venerdì 29 giugno 2012

Tema :Ho le cuffie per ascoltare la musica ma non schiaccio “play”


Ho le cuffie per ascoltare la musica ma non schiaccio “play”
Mi muovo fra la gente che si trasporta nelle strade. Li osservo con le borse piene, pacchetti di vestiti; cose e ancora cose. Mi sembrano molluschi invertebrati. Le vetrine non hanno pietà mostrano i cappotti le nuove collezioni griffate degli stilisti. È strano guardare il tempo che ti travolge quando tu passi la vita da una festa ad un altra al guardare la televisione sdraiato sul divano. Spettatori di un grande spettacolo senza spesso la possibilità di fare zapping ecco come mi sento. 

L’autunno è una dimensione proverbiale dove tutto si avvia verso una morte. 

Guardo il pavimento di marmo,lattine di coca si attaccano all’asfalto. Il ritmo dei miei passi intercala i miei respiri. Un afa mi pervade nel profondo della notte. Ho sonno tuttavia sto bene nel mio non dormire. La notte non dormo da mesi, il sonno è tempo sprecato quando si deve trovare una parte di sé. La città mi illumina e mi devasta attendo la brezza della sera per chiedermi chi sono. Ho letto tanti libri, ho comprato molti vestiti ma nessuno di essi mi ha chiesto chi sono o come sto.



giovedì 28 giugno 2012

Tema : Il Cavaliere dell'etere



Seduto nella mia solita postazione di lavoro. Mi guardo attorno. 
Respiro profondamente cercando di rilassare i muscoli del collo roteando con calma la testa. Eccomi! Pronto a tuffarmi nell’etere. 
Indosso la mia armatura. Fondamentale che sia lucente, abbagliante e di dura corazza. Da un freddo monitor indifferente, scorro la lunga lista di nominativi dove tentare la mia sortita. 
Compongo il primo numero sulla tastiera. 
Zeroottonovetretreottounoseidue ...il viaggio ha inizio. 
Col garbo e la maestria di un ultimo cavaliere, da anni, giorno dopo giorno, viaggio nell’etere ... entrerò per un lungo, silenzioso attimo, nella vita d’ignave persone. 
Il mio unico scopo: predisporre al meglio l’ineluttabilità degli eventi! 
Approdo ogni giorno in mille porti diversi, mi atomizzo nell’etere per poi ricompormi rapido, volta dopo volta, in situazioni e circostanze tra le più disparate: seduto su di un bancone di una commessa annoiata che guarda fisso lo scorrere lento delle lancette dell’orologio al muro; in studi polverosi, maleodoranti di carta ammuffita, di avvocati delusi, scartabellanti tra beghe condominiali e amici da separare; pizzaioli infarinati tra capperi e acciughe sotto montagne bianche di mozzarelle da tagliuzzare. 

