giovedì 30 gennaio 2014

Quaranta giorni! di Lucia Immordino, Aletti Editore

Sez. Amici della Maestra
Svolgimento




Cercavo dentro i cassetti dell’enorme scrivania, tra i libri della polverosa e strafogata libreria, tra le “veterane” carte nel “vecchio” studio di mio padre col mobilio in mogano scuro, un atto di un “vetusto” immobile, quando mi ritrovai tra le mani una carpetta logora dentro cui vi erano fogli di diversa consistenza, di differente misura e ingialliti dal tempo; qualche foglio macchiato forse da gocce di sangue o di ruggine; altri sbiaditi, poco leggibili.

Incuriosito incominciai a sfogliarli.
Capii dalla numerazione dei giorni che avrei dovuto seguire un certo ordine.
La scrittura sembrava della stessa mano: talvolta fitta, altre volte più distesa, altre ancora, presentava un tratto nervoso.
Chi scriveva era una ragazza, mentre i giorni sembravano numerati da qualcun’altro.
Ad un tratto persi interesse per l’atto e cominciai a cercare ulteriore materiale tra quei fogli.
Trovai documenti, appunti vari tracciati da mio padre.
Provai una stranissima sensazione.
In un pezzo di carta c’era annotato: “Giorno 24 giugno 1944 muore Sarah Tamar all’età di trentatre anni, nel campo di sterminio di Mauthausen”.
Su un’altra striscia di carta, scritta con del sangue, vi era vergata questa epigrafe “Ricordatevi di me con riso e gioia. Se di me ricorderete con pianto e lacrime, allora non ricordatevi affatto”.
Sarah Tamar, questo nome non mi diceva nulla.
Cercai ancora fra le carte: capii subito che i numeri dei giorni erano stati compilati da mio padre.
In un appunto era sottolineato che gran parte degli scritti di Sarah Tamar era andato perduto e lui aveva messo insieme ciò che ne era rimasto, tentando di tenere il conto cronologico degli eventi in cui ella aveva scritto.
Spulciai ancora un poco e trovai delle lettere.
Queste però erano di un periodo anteriore alla tragedia, sembrava certa corrispondenza tra Sarah Tamar e un tale Leone.
Che fosse lo stesso Leone detto “l’ateo”, medico, amico di mio padre, che scelse da sé il confino in Aspromonte dopo la morte di Matteotti?
Dalle notizie tracciate nelle lettere sembrerebbe proprio di si …


mercoledì 29 gennaio 2014

Tema: Berlinguer

Da Cernia tossica
(romanzo in progress)

Svolgimento


E intanto il Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer fissava per giugno '99 i primi esami con la formula che tanti cambiamenti avrebbe apportato al sistema: Rosa’, grazie al tuo ministro comunista basta con cinque membri esterni e uno interno; con la nuova legge i membri interni sarete tre e i bastardi esterni quattro - presidente compreso -, lo sai cosa significa? Iscrizioni a tignitè. (Io che ai miei esami di maturità avevo un attempato coi mustacchi bianchi nella fila accanto, in attesa che distribuissero le tracce lo sentivo parlare dei dieci dipendenti dell’attività commerciale e della villa con campo da tennis e del rammarico di aver fatto tutto nella vita tranne che prendere il diploma - ambiva in alto, pretendeva la maturità classica. Che pena guardarlo quando implorò pezzi di compito: come si fa? passami l’inizio, solo la prima frase – così sussurrava ad un mio compagno, peccato, era il capra della classe.


