza basta! Un scutuliari accussì s’arvuru chi tutti li
pidocchi ntesta nni fa cadiri!”. Come cuoceva il sole d’agosto che appiccicava
le carni e gonfiava i piedi e correva il sudore sulle facce arse. Acqua frisca
sotto quel piede di mandorlo dentro alla giaritedda di coccio. E a colpi di
canna le mandorle cadevano e a Maruzza, che c’ha il petto grosso che può fare
la balia, le mandorle ci finivano in mezzo alle minne e tutte ridevano le
mennulare e parlavano all’ingrasso che tanto i masculi non c’erano. Solo Pidda
si stava zitta e abbassava gli occhi a terra e raccoglieva le mandorle di in
mezzo alla terra secca. Si ammucciava lei che ancora era schetta e queste cose
non le doveva sentire e sorrideva che già c’era caldo e se parlavano ancora gli
si ardeva pure in mezzo alle cosce. E cantavano quelle femmine le canzoni d’amore
e di sirvizzu, e in mezzo ci scappava pure lo sparlittio per questa o quella
famiglia che si era venduta la terra perché i debiti se li mangiava vivi, e che
storie di corna che sapeva Tresa. “Lilla e Pidda non ne volete travagghio oggi”
che erano le più piccole e sei anni neanche li avevano loro “spicchiatele le
mennule e mettetele dentro al sacco e senza farivi nichei”. E tutte che
sudavano erano e non ce n’era acqua che bastava e bagnavano i fazzoletti grandi
e se li mettevano in testa e gli veniva il cuore. E poi arrivavano gli uomini
che si portavano i sacchi e li impostavano nel magazzino. E tutto l’inverno la
testa là se ne andava a scappavano le mani scaltre dentro il sacco a tastare la
mennula duci duci. E Tresa, che era licca forte, a pugni sani se ne prendeva e
che faccia faceva quando ci capitava la mennula amara. Disgrazia era che poi le
pecore venivano brutte e “San Giusippuzzu di lu quatru queste cose non le
vuole. Chi Pasqua è cu li pecuri mala arrinisciuti? Nzama a Ddiu Signuri”.
Pare di no ma poi ricomincia il sole e fa più lustro di
giorno e l’inverno passa, che te lo sei dimenticato il freddo e la pioggia e le
angustie. E la sudda che cresce e tutto diventa rosso bello bello e duci duci,
che non ti sembra neanche vero che ti si asciugano le ossa. E le mennule erano
a bollire e calde calde ci toglievano le pelle marrò e che bello quando gliela
toglievi. E si asciugavano al sole le mennule facendoci prendere aria che se
nzama a Diddiu Signuri si bagnano le pecuri marciano.
Venti giorni mancavano alla domenica di Pasqua ed erano tutte
confuse le femmine che ancora niente avevano fatto. “Tresa, guarda che mi portò
mio fratello di Lamedica Ezuella!” “E chi è sta cosa?” “Annuzza se tu ci metti
le mennule qua dentro e ammacchi il bottone te le macina fine fine che manco ti
pare vero” “L’America avemu, l’America!”. E tutte là erano le femmine con le
maniche alzate delle maglie di cotone con la pelle fresca delle braccia che
sapevano ancora di inverno e le mani infilate dentro alla farina di mandorla.
“Annuzza va pigghia li furmi dalla dispenza e puliscile con l’amido che se no
tutte s’attaccano” e ridevano sotto i baffi che dalla finestra vedevano passare
Cicco che passiava là davanti perché ci piaceva Pidda. E tutte a guardarla a
Pidda che era rossa rossa e si ammucciava con il grembiule ricamato. “Chi bedda
Pasqua chi avi Pidda st’annu! Autru chi pecuri, lu crastu avi st’annu” e
ridevano a bocca aperta e si potevano contare i denti di tutte quelle femmine. A
Nedda le erano cominciate le caldane della menopausa e sudava e ci abbassava la
pressione e lavorava seduta e si allargava la maglia nera del lutto. Le minne
le cadevano sulla pancia gonfia e teneva il fazzoletto sotto all’ascella destra
e se lo passava sulla fronte che colava come la fontana della piazza grande.