mercoledì 27 giugno 2012

Sez. Grandi Scrittori: Edgar Allan Poe

Spero che voi lettori mi perdonerete se, leggendo, le mie parole potranno sembrarvi confuse e tremolanti, perché lo sono veramente in quanto io stesso che le scrivo sono ancora terrorizzato e tremo al solo pensiero di ricordare la successione di eventi che sto per narrarvi, terrificanti per me che ho vissuto in prima persona l’orrore di scoprirsi tomba del proprio figlio; ma sarebbe meglio cominciare dall’inizio piuttosto che dalla fine, e fare in fretta, perché non credo di avere molto tempo a disposizione.
Vivevo insieme a mia moglie, la mia defunta moglie, nella piccola fattoria che mio padre aveva costruito con immensa fatica, durante la sua esistenza da contadino e allevatore di suini e galline: aveva gli animali più grandi di tutta la contea ed io passai la mia infanzia a giocare con loro, nel cortile di casa. Crescendo, abbandonai la fattoria di famiglia per trasferirmi insieme a mia moglie in un’altra casa più spaziosa; dopo qualche settimana, in attesa del nostro primo figlio,ella cominciò a mostrare i primi segni di cedimento mentale: la notte si svegliava urlando parole che mai conobbi in vita mia - anche se leggevo molto e conoscevo tre lingue diverse dalla nostra -, di giorno passava ore a preparare piatti con ogni genere di ingrediente che trovava in casa e una volta la sua pazzia arrivò anche alle sue mani, che tagliarono i suoi lunghi capelli neri con un coltello da cucina: li afferrò e non si fermò fino a quando gli ultimi centimetri tagliabili non toccarono il pavimento. Quando nacque il nostro primo figlio, sembrava che le sue crisi, inizialmente, fossero terminate, che lei avesse ripreso a essere la stessa donna che avevo sposato, e invece la mente umana non è così semplice, non risponde a nessun ordine, e i suoi crolli nervosi si acuirono, diventarono più frequenti, violenti e pericolosi. Un giorno,qualche mese dopo, uscii per risolvere delle questioni sulla vendita di una casa in paese, avevo trovato un secondo lavoro per pagare i numerosi debiti che le cure mediche avevano portato, e lei rimase in casa con il bambino. Quando tornai, per sera, cenammo insieme in silenzio, l’unico rumore era quello della carne che masticavamo, piccole e fragili ossa che si rompevano sotto il peso della mia fame. Povero me, che grande dolore il mio corpo e la mia mente si apprestavano a ricevere! Finita la cena, mia moglie uscì dalla stanza, aveva lavorato tutto il giorno in casa ed era molto stanca; mi alzai cercando di capire dove fosse, la chiamai ma lei non rispose; non era sul suo letto, né in bagno, neanche in giardino, dove lei passava momenti a viaggiare dentro la sua mente, a districare, da sé, la sua confusione. Nel camino trovai la pentola che aveva utilizzato per cuocere quella carne deliziosa, dio mi perdoni per averlo solo pensato, e allora sollevai il coperchio.


martedì 26 giugno 2012

tema: i piedi di un amico che l'hanno....

Una parte del corpo sono i piedi. Li guardi dall'alto e loro sono lì. Imperterriti, fanno il loro dovere, sopportano il peso di gambe e braccia e testa. Sopportano scarpe troppo strette, di colori orrendi, sandali dorati di plastica puzzolente, stivali di pessimo gusto e calzini di italia '90. Poche volte sono gratificati da amici come Manolo, come Christian, pochissimi, poi, possono essere liberi su prati e spiagge e ceramiche fresche. Vengono stuzzicati mentre distratti leggiamo, vengono dipinti, strofinati o assolutamente non considerati. Maltrattati fino alle ferite, duroni, calli, talloni degni della ruvidezza della quercia. ma sono lì. e ci portano a spasso. Ci tengono a contatto con la terra. Con la realtà. A volte sono buffi come quelli dei bambini, a volte sottili e scheletrici, hanno la loro personalità sapete, c'è il ciaccio simpatico, il pelosone che suda, il secco stitico, il pacioso rotondo, insomma. I piedi sono una sineddoche. Oltre che patrimonio Unesco. E quindi io penso ai tuoi piedi. Non li ho visti mai, o semplicemente non li ricordo. Eppure mi mancano. Sono convinta che siano de piedi giocosi e intelligenti, un po' sornioni e, a volte, distratti. Vorrei sedurli, coccolarli, viziarli. vorrei convincerli che so prendermi cura di loro. Ma senza seguirli.


domenica 24 giugno 2012

Tema: Il cane che vorrei ma non ho mai avuto


Carola ha 8 anni, è  l'alunna piu' giovane e promettente della nostra classe.Oltre a scrivere ,canta in inglese  e suona il violino molto bene.


Il cane dei miei sogni dovrebbe essere: un cucciolo di terranova, nero e che sappia nuotare, io lo vorrei chiamare Like. Mi piacerebbe tanto coccolarlo sempre, farli la doccia e il bagno, tenerlo sempre con me, farli fare le passeggiate camminando, correndo o in bici, poi andare a rotolarmi nei prati con lui e giocare a palla. 
Non mi vorrei mai separare da Like e so che mi darei tante arie con lui al guinzaglio, mi piacerebbe mandarlo in una palestra per cani e per farlo rilassare vorrei portarlo in una spiaggia per cani. 
La mia mamma pensa che il mio sia solo un capriccio invece io sono convinta che non mi stancherei mai e anche se la nostra casa e piccola io sarei disposta a lasciarli la metà del mio letto.


