Quando mise il primo piede sullo scalone asimmetrico e curvo del
suo villino fu travolto da Giulia, che gli si buttò con le braccia al collo
rimproverando il padre per l’assenza e per i peli che le pungevano le gote
arrossate dal primo sole di primavera. Arrivò quella mattina da Parigi. Passò
dalla toletta per radersi il volto scuro di siciliano da due generazioni.
L’essenza di zagara riempì l’ampio salone tappezzato da motivi floreali e
intarsi lignei. E le domestiche indaffarate lo ossequiavano ad ogni
andirivieni. Bussò tre volte a colpetti deboli e con ritmo cadenzato. Era il
loro linguaggio segreto. Le labbra di lei si aprirono in un sorriso intrigante
che poteva sembrare malevolo. Si ricompose, schiarì la voce e con fare da
usignolo cantò il suo permesso di ingresso all’ospite usuale. Ignazio aprì la
porta tenendo le mani dietro la schiena. Trovò la moglie seduta al centro del
letto china sulle carte della sua fitta corrispondenza. Aprirono il cerimoniale
del loro ricongiungimento con un casto bacio di guance sfiorate, un antico
ossequioso civettare tra moglie e marito. Porse alla moglie una scatola foderata
di raso blu cobalto e chiuso da un nastro di seta color avorio. Per un attimo
le candide mani di lei si confusero col nastro, tanto il suo incarnato era
d’alabastro. Nascose un sorriso sornione per non dare soddisfazione al suo
uomo. Amavano giocare. Scartò quel mistero con una grazia sacrale, nascondendo
perfettamente ogni ombra di curiosità o eccitazione all’idea di ricevere una
nuova gioia. Stavolta lui la sorprese davvero. Nessuna spilla di Cartier o
abito di Worth era paragonabile alla gloria di quel nuovo regalo. Emise un
gridolino che le spezzò la voce. Sette interminabili metri di perle legate da
un sottilissimo filo. A chiudere quell’enorme circonferenza una rosa in oro bianco.
Amate perle che brillarono ai riflessi del sole mattutino che penetrava dalle vezzose
vetrate della camera in stile moderno. Lei balzò dal letto e strinse suo marito
ringraziandolo con un languido e umido bacio. E gliene promise uno per ogni
perla e perdeva il conto a sgranare quell’interminabile rosario profano. Lei
che era la vergine, degna di giaculatorie. Sette metri di perle attorno a un
collo di colonna. Viso di porcellana, capelli neri, occhi grigi di mare. Tutti col naso all'insù al Massimo Teatro a
guardare il palchetto dov'era lei, fiera
tra le sue perle, dal collo di fiera.
Musa di poeti, scrittori, pittori, cantanti. Regine che si inchinavano al suo
passare e sguardi d’amore dalla sua gente. Tutti la amavano e lei fu
dispendiosa e ricambiò l’amore che gratuitamente riceveva. Poggiata su
un fianco guardava lo sorte amica. Era prima che tutto finisse quando l’occhio di pittore
impressionava su una tela i tratti di grazia e sensualità. Non pensava, in quel momento, che le sue perle sarebbero diventate
cenere. E divenne cenere la sua primogenita e anche l’unico figlio maschio che
riuscì a concepire. E cadde un vessillo. La guerra e il dolore, la nuova
economia e i governi contrari, fu uno sfaldamento lento, continuo, inesorabile,
cadenzato da lutti e pene per i tradimenti del marito.
La gloria e lo splendore che circondarono la sua vita non seppe mai da dove arrivassero. Una storia che sembra leggenda. Sa di mare e di mandorla, di zagara e di vino bianco. Grandiosa come una Norma, feroce come una mattanza. In un’isola che oramai non conserva nemmeno più il ricordo della sua età dell’oro. Quando dal porto della sua capitale partiva la flotta più copiosa di tutto il Mediterraneo. Quando l’invenzione di un nuovo vino, che era da meditazione e mai pensato fino ad allora, aveva cambiato i gusti e le abitudini dell’intera Europa. Quando una donna, che di questa terra era regina, era issata a faro ed era paradigma di stile, eleganza ed emancipazione culturale.
