Halloween Writing Contest
Svolgimento
Una luna di madreperla, grande come un piatto da portata al centro della tavola del cielo scuro, brilla tremula e silenziosa nella notte: lei la vede nello specchietto retrovisore, mentre torna a casa da una serata votata all'autodistruzione. Non avrebbe voluto litigare – non lo vorrebbe mai, mansueta e buona com'è – ma ci sono giorni, sere, notti, in cui sembra inevitabile. Anche mentre gridava, poche ore prima, sapeva di essere nel torto; lui, che cercava di arginare con parole ragionevoli lo sbocco improvviso della sua rabbia, era rimasto seduto sul divano, con la testa di Argo, il loro cane lupo, appoggiata sulle gambe. Avevano lo sguardo smarrito di quei naviganti che, nella tempesta, pregano che l'albero maestro non ceda sotto le raffiche del vento. Alla fine lei era uscita sbattendo la porta, lasciando quegli occhi tristi dietro di sé. La luna era poco sopra l'orizzonte, piena, gonfia, con il suo sguardo incredulo.
E ora che sta rientrando a casa, rintronata da tre ore di discoteca e superalcolici, sa che non lo troverà in salotto ad aspettarla. Il perimetro di foglie gialle attorno a un rettangolo vuoto – lo spazio dove lui aveva parcheggiato la sua macchina – è la traccia indelebile della sua partenza. Vorrebbe chiamarlo, ma sa che non risponderebbe; e sa anche che se rispondesse, lei non saprebbe che dirgli. Le donne vivono sotto il giogo del ritmo lento della luna. Mentre apre la porta, sente gli ululati lugubri dei cani del quartiere che rimbalzano di casa in casa. Argo ha il terrore di quei lamenti: quando c'è la luna piena, si nasconde da qualche parte, e non si fa più trovare.
Le gira la testa – ha bevuto troppo. Va in bagno, si strucca un occhio, ma non ha la forza di pulire l'altro. Si cambia l'assorbente, e intanto fissa il proprio viso allo specchio, chiedendosi se davvero dimostra i suoi trent'anni. Rinuncia a lavarsi i denti; spegne il telefono, si sposta in camera. Odia il silenzio della solitudine, l'eco delle stanze, il respiro della casa. E il riscaldamento è rimasto acceso, sembra di essere in una serra. Apre le finestre e lascia che entri l'aria umida del novembre appena iniziato, ma ha ancora caldo: si toglie il pigiama e il reggiseno e li lancia su una sedia vicino alla porta. I cani insistono con il loro canto misterioso. Si butta a letto, chiude gli occhi e pensa a lui. Vorrebbe che fosse lì, a farle l'amore: ha voglia di mordicchiargli le labbra, i lobi delle orecchie, il collo muscoloso. A volte lui le dice, scherzando, che sembra un lupo mannaro. Si alza un filo di vento. Da sotto il letto arriva un rumore. Allunga la mano, e la lingua calda di Argo gliela lecca. Sente il suo fiato caldo e buono, e le pare di essere meno sola. “Argo, fifone, va tutto bene, va tutto bene...”. Dalle finestre entra la luce bianca della luna. Quando si addormenta, i cani hanno già smesso di ululare.
Si sveglia dopo una notte di sogni confusi, e le sembra di avere un'incudine appoggiata sulla testa. Fuori le strade sono immerse in una nebbia collosa. Perché ha litigato? I buoni motivi del giorno prima sono mozziconi di cicche spente. Dopo aver indossato una maglietta di lui, barcolla verso la cucina. Mette su il caffè, scalda due fette di pane, tira fuori dal frigo la marmellata e il burro. Guarda il calendario, e vede che la luna piena è passata: le cose andranno meglio, si dice. Accende il cellulare. Due messaggi di lui. Spegne il fuoco del caffè e legge il primo: “Ti è passata?”; poi, mentre la porta della cucina cigola dietro di lei, legge il secondo: “Ieri ho portato Argo con me. Gli manchi”.
Paolo Zardi
E ora che sta rientrando a casa, rintronata da tre ore di discoteca e superalcolici, sa che non lo troverà in salotto ad aspettarla. Il perimetro di foglie gialle attorno a un rettangolo vuoto – lo spazio dove lui aveva parcheggiato la sua macchina – è la traccia indelebile della sua partenza. Vorrebbe chiamarlo, ma sa che non risponderebbe; e sa anche che se rispondesse, lei non saprebbe che dirgli. Le donne vivono sotto il giogo del ritmo lento della luna. Mentre apre la porta, sente gli ululati lugubri dei cani del quartiere che rimbalzano di casa in casa. Argo ha il terrore di quei lamenti: quando c'è la luna piena, si nasconde da qualche parte, e non si fa più trovare.