Carola Maina

giovedì 21 giugno 2012

Tema : Me


Mi chiamo Irene Dorigotti: le mie iniziali ID, identity.
La mia famiglia vive da duecento anni nello stesso posto: Isera.
Do-rigotti, ‘’due piccole righe’’, così come firmavano gli analfabeti. 
Mio nonno paterno, Valerio, si credeva cosi’ nobile da costruire negli anni ottanta un cottage simil-americano, ma con gli araldi e gli interni in stile  castello di  Tuhn. 
Il mio trisavolo, Valerio, era il miglior medico condotto sul mercato filo-Austroungarico: ‘’La mia famiglia non ha mai digerito la prima guerra mondiale e, a dirla tutta, noi non ci sentiamo così italiani. Siamo tutti laureati, tranne papà e nonno Valerio. I primogeniti si chiamano Valerio i secondi Aldo...Ricordati noi siamo austro-ungarici.’’
Leggo le pieghe dei diari di famiglia.
Il giovane Valerio cresce ai laghetti di Egan, dove l’italiano si sussurra e il tedesco si sprechena. 
I set di spade simil-lancillotto appesi ai muri. Il Cavaliere dell’Oca mi guarda da ventiquattro anni senza capirmi. Mio nonno ha sempre avuto dei dubbi gusti. 
Giochiamo con le bombe, giochiamo con la caccia ai partigiani.
Onore al merito gli va per aver partecipato alla Jugenfreiheit e per aver fondato un’agenzia di viaggio. 
Negli anni cinquanta doveva essere uno di quegli uomini che profumavano di talco e bourbon. Alto, occhi chiari e un poco di brillantina mascherata nei capelli. 
Un giorno quell’uomo elegante prese la valigia e non vide mai finito l’orlo dei pantaloni che mia nonna stava cucendo. Non vide neppure mio papà, il piccolo Giorgio, all’asilo a ritagliare le particole con le suore. Mia zia Elena, che da bionda diventava scura. Non sentirà tutto il paese di Pomarolo mormorare: ‘‘Sono figli di separati.’’


martedì 19 giugno 2012

Sez. Salone del Libro, i temi proposti da Voi - “E’ intelligente ma non si applica”

                                                    
Tema proposto da "anonimo"...ma lo stesso a lui dedicato

"Guardi signora, a volte lo vedo un po’ distratto, capita che se lo chiamo lui guarda fuori dalla finestra, sembra perso in chissà quali pensieri. E’ intelligente ma non si applica".

Ogni volta che parlo con il suo insegnante è lo stesso ritornello, pensò Pauline Kock, sua madre, non è che questa cosa mi tranquillizzi. Che vorrà dire? Che non è stupido, magari solo un po’ distratto. E d’altro canto, a me sembra abbastanza intelligente, un po’ fuori dagli schemi, magari. Forse dovrebbe smettere di suonare il violino, è una distrazione in più. Suo padre poi, chi glielo dice quando torna a casa: se proprio non avesse voglia di studiare potrà sempre lavorare nell’azienda di famiglia.  
Oggi a distanza di tanti anni, mi rendo contro di quanta preoccupazione mi dava sentire questo giudizio sul mio ragazzo che sì, aveva qualche problema, ma risolvibile. Era dislessico dicevano. Insomma soffriva di quell’affollamento visivo, che porta a riconoscere con maggior difficoltà le singole lettere perché accostate e inserite fra altre. Una “confusione”, che impedisce il riconoscimento della singola lettera che è poi alla base della corretta lettura. Quanto mi rammaricai quando lasciò gli studi per raggiungere noi che ci eravamo trasferiti in Italia. Anche quando cercò di essere ammesso al Politecnico di Zurigo, ma non avendo la regolare licenza media fu rifiutato e non riuscì nemmeno a superare gli esami di ammissione, per quanto eccellesse in matematica e fisica, mi ritornò alla mente la frase di quell’insegnante: “E’ intelligente ma non si applica”.