martedì 28 gennaio 2014

Tema : Palermo tra storia e storie

Sez. In viaggio
Svolgimento


Mio padre li raccoglieva, un tempo, con una latta in alluminio legata ad un bastone; cerco in frigo e trovo l’ultimo nella vaschetta di polistirolo. 
addento il frutto dolce, cedevole e polposo, con gli ossicini capaci d’incastrarsi in mezzo ai denti; ingoio anche quelli, sono parte inseparabile di ogni ficodindia.
Mi appare così Palermo.
Bella in ciò che l’uomo può solo guardare e non toccare; albe e tramonti rossi e viola, fiori in mezzo al cielo.
A questa città sono incline a perdonare tutto, per il sole e la sua luce chiara, eppure se mi addentro nei suoi storici quartieri, faccio fatica a trovarci tutta la bellezza antica. Essa sembra affiorare frammentata, fra gli strappi di una tela sudicia che copre tutto quanto. Squarci di un’epoca, remota quanto il suo cristianesimo orientale, barlumi di un orgoglio che ogni giorno va perdendo appigli.
M’illudo di vedere Palermo nel suo ultimo abito elegante, il liberty dei Florio, Villa Igiea. Posso anche immaginarla come una gran signora, quale “donna Franca” con lunghi fili di perle e mani affusolate, posso rintracciare la sua nobiltà nei saloni decorati di Palazzo Butera, Villa Bordonaro… ma finirò col piangere per la miseria toccata, invece, a Villa Arena
(1) che, corteggiata anche da Visconti per “Il Gattopardo”,  oggi ha l’erba alta e tutti i vetri rotti.
I vicoli, perlopiù strettoie, sono grovigli che, lascito degli arabi insieme alla confusione dei Borboni, rappresentano il “peggio” sopravvissuto bene.
A guardia di tutto, in ogni caso, c’è Santa Rosalia! Ha risolto il problema della peste, provvederà, speriamo, a tutto il resto.
Noi palermitani ricorriamo a Lei per il posto fisso e la salute. Fanno molto più le sue ceneri che non la politica e la sanità. 



lunedì 27 gennaio 2014

Tema: Vilma, la memoria del rosso

27 gennaio: Giornata della Memoria
Svolgimento

C’è una donna con il rossetto rosso. Dice solo le cose in cui crede, è golosa e instancabile, corre più di un treno della memoria. Da bambina si mette in bocca una lingua che non è la propria, perché qualcuno ha deciso che “qui si parla solo in italiano”. Buongiorno, passami il sale e ti voglio bene in sloveno diventano enormi gesti di resistenza: lei comincia a resistere. Vilma aspetta dalla parte giusta della barricata che arrivi il momento di scegliere da che parte stare. Sei disposta a morire per un’idea? Per un volantino? Per nascondere una lettera e portarla in montagna? Domande inutili: certo che è disposta. Se ti becchiamo, mettiamo a ferro e fiamme tutto il paese.

C’è una bambina con la bicicletta rossa. Pedala controvento su una terra che vorrebbe di tutti. Compie quindici anni in carcere, all’urlo dei passi dei condannati a morte. È così minuta che parlerà, ha così tanta sete, che venderà i partigiani per un sorso d’acqua. Vilma, piuttosto, ammazzatela: non parla neanche sotto tortura, nessuna sete può vincere la sua libertà. È ancora disposta a morire per quell’idea che è sempre più forte, che è sempre più giusta. Non è vita il sopravvivere di nascosto, non è giusto salvarsi, senza poter essere davvero uguali agli altri.

sabato 25 gennaio 2014

Tema : Bello

Svolgimento

Il suono della sveglia ruppe il silenzio. Le sette meno un quarto, ora di alzarsi.
Quello non era un giorno qualunque; lei sarebbe tornata a trovarlo, finalmente.
Scese dal letto, inforcò gli occhiali, si diresse in bagno. Aprì la finestra, spalancò le persiane e la luce del giorno riempì la stanza.
Si guardò allo specchio. Tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi.  Rimise gli occhiali per  osservare con maggiore attenzione, emise un grido. Anzi tentò; la voce gli si strozzò in gola.
Lo specchio gli rimandava un' immagine che non era la sua.
Dall'altra parte un uomo di una bellezza e una perfezione, come mai  avrebbe sognato, lo guardava dritto negli occhi.
Accese la luce, tentò di scuotersi, si allontanò dallo specchio,  vi ritornò. Pose le mani dinanzi agli occhi, le tolse. La visione riflessa era sempre la stessa. Impossibile, ma vero.
Sconvolto, mille pensieri gli attraversarono il cervello.  Si sedette al bordo del letto ancora disfatto. E adesso, che poteva fare? Il tempo scandiva interminabili minuti.
Cercò di razionalizzare. In fondo, si disse , si trattava di un bel miglioramento. Chissà quanti avrebbero dato un bel po' dei loro anni per assomigliargli.