Lilla e Pidda giravano attorno alla tavola tirando grembiuli e infilandosi in
mezzo alle gambe scoperte delle gonne alle ginocchia “Stativi quiete vicariote!
Non si ci può co sti fimminazze! Pigghiate lo zucchero dallo stipetto invece di
fare nichei!” e ridevano le piccilidde “E chi ci riditi? Le scimmie di Villa
Giulia sembrate, mecciulare!”. Annuzza pesava lo zucchero che sembrava maestra
in queste cose che aveva gli occhi buoni ed era precisa. E poi la farina delle
mennule. Di pecore assai ne dovevano fare ed erano pronte sopra alla balata 4
chili di farina di mennule, 3 chili e 600 grammi di zucchero e un litro di
acqua di pozzo. “Hai voglia a pecuri chi ci vennu! Addummiri avissiru a mancari?”
“Ma chi dici Nedda? Mi pari a mia chi stolita sta addivintannu! Certu chi
abbastanu”. E nella pentola quella grossa, la quadara, ci mettevano lo zucchero
insieme all’acqua e a bollire fino a farlo sciogliere. A mano a mano ci misero
la farina di mennula e a firriare fino a quando se ne viene sola sola dal fondo
“Stattenta e li fa abbruciari!” “E livativi di mmezzu chi stamu scinnenu la
pignata!”. Caldo e fumante l’impasto finì sulla balata di marmo bianco a
striature grigie e dentro a quella cucina si ci ubriacava di ciavuro. Le fimmine
piano piano che si raffreddava facevano panetti a cilindro di quella pasta e
prendevano le forme di gesso, con un pennello ci mettevano l’amido e ci
infilavano quella cosa molla e ciavuriosa e premevano con le mani grandi e i
polsi di carni belle e grasse. E aprivano quel gesso togliendo prima la parte a
destra e poi piano piano quella di sinistra. “Chi beddi chi ti vennu a tia
Tresa! Lingua longa e manu ferma, lu dicu sempri io!”. E le piccilidde come
cantavano e saltavano e ci scippavano le orecchie a quella pecorella e della
testa un bocconello solo ne facevano. Che voci che buttavano le femmine a
cacciarle dalla cucina. E Maruzza con il pennello le tingeva con macchie di
marrò, fatte col cioccolato che ci portava suo cugino dalla Sguizzera. E Pidda
se ne prese una e se la ammucciò in mezzo alle minne “Mi vaiu a piigghio un muccuni
d’aria che qua fa troppo caldo”. Uscita fuori ci dette una sola occhiata a
Cicco e quello sorrideva sotto ai baffi. Pidda mise sullo scalone della casa
una cosa ammugghiuniata in un fazzoletto ricamato rosa e bianco e se ne entrò. Cicco
corse a pigliarsela quella cosa. E si fece la bocca dolce e il calore di quella
delizia gli premette la patta dei pantaloni.
VB
Solare, eccitante, colto. Bello come un bel film. Bartucca è tornato.
RispondiEliminaQualche appunto: La pasta di mandorla non si fa come descrivi. Non tutta quell'acqua.
RispondiEliminaSi usa poco albume d'uovo e zucchero e farina quasi in parti uguali.
Poi si raccolgono ad agosto le mandorle? Anche prima.
terzo: questa Sicilia è di un secolo fa.
Quarto: ma è una così bella Sicilia che fa bene ricordarcela. E' rumorosa, contadina, calda e ardente anche nelle emozioni ed eccitazioni.
Ne fai un affresco seducente, pennellate veloci, brillanti.
Nel finale Cicco non può però avere una erezione evidente.
Può avere speranza, gioia ...ubriachezza e contentezza.