Tema: Domenica d'agosto

Svolgimento

La cottura a vapore è etichettata come una delle più dietetiche, e soprattutto per una delle più sane: allora perché un’estate a Rovigo è insopportabile proprio perché sembra di vivere in un’immensa vaporiera? 
Una media del 95% di umidità nelle ore meno calde, il sudore che t’imperla perfino i lobi delle orecchie creandoti degli effimeri orecchini scintillanti, la pelle mutata in carta moschicida che t’incolla addosso i pochi abiti che indossi ti fa immaginare come ti saresti potuto sentire dopo essere uscito dalla Casa della Bellezza, se fossi morto in Egitto; la ritenzione idrica ti trasforma le dita in tanti xiao mai ancora crudi, con la pastella appiccicosa e molliccia; quando rassetti casa con addosso solo le mutande (per pura concessione alla pudicizia malintesa di tua sorella) e mezzo rotolo di scottex casa avvolto in testa per scimmiottare la Mamy di Via col vento per evitare che il sudore ti coli negli occhi accecandoti, e quindi tanto vale farlo come un clown per tirarti su, accogli senza esitazione alcuna la proposta imprudente: “Se tu fai da mangiare io stiro”. Imprudente per lei, ovviamente: io non stiro mai perché le mie tre Muse -Noia, Pigrizia e Accidia- me lo vietano, figurarsi poi se lo faccio con 36° all’ombra. 



domenica 17 giugno 2012

Tema: Porca Miseria!


Svolgimento

L'Italia sta attraversando una forte crisi economica, le imprese licenziano il personale, i negozi chiudono. Questo fenomeno ha cambiato la morfologia di Bagheria, paese siculo vicino Palermo: dove prima c'era un panificio, una macelleria, un ristorante, ora aprono attività commericali mai viste in passato.
Con la perdita del lavoro, le famiglie cambiano le loro abitudini, acquistano ai discount, per risparmiare a volte non comprano un paio di scarpe o dei jeans nuovi ai loro figli e con quei soldi magari pagano il gas; nonostante questo a fine mese non ci arrivano.
E allora viene aperto il cassetto chiuso a chiave, quello dove sono conservati i gioielli di famiglia, vengono presi l'orologio del padre, o il braccialetto del battesimo, o i fermapolsi, e portati al “compro e vendo oro”.
Penso che tutti voi ne abbiate  visto almeno uno. Per chi non lo sapesse il “compro e vendo oro” è un negozio nel quale si può acquistare o vendere oro, argento e oggetti preziosi. Benchè ci sia scritto “vendo” a loro interessa solo acquistare l'oro. E in cambio degli oggetti d'oro danno del denaro contante. Sulle origini di questo denaro si hanno dei dubbi. La durata di questi negozi a volte è di soli dieci giorni. É in questi giorni che avviene il riciclaggio del denaro sporco. 
Probabilmente dietro ad un “compro oro” c'è la mafia, la malavita, le cronache dei giornali lo hanno scritto. 
Appena tutto il denaro è stato “ripulito”, il negozio chiude. Questo meccanismo è un ciclo senza fermata. 
Facendo un giro di Bagheria, e senza velleità di contarli tutti, almeno ce ne sono dieci, porca miseria!