venerdì 24 gennaio 2014

Tema: Rovesci d'autore

Svolgimento

Maestra, sono entrato in una libreria e mi pareva un cimitero. 
C'erano nomi di gente, date di nascita, di morte e di stesura, necrologi in quarta di copertina, copertine di cemento dentro bare di carta. C'erano foto di autori estinti che coprivano tombe di storie trapassate. Lapidi di idee, sacrificate all'altare della celebrità personale. Loculi nei quali giacevano racconti massacrati e poi dimenticati, forse per il semplice fatto che il loro assassino non era poi così famoso. 
Dicono di non giudicare il libro dalla copertina, ma qui si finisce addirittura per giudicare la copertina in base al nome che vi sta inciso sopra. L'autore è diventato untore, e contagia con la propria aura santificante le pagine che il lettore, spaesato, si trova costretto a guardare. Vetrine espongono il cadavere di un libro, e il nome dello scrittore è tatuato sulla pelle, unico segno di riconoscimento del suo valore intrinseco. E l'idea all'interno ne muore. 
In effetti, oggigiorno un romanzo deve per forza passare per la cruna dell'ego, che non è una cruna ma una voragine in continua espansione. A farne le spese è la genuinità della storia, la sincerità delle parole, la spontaneità della creazione. L'autore è maestro, il lettore un povero scemo che deve imparare. Imparare cosa, poi? Probabilmente, impariamo sempre e solo a morire meglio. Ma lasciamo stare i sofismi da catacomba, qui stiamo parlando di cose importanti. 

giovedì 23 gennaio 2014

Tema: L'uomo del pastis

Svolgimento


Non era bello, gli uomini francesi non sono belli, semmai hanno il fascino sgraziato di quei cioccolatini magari un po’ banali fuori  ma che promettono voluttuose onde di consistenze diverse al loro interno.
Aveva bevuto un pastis seduto da solo a uno dei tavoli vicino al nostro, sul marciapiede davanti all’ingresso del locale sotto la copertura rossa: ma con fare nevrile,  con una gamba in fuori, come uno che tema di doversene  andare da un momento all’altro. Era un’inquietudine elegante, però, come i suoi vestiti e le sue mani volubili.
È incredibile quanto in fretta ci accorgiamo di essere oggetto di attenzione da parte di una persona, quanto in fretta ci lasciamo irretire dal fascino di una situazione inaspettata e in un attimo affreschiamo la parete sempre umida della nostra fantasia. Come troviamo irresistibile l’essere irresistibili per qualcun altro.
A Parigi c’ero per festeggiare il mio venticinquesimo anno di matrimonio, il che vuol dire due cose: uno, che non ero esattamente una teenager e due, che di fronte a me c’era seduto mio marito, l’uomo con cui negli ultimi trent’anni avevo condiviso un assortito campionario di passaggi di stato, il letto e due figlie. Una storia tranquilla, la nostra, bella come può essere una passeggiata al parco a fine giugno: sei immerso nella natura ma alla temperatura ideale, sai  per certo che non pioverà e soprattutto sai che fuori c’è la città che ti sta aspettando con tutte le sue rassicuranti nevrosi. Che non sei in una foresta tropicale.
Non lo avevo mai tradito, ero certa che non avrei mai potuto farlo, ma ero ancora più certa che non lo avrebbe fatto lui, mai.
Non c’era nulla di male, mi dicevo, a crogiolarmi in quest’intima lusinga che mi infuocava la nuca in un tardo pomeriggio parigino, mangiucchiavo il mio panino e intanto guardavo le foto che avevo scattato quel giorno con la mia agognata Nikon nuova di zecca, sorridevo e lasciavo fare ai movimenti saccadici dei miei occhi,  improvvisamente tornati adolescenti. Non c’era nulla di male. 
Con la scusa di fotografare lo scorcio davanti a me, con quei tavolini così francesi in primo piano, gli scattai una foto: souvenir de Paris, per scaldarsi nelle sere invernali.