Mi è piaciuto!
cara
RispondiElimina1 io stesso, quando avevo più o meno 6 anni, raccoglievo le mandorle insieme a mia nonna nell'appezzamento di terra di mio nonno. le mandorle nella valle del Belìce si raccolgono ad agosto.
2 non so di che pasta di mandorle tu parli. gli agnelli pasquali dalle mie parti si fanno con questa ricetta tramandata a mia madre da sua nonna che, a sua volta, le era stata tramandata dalla sua di nonna.
3 non proprio un secolo. parlo di fine anni 50 primi 60, quando gli emigrati in Venezuela mandavano alle loro famiglie gli elettrodomestici che in Sicilia non erano ancora arrivati. in questo pezzo compare un frullatore arrivato dalle Americhe.
4 l'erezione finale di Cicco chiude e sigilla il racconto in simmetria con il bruciore in mezzo alle gambe di Pidda. L'erezione di Cicco nasce dalla goduria provata dall'uomo di avere pregustato la dolcezza della femmina. Ogni dolce siciliano è afrodisiaco e rimanda a codici di seduzione e corteggiamento.
La ricetta la trovi dappertutto. Ma a questa così antica mi inchino. Ma la mettevano a bollire?
EliminaAnch'io ho immaginato mentre la leggevi. Ho sentito il ritmo e la voce. E l'atmosfera...
500 gr di farina di mandorla
Elimina450 gr di zucchero
125 ml di acqua
in una pentola si fa sciogliere lo zucchero nell'acqua senza farlo bollire (in questo modo si crea uno sciroppo). aggiungere in pentola la farina di mandorla e mescolare fino a che la pasta ottenuta non si stacca dal fondo. utilizzare sempre pentola in acciaio e MAI antiaderente. si versa il composto su una base (meglio se marmo o granito) e lasciare raffreddare.
Visto che 125 ml non sono un litro come descrivi? Sempre mantenendo le dovute proporzioni.
EliminaSi la ricetta è identica a quella che conosco io. Ma si può usare anche l'albume.
Per il finale così inteso un giro di parole in più forse per lasciare all'immaginazione che la dolcezza del dolce prefigurava la dolcezza della donna. E' troppo di stacco. Ma la maestra qua ha già un bel 10.
Bartucca, sei un mito! Mizza, e poi adesso che ti conosco di persona e conosco pure la tua voce ti ho immaginato mentre la leggevi!
RispondiEliminaUna cosa sola mi stonò un po': l'ultima frase. E' come se tu avessi abbandonato il registro basso che hai mantenuto per tutto il pezzo.
Per quanto riguarda la pasta di mandorle, io so che è vegana (lo era anche prima di tirare fuori questo nome quindi evitiamo commenti vari contro i vegani!) quindi non penso che nella ricetta ci vada l'albume d'uovo come dice CLA.
Bartucca, che altro dirti...faccio girare il pezzo!
Non sono d'accordo, la frase finale è una meraviglia. E in quanto all'erezione che CLA pensa non possa essere tanto evidente a quel punto della storia, penso che Vito sappia meglio di noi quando un uomo possa avere un'erezione e cosa gli basti per averla. Secondo me, serve molto di meno.
EliminaE' possibile! Solo un uomo può giudicare...
Eliminacicco bartucca, in fatto di ricette vorrei dire la mia: io l'ho vista fare con zucchero, farina e acqua a freddo, ma credo che fatta come dici tu, viene più "fina" che lo zuccaro si scioglie.
RispondiEliminanon hai messo il bollino giallo e quindi non te lo dico cosa ne penso del tuo racconto..ahaahahaa
però mi piacque assai,e il finale è il vero punto di slittamento di tutto il racconto: la sicilia agreste c'è tutta, sia quella vera sia quella un po' stereotipata e però è una sicilia che tu conosci bene, che a Menfi sopravvive, e infatti il tuo racconto non risulta di maniera.
E' stato un piacere leggerti!