Giorgina

venerdì 15 giugno 2012

Tema: Gli sguardi di Giulietta Masina

Svolgimento

Un pomeriggio che c'era troppo caldo per stare a mare lo andai a trovare – ciao Antonio, hai la faccia a cazzo di cane!  -  e lui a guardarmi male,
lo so, studio troppo; nella sua stanza una fisarmonica di libri aperti, il divano impraticabile - sedetti per terra -; finisco di leggere questa cosa, un attimo solo, mi disse Antonio e poi, senza che glielo chiedessi, mi rivelò con il tono di una scoperta che Roma non è una città, cosa è allora?, è uno stato mentale, suggestioni letterarie, Virgilio e le donne grasse di Fellini, Roma dei cardinali che sfilano e delle periferie di Pasolini, Roma di Cinecittà..
Roma pronunciata già senza le troppe r della nostra inflessione, e mi sembrò diverso, sfuggente, lo guardavo mentre quello che conoscevo di Roma - il Colosseo e l'Altare della Patria - gli scorreva negli occhi persi e mi sembrò ancora più lontano, e una ventata di malinconia mi pose fuori dal mio corpo e mi sentii schiacciato, lui che non apparteneva più a Casteldaccia, a Palermo, alla Sicilia e io che invece ci affondavo, più lui si allontanava e la sabbia dove io vedevo i miei piedi immergersi si trasformava in cemento, filamenti lunghi fuoriuscivano dalle unghie, dai talloni, dalla monta, penetravano la materia dura percorrendone le crepe e ancorandosi saldamente quanto più lui accumulava velature da pittura rinascimentale sull'immagine della sua Roma, e le musiche di Rota per gli sguardi di Giulietta Masina, e il libro intonso che pensavo fosse la mia vita ad ogni sua parola perdeva pagine sino a diventare una copertina misera, appena lo spazio per il nome e cognome e la data di nascita e quel nato a Palermo maledetto, e io che guardavo ai suoi appunti scritti con calligrafia minuscola, alle foto dei film che lui aveva visto e che io avrei voluto vedere, alle citazioni tirate fuori dai libri che lui aveva letto e io messo in conto di leggere al più presto, i contatti telefonici che non avevo, gli indirizzi di luoghi importanti che non conoscevo, le annotazioni per tracciare i caratteri di un personaggio o la trama essenziale del film che prima o poi avrebbe diretto, la sua opera prima che per lui era un fatto aleatorio mentre io vedevo già la locandina con il suo nome in qualità di regista; nella sua stanza cominciò a muoversi aria, e forse anche fogli, mi sentii distratto, assente tra le cose del mondo a succedermi attorno, immobile tra le auto che rombano, la gente che si spintona, i bambini che leccano il gelato, le piante che respirano attraverso la porosità delle foglie. La patina sottile di zucchero che ricopre i dolci fatti in casa, così mi adagiai per terra, senza farmi male.

Una manciata di secondi o forse di minuti, aprii gli occhi non so quanto tempo dopo, li sgranai cercando di comprendere dove fossi stato, Antonio a chiedermi se andasse tutto bene.

GD

giovedì 14 giugno 2012

Tema: Margherita e le scimmie


da "anziana" ad "anziana", solo la scusa per fare degli auguri

“La teoria dell’evoluzione può essere vera, ma l’evoluzionismo nel senso neo-darwiniano, intesa cioè come processo di variazione casuale e selezione naturale, non lo è. Un sistema di pensiero che neghi o tenti di confutare la palese evidenza di un disegno biologico è ideologia, non è scienza. Non si può negare alla divina provvidenza ogni ruolo casuale in riferimento allo sviluppo della vita nell’universo”
Parola di sua eminenza il vescovo di Vienna il cardinale Christoph Schonborn.
Il giorno che elessero Papa Ratzinger, scoppiai in una fragorosa risata pensando alla quantità di materiale che ci sarebbe piovuto addosso e sul quale sarebbe stato facile fare dell’ironia, e devo dire che da subito il teutonico servo dei servi di Dio non mi ha delusa: la maglietta della salute nera sotto la bianca veste, il saluto alla folla che pareva rubato ad una sfilata nazista, i modi sbrigativi con i quali voleva “procceddere alla benedizione”, gli occhialini da vista più grandi del viso stesso, l’assistente personale degno delle prime pagine di un settimanale femminile e ombra fedele al palio: insomma una pacchia.
Ma il meglio ovviamente doveva ancora venire: infatti dopo che un simile intollerante, estremista dottrinale, altero nemico di ogni relativismo, si è beccato il titolo di vicario di Cristo, ogni suo emulo maldestro si sente motivato a sparare grosso!

martedì 12 giugno 2012

Sez. Salone del Libro, i temi proposti da Voi - "I Rettili"


Tema proposto da "anonimo"...ma lo stesso a lui dedicato

Il kobra non è un serpente
Ma un pensiero frequente
Che diventa indecente
Quando vedo te
Quando vedo te
Quando vedo te
Quando amo ... da da da da