mercoledì 22 gennaio 2014

Tema: In viaggio con Sihaahm

Svolgimento



GAZA - La durissima offensiva israeliana contro Hamas è arrivata dal cielo: una serie di raid aerei lanciati dalla mattina hanno colpito il porto, le caserme di polizia e le sedi della sicurezza a Gaza. Poi l'attacco è proseguito in altre zone della Striscia. Obiettivi distrutti, ma il bilancio è gravissimo: fonti mediche parlano di 225 morti e 400 feriti, tra i quali anche donne e bambini.

Corriere della sera - esteri 27/12/2008

L’ho vista, aiutami a spostare la trave Giù, è qui ti dico: è viva. deve essere viva! dopo due giorni dai raid aerei, Federico tentava di trovare ancora Sihaahm: non riusciva a smettere di cercarla non sentiva lo stimolo della fame della sete del sonno, perfino la pipì non era riuscito a fare durante la ricerca della bambina, di Sihaahm che da quando era arrivato alla Striscia lo andava a trovare quasi tutti i giorni in caserma e gli portava i fiori che raccoglieva ai bordi della strada, talvolta erano semplicemente ciuffi d’erba: era certo che fosse viva. finalmente sentì qualcosa, un lamento. fulmineo si spostò sul luogo dove pensava di aver udito il gemito e cominciò a scavare a mani nude e con tutta la forza che aveva ancora in corpo. il suo compagno d’azione ed amico non lo mollò un attimo: sterrarono insieme fin tanto che riuscirono a trarla fuori dalle macerie.
Federico l’abbracciò, la strinse forte e iniziò a sorridere tra i singhiozzi: Sihaahm era viva! aveva la testa piena di sangue raggrumato, aveva una gamba rotta che penzolava in maniera scomposta,  ma era viva. cominciò a correre velocemente verso l’ospedale di campo e durante il tragitto, a piedi prima, in jeep poi con Giulio, tra le lacrime e la paura di perderla sussurrava “aiutooo, aiutami ti prego, non deve morire”. la guardava l’accarezzava la stringeva e piangeva di contentezza perché la sentiva respirare stretta al suo corpo di soldato: era viva. In ospedale la soccorsero subito, dopo essersi accertati delle sue condizioni, la prepararono per operarla alla testa e alla gamba. 

martedì 21 gennaio 2014

Tema: Il patto

Svolgimento

Claudia andava raramente nella casa grigio malattia, dove gli anziani si consumavano come fiori recisi succhiando avidamente quell’ultimo dito d’acqua ingiallita che puzzava come l’alito della loro vecchiaia.
Lei era troppo bella, alta, voluttuosa, snella, mano in guanto di cremisi velluto. La guardavi e se non eri troppo giovane, pensavi a Gilda la rossa se lo eri i pensieri erano decisamente altri. Sicuramente sporchi.
Lei si guardava attorno, ma non ti vedeva mai. Che noia quel luogo dove i tacchi restavano prigionieri tra le fughe dei mattoni in quel rettangolo di giardino all’esterno del grande edificio. Le prigioni non facevano per lei. La scelta era caduta su una casa di riposo un po’ fuori mano, ma meno crudele di altre che sarebbe stato più opportuno chiamare case di deposito e un mattino d’inganno aveva condotto la donna all’ultima stazione, al binario morto.  
Avevano stretto un patto o meglio Claudia si era piegata alla volontà della vecchia. Claudia era un turbine, la sua giovinezza quasi un affronto alla vecchiaia. L’altra era stata inflessibile come sempre. - “Non voglio essere un peso per te. Liberati di me prima d’odiarmi.” Non lasciare che cada su di me la pena e la tua frustrazione. Era questo un frutto inatteso e amarissimo.
Da mesi scacciava il pensiero di una visita. La situazione era precipitata. Non ci stava più del tutto con la testa, adesso faticava pure a riconoscerla. Quando la vedeva, le tirava contro qualsiasi cosa urlando: “Togliete quello specchio è infedele.” Poi a tratti la osservava sorridendo e diceva all’infermiera: “Come sono bella oggi.”
I momenti di lucidità erano sempre più rari, piccoli squarci in una tela divorata dal tarlo della demenza. Buchi sempre più grandi accompagnati da violenza e furia sempre meno controllabili.