GD
D'Amato
Eliminalo sai che con me non c'è bisogno di bollini!
massacrami pure.
dimenticavo, Maria Erba Tinta Giallombardo (nostra compagna di classe) fa le pecore e le trucca e mette loro collane, foulard e altri orpelli; fatevela amica su FB e andate nella raccolta di foto.... c'è da crepare dalle risate
RispondiEliminaGD
Le ho viste! ho riso come una pazza :) bellissime!
EliminaMeraviglioso... e nonostante io sia siciliano, alcuni termini non li capisco, tipo MECCIULARE STOLITA PATTA.
RispondiEliminaSto ancora ridendo pensando a "Lingua longa e manu ferma"!
Chi sei??
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1pàtta ['patta]
s.f.
1 sf
risvolto esterno delle tasche
2 sf
punteggio pari nel gioco delle carte, degli scacchi e simili
:) è italiano, mi pare. E anche in Toiscana indicata la parte esterna della chiusura dei pantaloni.
mecciulare: li mecciuli sono i capelli, mecciulare sono le donne con i capelli scompigliati.
RispondiEliminastolita: persona con problemi di memoria, in genere le persone anziane vittime della demenza senile.
patta: è la cerniera dei pantaloni.
Vito, stupendo. Sto imparando a riconoscerti prima di arrivare al fondo... Mi è molto piaciuto anche se non conosco il dialetto. Concordo con quelli che hanno detto di immaginarti mentre lo leggevi...vero (ti ho sentito leggere nei filmati...) Un affresco della Sicilia che più amo...Grande!
RispondiEliminaBG
Leggendolo mi sembrava di sentirtelo recitare, Ha ragione Barbara si sentiva la tua voce in questo blog!
RispondiEliminaMi hai fatto ricordare il gusto di quelle "pecore"..di cui io conosco il sapore, pastoso e dolciastro, ma non ricordo quando le mangiai!
Ho bisogno di una traduzione veloce, tantissime parole non le ho intuite ma non capite, e poi non so se per te è un complimento mi sono ricordata della "La MENNULARA" della Simonetta Agnello Hornby che adoro!
notteee
Comunque, non ci sono madonne. Questo racconto è bellissimo, ed è surreale che ci si metta a parlare di ricette e dosi. Tra l'altro, io queste pecorelle non le ho mai mangiate, pregherei quindi vivamente Bartuk il magnifico di cimentarsi lui stesso.
RispondiEliminaLeprotta!! te la porto io la pecorella!!
EliminaLepri, in Sicilia è sufficiente spostarsi di un km perchè nella caponata oltre alle melenzane ti ci ritrovi i carciofi o la zucca gialla.. idem per le pecore: e tutte le varianti sono antiche, tutte con il DOC del tramando generazionale, ed è bello il modo in cui le misure sono espresse, ancora si usa dire: una parte di questo, una parte di quello, due parti meno un poco di quell'altro ingrediente...
Eliminaovviamente tutto questo non è tipico solo della Sicilia ma di tutto ciò che nasce popolare e viene canonizzato dopo.
GD
Meno male che c'è la Wood...è l'unica che mi vuole bene!!
EliminaSOno daccordo con te Roberta è bellissimo. Ma vedere massacrata la ricetta della pasta di mandorle no.
EliminaUn litro d'acqua capisci? Non prendi nemmeno con il cucchiaio l'impasto!!!Per le dosi date ne doveva mettere 500.
Insomma facci una risata. La critica non era al racconto, ma anche la nonna di Vito sarebbe tornata dall'aldilà!
CLA! ahahahha!! hai ragione, se si scrive una ricetta non si possono mettere gli ingredienti a muzzo !Cucinare è sacro :)
EliminaPer Natale regalate a VITO un libro sui DOLCI!