Lo ammetto: la prima cosa che mi è venuta in mente pensando ai rettili è il refrain di “ Kobra”, una canzone di trent’anni fa cantata da quella pazza scatenata di Donatella Rettore, una specie di David Bowie “de noantri” che ormai è entrata di diritto nell’almanacco delle icone gay in qualità di Befana onoraria.
Da quando è riemerso serpeggiando dai meandri del passato, questo tormentone non mi lascia più in pace e la mia corteccia cerebrale non fa che vibrare al ritmo infernale dello ska psichedelico degli anni ottanta.
Batto il tempo e canticchio. Il corpo fluttua e dentro cresce una frenesia cieca. Mi ritrovo a seguire a ritroso una bava lucente di ricordi e il filo torto del pensiero incomincia a vibrare, come una lingua biforcuta davanti alla preda.  

Il kobra si snoda, si gira, m'inchioda
mi chiude la bocca, mi stringe e mi tocca.
Wow! Wow! Il kobra! Ah! Wow! Wow! Il kobra! Ah!
Prendo a dimenarmi come una furia nella stanza. Ossessiva. Da quanto quel Kobra non danza più? Mi muovo alla ricerca di una coreografia dentro i miei spasmi passati, quando lottavo per trovare un senso al mio malessere. Ecco, ora mi vedo:
Sono seduta in un’anticamera buia. Rimugino pensieri confusi e ce l’ho col mondo intero. L’ultima volta che me ne sono uscita di qua, ero un fascio di nervi e piangevo. Nemmeno dopo l’ennesima seduta ero riuscita a venire a capo di nulla. Entro e, senza guardare il mio analista, mi allungo sul lettino. Si era deciso durante l’ultima seduta di adottare la classica posizione freudiana perché non riuscivo proprio a parlargli guardando quei suoi occhietti inespressivi trincerati dietro lenti da speziale dell’Ottocento. Non sopportavo quella supponenza e quella totale mancanza di empatia. Ogni volta, mi fissava assente, seduto alla scrivania in attesa di perlustrare il mio cervello. 
- Ha qualche sogno da raccontare?
- Mi tolgo gli occhiali e il mio sguardo comincia a fluttuare come una bolla di sapone. Faccio resistenza. Non ci riesco a cambiare pelle. A togliere le inibizioni e a vivere finalmente la mia vita o, perlomeno, a enunciarla. Parto con le solite esitazioni, giro intorno a me stessa alla ricerca di un approdo e non trovo che accessi sbarrati. I pensieri si fanno intricati e le mie parole, come becchini, a scavare badilate e badilate di caos, dissotterrando il loro nulla. E più parlo più mi accorgo che le parole davvero ti uccidono. Poi un silenzio prolungato e insopportabile. Eccolo il teschio, una folla di vermi.... Vago nell’ombra e non sento che un fetore di morte. 

sabato 9 giugno 2012

Tema: La distrazione pseudounipolare del neurone


Svolgimento

Esiste un confine alla distrazione, molto marcato e quasi palpabile; è un crinale che delimita la regione compresa tra la disattenzione in generale, la svagatezza, la sindrome comportamentale e i disturbi dell’attenzione. Coloro che possono essere annoverati tra gli indigeni di questa regione non hanno distinzioni di sesso o di età, di ceto o censo o credo, di etnia o di retroterra familiare: nulla è definito o codificato tranne l’essere vagamente suonati come un gong, in forma più o meno rilevante; gergalmente questo territorio si denomina “teresina”. 
Prendiamo in considerazione una serie di esempi per tracciare meglio il concetto di base: chiudersi fuori di casa perché si è usciti lasciando chiavi sul tavolo di cucina è distrazione. Mettere il sale nel caffè al posto dello zucchero è distrazione; non lo è più se appena lo si è servito zuccherato agli amici ci si alza appositamente per andare in cucina a prendere il sale. Accendere il gas sotto la pentola sbagliata è semplice distrazione, ma sconfina e supera il confine se sul gas acceso non si mette nulla, e mentre si continua a trafficare in cucina ci si chiede come mai il burro nella padella non si è ancora sciolto, dopo mezzora di controlli ripetuti al fornello.
Lampante è il caso di andare in bagno e sedersi senza abbassare le mutande, accorgendosene quando oramai è troppo tardi; oppure la variante complementare: quando ti siedi in piena regola, e nella frazione di secondo nella quale uno pensa “Senti com’è caldo oggi, sono tutto sudato” realizzare che non è sudore quello che si sente, ma che si è completamente dimenticato di alzare il coperchio del water.

venerdì 8 giugno 2012

Tema: La città perfetta


Svolgimento

"Vorrei morire ucciso dagli agi. Vorrei che di me si dicesse":

"Com'è morto?"