lunedì 20 gennaio 2014

Tema: L'occhio del giallo

Svolgimento


Devono averlo stampato negli anni sessanta; ho sentito il tonfo mentre tiravo fuori una bracciata di libri dallo scaffale sulla scrivania.
Dal buco di una serratura mi fissa un occhio, lo sguardo viene su dal pavimento e sembra perfino alzarmi la gonna sulle gambe.
“Immagine vecchia e inefficace” direbbe oggi qualche grafico moderno e invece l’effetto è ancora quello che il grafico di allora deve avere immaginato.
Ha la copertina gialla, ma l’occhio mi ha messo a disagio e faccio fatica a focalizzare il titolo, è scritto in nero, sopra una riga rossa; riconosco appena i caratteri di una vecchia macchina da scrivere, nient’altro.
L’occhio e la serratura sono racchiusi dentro un cerchio. Immagino una verità che rimane senza via d’uscita, senza scelta. Il grafico ha centrato in pieno tutto quanto.
Uno sguardo lungo quarant’anni che finalmente è penetrato in milioni di esistenze.
Alzo una spalla fino a strofinarmi l’orecchio, quasi a volere allontanare un sussurro, un sibilo, qualcosa d’incorporeo e presente. Il mio respiro ha mille respiri, sono sola, ma sono sicura di sbagliarmi.
Ho firmato quintali di carta per difendere la mia privacy, ma come quest’occhio ho voglia di entrare nella vita di tutti!
Qualcuno ha fatto lo stesso con la mia.
Vuole sapere. Vuole carpire. Vuole rubare.


domenica 19 gennaio 2014

Tema: Sala d'attesa

Sez. Vintage
Svolgimento

Sono un inventore. Per essere più preciso, ragioniere non praticante, diplomato senza entusiasmo sette anni fa. Il giorno stesso della maturità ho deciso che non avrei fatto il contabile. Mi confondevo alla vista delle colonne della partita doppia, dare avere non ho mai capito bene, nemmeno i concetti base della tecnica bancaria. Approfittai della festa di diploma e lo dissi ai miei genitori. 
L’indomani mattina ero già fuori casa, con una borsa da viaggio semivuota, verso la stazione ferroviaria. Mi appostai per una mezza giornata lungo i binari, guardando treni e persone che andavano e venivano, si baciavano e si abbracciavano. Pensai che sarebbe stato bello avere un filo che collegasse le persone, le une alle altre, che rendesse meno pesante il momento della partenza. 
Tornai a casa, stabilii una tregua con i miei e tirai fuori la mia prima invenzione. Il filo interpersonale, o filantropo. Un filo sottile, trasparente e molto resistente, che si teneva in tasca avvolto in bobine di lunghezza variabile in base al viaggio, che si srotolava man mano che ci si allontanava, con il meccanismo del mulinello della canna da pesca. Poi al ritorno si riavvolgeva da solo, in modo completamente automatico, ritornando bobina. Con questo sistema si poteva restare sempre uniti, sia pure da un filo, ma un filo resistentissimo. 
L’invenzione non ebbe il successo che speravo. I tempi non erano maturi e io non ero nessuno. Per gli inventori di quel periodo ero solo uno sconosciuto che tentava di forzare la loro sfera di privilegi, sottraendo prestigio, clienti e forse anche idee. Venni ostacolato in tutti i modi e non si trovò una piccola o media azienda o anche una merceria disposti a investire denaro sulla mia invenzione. È scomoda, dicevano. Lo so, rispondevo. Credo di avere ancora in cantina molte bobine di quel “filantropo”.