Franca Florio toccò con le sue mani la miseria dopo essere stata una delle donne più ricche d’Europa. Vendette e furono confiscati gioielli, abiti, palazzi. Passò gli ultimi anni della sua vita con le mani trafficanti sui tavoli verdi dei casinò, tenendo da parte gli spiccioli per le sue amate sigarette. Trasferitasi prima Roma e poi, passata anche le seconda guerra, a Firenze morì sul letto di una pensione. Non rimpianse mai il suo passato e raccontava alle nipoti i fasti di un tempo come se stesse raccontando la bellissima storia di una principessa delle favole. A Palermo tornò da morta, nel 1950.
VB
Leggendolo ho sentito l'odore della cipria e il sapore del Marsala.
RispondiEliminaBello tanto Bello !
bartucca sempre più in alto...
RispondiEliminaGD
Come la Grappa Bocchino sigillo nero???
RispondiEliminaSconcertante, sconsolante, constatare come i palermitani abbiano del tutto dimenticato (parlo del "popolo minuto") i Florio, che a Palermo portarono un grande teatro lirico degno davvero di una città europea, svilupparono una florida industria, fecero di Palermo un centro economico e culturale in competizione con Parigi, Roma, Milano, Londra... Gli stessi palermitani che ora acclamano come un profeta un affarista veneto, interessato solo a far soldi, a spremere nei punti deboli (la passione insana per il gioco del calcio, tanto per cominciare) questa greggia di scriteriati.
RispondiEliminaEd allora mi ritornano a mente le note ed i versi dell'opera verdiana: «O tu, Palermo, terra adorata, a me sì caro riso d'amor, alza la fronte tanto oltraggiata, il tuo ripiglia primier splendor!».
Uno splendore che sembra ormai soltanto uno sbiadito, melanconico ricordo da sito archeologico.
eh già. hai ragione gianfranco. e bravo vito che hai scritto di donna florio!
EliminaConosco la figura di questa signora della Liberty palermitana pari a una nobile della industria e della economia. Anche se tali nobiltà sono lontane dalla mia idea di nobiltà.Quando erro per villini e ville della Palermo Liberty sento la presenza di queste sete e perle. Sento l'alito dei Florio, dei Pietratagliata dei Lampedusa. E mi piace pensare di loro come di una diversa, simpatica gente che con i comuni mortali non spartiva niente, passava sfiorando la terra. Ma lasciava una simpatica impalpabile scia...
RispondiEliminacerchiamo di fare un chiaro distinguo. Franca Florio apparteneva all'aristocrazia Palermitana di origine borbonica. Il marito era un borghese senza nessun titolo nobiliare. Franca soffriva, durante i primi anni di matrimonio, il fatto di non avere un titolo nobiliare; poi capì l'importanza economica del marito e riuscì ad emanciparsi e a liberarsi dal vile provincialismo dell'aristocrazia palermitana. I Florio e altri borghesi come i Whitaker erano distanti anni luce da quella feccia, collusa con la mafia, che intendeva restaurare il casato borbonico. Grosso modo si può affermare che gli aristocratici vivevano nel buio dei palazzi settecenteschi cadenti e impolverati (vedi Il Gattopardo), la borghesia, illuminata e progressista, diede vita ad un modo distinto di abitare e fruire le relazioni sociali, inventando il liguaggio del Liberty. Non mettiamo sullo stesso piano la borghesia illuminata con l'aristocrazia che, tutt'ora a Palermo, vive impolverata con stucchi di cui non conoscono nemmeno l'autore!
Eliminamatri, informatissimo iddu è!
Eliminaviri ca viri, fussi ca fussi ca iddu havi tutta questa scienza infusa grazie ad abbondanti abbivirati?
Gd
Vi invidio i fasti della Vostra bellissima Palermo Doveva essere una meraviglia a quei tempi.
RispondiEliminaCLA, dove sono i Villini Liberty in Palermo? Avrei piacere di vederli!
mi sei mancato... la tua scrittura è "perla".
RispondiEliminamatali oscar!
In un’isola che oramai non conserva nemmeno più il ricordo della sua età dell’oro...questo per me è davvero il peccato più grande!
RispondiEliminabellissimo post
llg
Una meraviglia, Vito sa inanellare le parole in modo superbo, a farne una meravigliosa collana...di perle.
RispondiEliminaBG
affascinante scrittura, affascinante protagonista...di bene in meglio! :)
RispondiEliminameis
siete troppo gentili...
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