"Gli è scoppiato il portafogli".
(Marcello Marchesi)

Succede che un bel giorno ti svegli e ti trovi in una città perfetta. Tutto funziona a dovere e tu non vieni considerato un numero. Al mattino non cammini in fretta, perché se fai tardi nessuno ti rimprovera.
Anzi, piuttosto se fai tardi vieni pure coccolato. Per strada tutti ti salutano e tu ricambi affabilmente. Volti l’angolo e il barista ti rincorre trafelato. Tu penserai che [...] si sarà sentito snobbato, stamattina, data la tua assenza dal bar. Invece lui non avendoti veduto ha pensato tu stessi poco bene e avendoti poi intravisto di striscio (dalla sua vetrina) s’è rincuorato, poverino, ed ora ha per le mani un caffè fumante e un cornetto appena sfornato e vuole offrirli a te. Nei giardinetti, anche lì tutto è perfetto. Nessuna foglia cade o ti scricchiola seccamente sotto alle suole. Il vialetto è pulito e gli uccelli ti cinguettano al passaggio e nessuno di loro che ti faccia piovere in testa qualche suo bisogno dal cielo. Alcuni cani randagi, di taglia diversa, ti seguono scodinzolanti, annusano e sono giocosi, ma neanche loro ti disturbano.
E non è una tua impressione che i bambini con le loro cartelle non ti urtino correndo, perché evitano accuratamente di occupare lo spazio di quel binario invisibile che tu in genere percorri di corsa, come un treno sbuffante, almeno fino al giorno precedente, scontrandoti col mondo e con te stesso.
Anche il sole fa la sua parte, riscalda ma senza farti sudare. E poi succede che camminando ancora non arrivi dove dovresti arrivare e tutt’assieme ti infastidisci, nonostante ti salutino, che le foglie non cadano, che i bambini non ti urtino, che il sole non faccia sudare e che in ufficio non s’incazzino per il tuo ritardo. Cammini e non arrivi, nella città perfetta, quella dove non sei affatto un numero e che tu affabilmente ricambi sorridendo e correndo sbuffante come un treno che non arriva mai. Poi, capisci. Forse sei tu perfetto o impeccabile? No, non lo sei ... però vivere in una città perfetta servirà solo a ricordartelo.... un pochino, in ogni momento.


TOGA



giovedì 7 giugno 2012

Tema: Le castagne al fuoco

Un’uscita plateale. Ovviamente sbattendo la porta. Si concludono così venti anni di vita coniugale .
Gianni l’aveva conquistata cantandole all’orecchio Che odore di castagne al fuoco.... Era diventata la loro canzone.
Oggi, quando Rosalba è uscita dalla porta ha detto così: Le castagne al fuoco sbattitele in culo, frocio.
Gianni ha fatto finta di non ascoltarla, in fondo lei se ne stava andando, la casa restava a lui, al più si sarebbe portata, ma non subito, un po’ di mobili.
Dopo che la porta si è chiusa, Gianni ha risposto, sottovoce ma ha risposto, quasi parlando tra sé e sé, o forse pensando a voce alta. E comunque è stato categorico: frocio tuo padre, le ha detto. (Se lei l’avesse sentito sarebbe andata su tutte le furie. Perché che il padre di Rosalba è frocio, in giro si sa alla grande.)
Gianni lo ha detto e poi si è messo seduto e ha poggiato piedi e scarpe sul tavolino. Un giro dei canali televisivi: solito gossip.
Controlla l’orologio: sono le 18:00. Tutto va bene, sì, tutto va bene.
Gianni si alza. Meglio uscire e fare la sua prima spesa da scapolo dopo tanti anni di matrimonio. Comprerà tutte quelle cose che Rosalba definiva porcherie. La trippa al sugo della simmenthal per esempio. O il minestrone knorr. O gli spinaci filanti quattro salti in padella. I fagioli, i fagioli che lei non cucinava perché lui poi si dava alle arie da opera: così lei diceva. Una volta lo disse pure mentre a tavola c’erano alcuni colleghi di lavoro: aveva parlato apertamente del meteorismo flatulente di Gianni.
Gianni ne prende cinque di scatole di fagioli e le ripone con cura nel carrello. Allo scaffale delle bibite invece afferra dieci bottiglie di birra e un bottiglione di vino da cinque litri. La casa deve sembrare una taverna, alla faccia di Rosalba.
Mentre Gianni vede sfilare la merce sul tappeto mobile della cassa, con gli occhi ammicca alla cassiera: è carina e lui è disponibile, da un paio di ore è disponibile. Lo scriverebbe sui pilastri dei portici, nei bagni dei pub, alla stazione, ovunque ci sia una messaggeria: Quarantenne da sballo si è appena liberato da asfissiante matrimonio.
É tentato dal cercare il contatto con lei ponendogli la carta di credito direttamente in mano, poi lascia perdere.