giovedì 16 gennaio 2014

Tema : Siamo tutti allenatori? - di "Mendo" Fabio Mendolicchio - Ed. Carta Canta

Sez. Amici della Maestra
Svolgimento



Siamo tutti allenatori è dedicato alle donne, soprattutto alle madri, lo era in partenza e lo è quando poco prima di uscire la mia di madre è mancata.
La dedica che apre il libro è il riassunto di ciò che è racchiuso, grazie.
…a mia mamma, allenatrice a cui ho sempre pensato di avere tempo per dire grazie
e invece mi ha insegnato in ultimo che il tempo non è mai
abbastanza per sorridere, abbracciare e perdonare,
quel tempo da sempre sfuggevole per un bacio, per una carezza e per ricordarsi che anche la morte è allenatrice, madre e amante

Siamo tutti allenatori?
Siamo tutti allenatori !
La risposta alla domanda che mi pongo, la prima e fulminea idea che mi balza in mente, è unicamente la domanda stessa nella sua versione affermativa. Nei bar, nei ristoranti, nelle fabbriche, nelle tipografie, nelle rivendite di tabacchi come nelle macellerie, nelle salumerie, nelle panetterie e nei supermercati la voce che sento è calcisticamente univoca.Negli schermi televisivi e nelle onde radio, nelle scuole, nelle piazze e per le strade, nelle parole come nei gesti siamo tutti allenatori, un passatempo che lascia però un vuoto inspiegabile, invisibile. Non riesco a spiegare questa inclinazione, se non come un prurito perpetuo che non mi dà tregua, vero sollievo in una piacevole grattata che quasi scopro essere aspettativa, desiderio e appagamento.
 
Il bar sotto casa è il quartier generale per il mio consueto risveglio a base di caffeina, il giorno in questione è uno come tanti altri ma nello stesso tempo segna per me tappe d’arrivo e di partenza, pillole quotidiane di domande e risposte.

Pillole di gennaio
01.01. Tutto comincia come dovrebbe cominciare, a piccoli passi, uno dietro l’altro fino a raggiungere un punto alto, tra le montagne alpine, un metro dopo l’altro fino a quota 2500. L’anno inizia strizzando l’occhio al passato e mi rendo conto che ci vorrebbe un po’ d’allenamento in più, perché frequentemente a corto di fiato mi fermo a imprecare o anche solo a riposare. Cerco di prendere tempo ma so che devo ripartire.


mercoledì 15 gennaio 2014

Tema: Buongiorno, amore

Svolgimento

Maria ha settant'anni. La sua mente è lucida, i suoi occhi aperti, la vista oscurata.
Ti va di farmi compagnia? è la prima cosa che mi chiede senza guardarmi, senza sorridermi.
Conosce "L'arte di ottenere ragione", ha insegnato filosofia. Conosce stratagemmi validi per annientarmi dialetticamente e vincere ogni disputa.
Accetto. Ci facciamo compagnia.
Mi racconta del suo grande amore e mi confida che non si tratta di suo marito. Resto basita; lei ha l'espressione di chi sta per confidarmi il segreto della formula chimica della coca cola. 
- Tranquilla! il tuo segreto starà con me, non lo sbandiererò ai quattro venti e se ne farò uso in qualche scritto saró discreta, non farò nomi, non voglio che "l'effetto farfalla" mi colpisca.
- Vedi Nina, era l'epoca in cui non si baciava se non si amava e per me è stato così.
E io l'ho amato di amore puro e l'ho baciato tanto, troppo. L'amore non lo puoi domare è un cavallo di razza puro sangue. Non eravamo due gocce d'acqua ma ci siamo scelti fra tanti, senza la consapevolezza di farlo.
"Era amore da respirare, lo porto sulla pelle, tra le lenzuola - io penso a un acaro non visibile a occhio umano a volte letale - felice di aprirsi alla vita che germogliò un piccolo frutto che leggero si è trapiantato in me: un piccolo battito - mi dice proprio così e per un attimo penso alla mia cara professoressa di scienze morta zitella però questa lezione mi piace, mi mette speranza e rimango lì in attenzione. E lei continua a dire che l'amore è aria, la mia, la sua che diventa nostra, invade il tuo spazio, il tuo mondo, l'amore si trasforma e non muore.
L'amore rimane, è rimasto; era già cieca, penso io, lui se n'è andato!  