Prima del libro dei dolci io gli regalerei un libro di buone maniere... non si dicono nè scrivono certe parole formate da 4 lettere che iniziano con S... che già la Lepri è stata infettata e lo dice pure lei
Eliminagd
me ne voglio uscire fuori da questa disputa dicendo solamente che, in base alla dose indicata, nel racconto ho moltiplicato tutto per 8
Eliminafarina di mandorle gr 500x8 = 4 kg
zucchero gr 450x8 = 3,6 kg
acqua ml 125x8 = 1 lt
spero di aver fatta contenta la Cla.
adesso basta che sennò arriva la mia mamma e vi fa fuori tutti. non toccatele la sua ricetta.
ps. la sua fama di fimmina di cosi duci la precede.
CHIARO?
Vito, lascia stare, è una guerra persa in partenza :)
EliminaVito, potresti darmi la ricetta della cassata?
Eliminaahahahahahahhahaha
(la vorrei un po' liquida da mangiare succhiandola con la cannuccia...)
GD
il mio babbo quando io ero molto piccola ha lavorato per due anni in Sicilia alla costruzione della linea ferroviaria Giarre-Riposto. Lui adorava quella terra e i suoi abitanti e anche io ho ricordi e amici carissimi. Ma quello che non posso dimenticare sono queste favolose pecorelle che ci portava quando tornava a casa per Pasqua.
RispondiEliminallg
WOW!!!In quella fascia di Sicilia che citi è il meglio della pasta di mandorla.
EliminaCasta pensare a Noto e alla granita di mandorle...
Hai mangiato il meglio della pasta reale siciliana.
Sai che l'origine della ricetta è araba.
Direi araba DOC
quello che ho mangiato quando anche io sono stata in questa parte della sicilia è ancora nei miei sogni e sulle mie papille gustative....e sapevo delle origini arabe della ricetta...sublime!
Eliminallg
Vito, cavolo! I tuoi racconti hanno sempre un potere così evocativo! Ho sentito il sole sul volto e ho visto l'albero di mandorle e ne ho sentito il sapore e anche di quella amara, che poi è sempre l'ultima e rimani disperata a cercarne un'altra, e se c'è è sempre troppo in alto. Ho sentito anche il caldo all'interno della cucina (che scritto "ciavuru" mi fa morire dal ridere, ma sempre meglio di "casdu")e visto il marmo lucido. Mi hai portato in una Sicilia verace che in qualche misura esiste ancora vicino a me, solo che i nostri modi di vivere sono molto cambiati ed insieme alle comodità abbiamo anche una vita che finisce un po' per perdere di identità, lontana da quella meravigliosa campagna e da quello stare insieme. L'ngrizzamento (in progress) tra i due giovani l'hai trattato con toni molto delicati, tranne alla fine, che prima ha stonato un po' anche a me, ma poi, come dice GD, mi è parsa un efficace slittamento. In fin dai conti non si possono tralasciare certi aspetti dell'amore, sarebbe ipocrita.
RispondiEliminacara!
Eliminagrazie mille!
non vuole essere un racconto nostalgico. le persone che descrivo sono esistite tutte e devo tanto a loro. mi piace ricordarle così. a noi tocca custodire il ricordo estetizzandolo anche, dando carne e lasciando correre il sangue nelle loro vene. anche i nostri nonni sono stati uomini, esattamente come noi.
ps. ciavuru è odore!
Ahahahha che scema che sono, certo...sapendo che in alcune zone "cavuru" lo dicono "ciavuru" mi sono ingannata, sicuramente non è nemmeno la tua zona...niente, sbagliai! XD
EliminaComunque non mi è parso affatto un racconto nostalgico, però un po' di nostalgia mi è venuta comunque per i fatti miei :D
Ragazzzeee!! guardate che la prova costume si avvicina!! basta parlare di pasta di mandorle ingrassate solo a parlarne!!
RispondiEliminaUna ricetta con dosi esatte per la pasta di mandorle,
RispondiEliminapossiblimente della tris nonna non telematica !?
Così provo, scambio con la ricetta del Bunet
Ella, io so che tu sei bravo a preparare un'altra cosa ...molto piu' difficile.
Eliminaniente da dire; S T U P E N D O!
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