Porta i capelli lunghi e sciolti, indossa vesti di cotone grezzo e non ha mai visto una barba, un cavallo o un cannone, però non è una che indietreggia o grida al miracolo di fronte alla novità, e proprio questa sua apertura al nuovo, al diverso, allo straniero, sarà quello che le rimprovereranno per secoli. Ma Malinal non ha colpa, guarda l’uomo possente dalla zazzera bionda che le sta davanti su quell’animale incredibile e forse intravede la svolta che avverrà nella sua vita, mentre pensa che certamente non è Quetzalcóatl anche se viene dall’Est, è un uomo, che respira e che sanguina se viene colpito, e come tutti gli uomini vuole le stesse cose degli altri.
Un dono propiziatorio consegnato insieme all’oro e al pellame, insieme a tante altre, a ventine, pur di pagare il conto. Questo è l’uso che gli uomini della sua terra fanno delle donne, che importa se nobile o meno, schiava fin da bambina, bottino di un’altra guerra con cui altri uomini si sono spartiti un pezzettino di terra. Poco importa se adesso il conflitto non è più tra genti che si somigliano e che non potrebbero essere più diverse, che gli spagnoli chiamano indios indistintamente anche sono ben lontani dall’essere un unico popolo, perché gli spagnoli semplificano, storpiano, impongono nomi che non esistono, e anche Malinal diventa Marina, Doña Marina quando sarà entrata nel letto di Cortés e l’avranno convertita ad una religione che ha già avuto il suo messia venuto dall’Oriente. Lui la vuole perché parla nahuatl e maya, e poi spagnolo nel giro di poche settimane. Gli spagnoli no, il nahuatl non lo imparano.
Malinal per la prima volta può parlare direttamente agli ambasciatori, addirittura guardare l’imperatore in persona dritto negli occhi mentre traduce le parole del conquistatore. Riferisce agli spagnoli che gente sono gli Aztecas, come combattono gli Aztecas, che quello è un impero tenuto su da fiammiferi, così basta un soffio, pochi uomini contro uno stato intero, e tutto crolla. Il suo nome cambierà ancora in Malintzin e poi in Malinche: così la chiameranno gli Aztechi e così indicheranno Cortés, quasi fossero la stessa entità, lei l’ombra di lui ovunque vada, a tradurre, a riferire, a partorire un figlio che non sarà riconosciuto. Esaurite le sue funzioni, lui la darà in sposa ad uno dei suoi soldati, un’altra volta bottino, tributo, dono, una cosa usata da cedere ai sottoposti, il suo nome diventato l’essenza stessa dell’infamia che deriva dal tradimento della patria, una patria che la Malinche non conosceva e che solo dopo tre secoli si è identificata con lo stato messicano, fatto da un popolo che nacque proprio dalla prima generazione di meticci di cui lei è una delle primissime madri.
Los hijos de la Malinche sono i figli di una donna che si è aperta allo straniero e l’ha fatto entrare nella sua terra e in se stessa, mentre lui si è impossessato di entrambe e poi le ha buttate via. Sono i figli che non perdonano alla madre lo stupro che li ha generati, e forse sono tutti i messicani.
BV
Anche se lei è "l'ombra di lui" non nasconde di essere un personaggio forte...mi piacque!
RispondiEliminaGrazie FO! Era proprio questo che volevo dire
RispondiEliminai figli non perdonano mai. sono più crudeli delle madri.
RispondiEliminaAZZ, CHE POST RABBIOSO!!!! MI PIACE, w LA RABBIA DI VALERIA!
RispondiEliminagd
Donna presa, donna inquinata, Una considerazione su tutte: non dimentichiamola, rispettiamola. La Malinche donna di nessuno e del conquistatore, E doppiamente straziata: ha perso la maternità, come l'appartenenza. Post molto intenso, polemico, Bello e arrabbiato come dice GD
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