martedì 14 gennaio 2014

Tema: Privacy ancora, Sam

Svolgimento

Ai miserabili abbiamo rubato l’intimità. Con lo zelo dei ladri dai guanti di velluto, l’abbiamo ricettata, ripulita e patinata. L’abbiamo chiamata “privacy” e ora la difendiamo con le unghie manicurate e i denti bianchi, come se fosse nostra, legittima e normale. Quanto guadagniamo, chi ci portiamo a letto, le telefonate in cui sputtaniamo il Paese che dovremmo governare: nessuno si permetta di chiedere, nessuno si azzardi a diffondere. Spixelate i volti dei nostri bambini biondi, per carità, chissà quale uso potrebbero farne tutti i malintenzionati che ci sono a piede libero. Quanto mi dispiace per S.C.! No, che è successo? Dicono avesse tutti i dipendenti in nero. Io non capisco perché debbano sempre perseguitare gli onesti imprenditori e padri di famiglia, con tutti i clandestini che ci sono. Eh, in nero e che sarà mai? Intanto dava lavoro a un centinaio di persone, dovrebbero ringraziarlo, altro che metterlo ai domiciliari! Povero S.C., speriamo non se ne parli troppo, chissà la moglie… 
 No, non vale per tutti. La privacy è privata: vale solo per quelli come noi. La violi solo se il proprietario di quella dignità può farti causa. Figurati se uno che non ha niente o è a pezzi per via di una granata si mette a protestare perché l’hai sbattuto in prima pagina nudo, disperato o morto. Le categorie del diversamente senso del pudore sono miserabili in ogni ordine e grado: poveri, malati, disabili, zingari, profughi, matti, vittime di guerre e disastri esotici. O, ancora meglio, i loro figli. Almeno così servono a qualcosa. È bello ricordare che c’è sempre qualcuno che sta peggio di te, ti consola al punto che magari compri qualcosa.

lunedì 13 gennaio 2014

Tema : Memorie planetarie

Svolgimento
Cara maestra, dammi una mano.
Sai, io sono ancora un sognatore. Guardo il cielo incantato, e anche se vedo ammassi di gas cosmico, e le stelle non sono certo occhi benevoli ma conglomerati di esplosioni nucleari che bruciano e distruggono tutto ciò che osa avvicinarsi anche solo di un passo ai loro incendi, ancora penso che il cielo abbia qualche ruolo in questa vita, che sembra sempre di più una pura dispersione di energie.
Osservo le stelle, ma non cerco alcun Dio, te lo giuro, ormai non credo più nelle favole, anzi sì, ma credo in quelle intelligenti, quelle raccontate per far addormentare gli occhi e non il cervello. Non credo nel paradiso e nell'inferno, non esistono sopra e sotto in un universo sferico, perché tutto è il sopra di tutto, e il sotto sta ovunque, siamo noi a scegliere dove mettercelo. Quindi io le stelle le guardo, ma non mi aspetto il miracolo, la provvidenza, il giudizio universale, mi aspetto solo che le nubi si diradino, stanotte, e che mi facciano sognare un altro po'.
Scruto il firmamento, ma non credo nello zodiaco. Se un qualche messaggio proviene dalle stelle, non usa il linguaggio umano, né la nostra grammatica. Non conosce i complementi di scopo o di mezzo, perché il cielo non ha scopo né mezzo. Non sa cosa significhino parole come “ricchezza” o “fortuna”, perché esse presuppongono povertà e sventura, e l'universo non si cura della povertà e della sventura, non sa che cosa siano.