Le gira la testa – ha bevuto troppo. Va in bagno, si strucca un occhio, ma non ha la forza di pulire l'altro. Si cambia l'assorbente, e intanto fissa il proprio viso allo specchio, chiedendosi se davvero dimostra i suoi trent'anni. Rinuncia a lavarsi i denti; spegne il telefono, si sposta in camera. Odia il silenzio della solitudine, l'eco delle stanze, il respiro della casa. E il riscaldamento è rimasto acceso, sembra di essere in una serra. Apre le finestre e lascia che entri l'aria umida del novembre appena iniziato, ma ha ancora caldo: si toglie il pigiama e il reggiseno e li lancia su una sedia vicino alla porta. I cani insistono con il loro canto misterioso. Si butta a letto, chiude gli occhi e pensa a lui. Vorrebbe che fosse lì, a farle l'amore: ha voglia di mordicchiargli le labbra, i lobi delle orecchie, il collo muscoloso. A volte lui le dice, scherzando, che sembra un lupo mannaro. Si alza un filo di vento. Da sotto il letto arriva un rumore. Allunga la mano, e la lingua calda di Argo gliela lecca. Sente il suo fiato caldo e buono, e le pare di essere meno sola. “Argo, fifone, va tutto bene, va tutto bene...”. Dalle finestre entra la luce bianca della luna. Quando si addormenta, i cani hanno già smesso di ululare.
Si sveglia dopo una notte di sogni confusi, e le sembra di avere un'incudine appoggiata sulla testa. Fuori le strade sono immerse in una nebbia collosa. Perché ha litigato? I buoni motivi del giorno prima sono mozziconi di cicche spente. Dopo aver indossato una maglietta di lui, barcolla verso la cucina. Mette su il caffè, scalda due fette di pane, tira fuori dal frigo la marmellata e il burro. Guarda il calendario, e vede che la luna piena è passata: le cose andranno meglio, si dice. Accende il cellulare. Due messaggi di lui. Spegne il fuoco del caffè e legge il primo: “Ti è passata?”; poi, mentre la porta della cucina cigola dietro di lei, legge il secondo: “Ieri ho portato Argo con me. Gli manchi”.
Paolo Zardi
Zardi sei il mio eroe. Amo i lupi mannari ho pianto tre giorni dopo aver visto morire un lupo mannari americano a Londra di John Landis. Adoro questo racconto.
RispondiEliminail passo giusto dell'ottimo narratore! :) Grazie Zardi
RispondiEliminaMeis
Un pezzo bello, scritto bene, come quei cantanti che dimostrano di saper cantare senza bisogno di strillare. Bravo a rileggerti.
RispondiEliminaGrande Zardi, veramente inquietante questo racconto breve!
RispondiEliminaAdesso però non scappare e torna a scrivere per la maestra!
Bello, ben scritto, grande tensione, ma non sono sicura di avere capito il finale: lei è davvero un lupo mannaro (come da indizio a due terzi del racconto) ? O Argo è un cane mannaro ? So che è un problema mio, qualcuno me lo può spiegare ? Grazie !
RispondiEliminaSecondo me, sotto il letto non c'era il cane... ;)
EliminaScritto molto bene, curato nei particolari, l'ho trovato davvero terrificante.
RispondiEliminaChi c'era sotto il letto, allora?, questa è la domanda che mi sono posta a cui alcuno ha dato risposta.
Un horror celato da normalità!
Bravo.
L.I.
Racconto pieno e vuoto ma sospeso in un'atmosfera alla Kubrik di Eyes Wide Shut...Ci ho trovato la pienezza della luna e dell'amore ma anche quelle percezioni collose di assenza che si dileguano come guaiti di una notte che scolora.
RispondiEliminaScrittura ipnotica e femminile. Amo.
Cara Bea, grazie per quel "femminile" - è una delle cose più belle che si possa dire di un racconto scritto da un uomo (e non sono per niente ironico!).
EliminaA presto!
Paolo
ps il nocciolo della storia - cane sotto il letto che forse non è il cane - mi è stato raccontato circa due settimane fa da mio figlio Jurij di nove anni, qualche giorno prima che iniziassi a scriverlo... il finale era diverso, e l'ambientazione meno definita, ma credo di essergli debitore... ;)
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