lunedì 4 giugno 2012

Sez. Salone del Libro, i temi proposti da Voi - " La fisica e la chimica applicate alla cucina "

                                                                       Questo tema è stato proposto da Alessio . e a lui dedicato


Siamo onesti: per accendere il fuoco sotto un pentolino d’acqua non serve un genio, basta avere il gas. Per metterci dentro due uova non occorre molto, al massimo aver presente che è meglio levarle dalla confezione. La cosa si fa più complessa quando interviene il fattore tempo, quello di cottura beninteso, che è quel fattore che ti fa la differenza tra un uovo à la coque, uno bazzotto e un uovo sodo (a parità di metodo di preparazione). Il gradino successivo è la temperatura dell’acqua: rigorosamente a 95° per preparazioni chic come le uova in camicia, le quali con un tempo di cottura maggiore diventano oeufs mollets. Questo perché la fisica è uno degli ingredienti base della cucina di ogni paese, ceto e gruppo etnico; lo è in maniera discreta ma immanente, è talmente presente che non ce ne accorgiamo e i più cucinano senza averne la consapevolezza. Entra in gioco anche la chimica, ma questa giocherà un ruolo principe in una branca specifica della scienza culinaria. 

Auguste Escoffier, Brillat-Savarin, Pellegrin Artusi, Livio Cerini di Castegnate, Ugo Tognazzi danno tutti delle regole precise per cimentarsi in un esperimento di fisica applicata che sarà presentabile e appetibile solo se riusciremo a realizzare un perfetto equilibrio termodinamico: il soufflé. Partiamo da elementi tutti rigorosamente a temperatura ambiente, sia che facciamo un soufflé di cioccolato sia che ne facciamo uno di tartufi, ossia il processo non varia se la preparazione è dolce o salata. Fondamentale è, se si parte da una base di purè di patate aver l’accortezza di lasciarlo intiepidire prima di aggiungere i rossi d’uovo, che si incorporeranno uno per volta perché un bravo sperimentatore sa bene che non bisogna variare più parametri assieme nel corso di un’esperienza di laboratorio. La fase successiva prevede la sbattitura delle chiare d’uovo per ricavarne una neve densa e fermissima: ci si può sbizzarrire sull’utensile da utilizzare per farlo, c’è chi ottiene risultati migliori con una semplice forchetta, chi si sente un po’ più sadomasochista e le frusta di gusto, chi invece è più tecnologico e adopera uno sbattitore elettrico. L’operazione di incorporare le chiare montate a neve all’impasto è di una delicatezza estrema, richiede un grado di mano ferma e gentile pari a quello che si dovrebbe avere maneggiando i seni di una monaca. La successiva fase richiede un ambiente, in questo caso un forno, perfetto: la cottura del soufflé dev’essere una trasformazione adiabatica, e qualsiasi infinitesimale variazione di temperatura imprevista farebbe irrimediabilmente smontare il preparato come una chioma cotonata anni ’80 in una raffica di Bora di Trieste, che per l’appunto è un vento catabatico.