venerdì 10 gennaio 2014

Tema: Mush Mellows

Svolgimento

La maestra ci ha chiesto di raccontare la nostra famiglia usando solo immagini. Le parole, ha detto in quel suo modo ogni tanto esaltato, arriveranno dopo, se arriveranno, ha aggiunto dopo una lunga pausa (almeno a me è sembrata molto lunga).
Ha tirato fuori dal suo cassetto segreto della cattedra pennelli, pastelli, striscioline di carta colorata, forbici tante di quelle con la punta arrotondata, matite su matite. Infine ha distribuito gli album da disegno fatti a Fabriano perché ognuno di noi bambini dovevamo rappresentare l'idea della famiglia, più che le persone fisiche. Sbizzarritevi anzi imbizzarritevi, nitrite forte, fatemi sentire il vostro creare. La maestra sembra proprio matta in quei momenti, ma è così divertente. Ha continuato parlando di un pittore olandese che era arrivato alla suprema forma della rappresentazione attraverso pochi colori fondamentali, distribuiti sulla tela in modo geometrico. Poi di un altro pittore spagnolo ma che stava sempre a Parigi e che disse una frase famosa che adesso è famosa anche per noi e la usiamo sempre quando giochiamo a nascondino invece di dire "tana" diciamo "io non cerco ma trovo".
Infine ci ha detto di un metodo per fare poesie, che facevano degli esuli in Svizzera, ritagliando giornali per ricomporre poi le frasi dopo averle estratte da un cappello. Ho chiesto alla maestra se il cappello dev'essere un cilindro, perché a me sembra proprio magico poter diventare tutti poeti così facilmente.
Per ultimo ha detto "datevi da fare, bambini e soprattutto divertitevi". Tutti ci eravamo portati da casa delle foto familiari per farne dei collage o della composizioni. 
A me son venuti fuori un sacco di mush mellows. 

giovedì 9 gennaio 2014

Tema: Ex, semi di musica vivifica di gianCarlo Onorato - Vololibero Edizioni

Gli amici della Maestra
Svolgimento



bellezza e distruzione

Nella via dove avete cominciato a provare, poche settimane prima erano stati ammazzati due ragazzi perché sorpresi a rubare. Non che la cosa avesse grande importanza per la maggior parte di voi, eravate pur sempre ragazzi di provincia senza particolari idee sulla società. A un ragazzo della periferia di una città italiana nel 1977 puoi togliere tutto tranne le Marlboro, uno straccio d’automobile usata e una ragazza che lo aiuti in qualche modo a credere di poter avere una vita normale. A tarda sera le uniche alternative sembrano essere andare a insultare le puttane lungo i viali esterni di Milano, o infilarsi fino a mezzanotte in una birreria a parlare di calcio, del basso di Jaco Pastorius o degli assoli di Ritchie Blackmore. Soltanto un paio di anni prima, poco prima di morire Pasolini aveva fatto in tempo a dichiarasi estraneo alla società media o borghese, ben più attratto verso il basso dal volgo e verso l’alto dalla necessità di un ritorno allo spirituale. Al tempo entrambe le condizioni, come si sarebbe visto, risultavano reiette.
Le prove erano possibili solo la domenica mattina. Attaccavano dopo diverse perdite di tempo, funestate da ripetuti problemi tecnici, e finivano immancabilmente con un’accozzaglia di temi di brani presi a caso e suonati come veniva. La seconda volta che vi prendi parte e tutto  si risolve in masturbate versioni di hit finto-rock ed estenuanti riff e assoli, dichiari sciolto il gruppo. A meno che non si voglia iniziare a fare sul serio. Per la maggior parte dei tuoi coetanei allora il rock è una faccenda semplicemente ricreativa, rientrando nella vasta categoria dei sogni impossibili, come le belle ragazze, la ricchezza e le auto sportive. Era impensabile che qualcuno volesse farne un fatto espressivo autonomo. Tolta la pratica saltuaria e segreta del consumo di marijuana e poco altro ereditato dal passato, il residuale impegno per cause collettive come le lotte di classe, la politica, l’attenzione alle ingiustizie sociali, per troppa vicinanza, non esistono più, se sei cresciuto in un quartiere di quindicimila abitanti e qualcuno dei tuoi compagni ha cominciato presto a morire d’eroina nelle cantine. Non t’importa d’altro che di essere felice almeno per un’ora al giorno nelle mani gentili della tua ragazza.

lunedì 6 gennaio 2014

Tema : ...Tutte le feste porta via

Svolgimento

Ci risiamo. Adesso è il mio turno. Non c'è verso di cambiare. Tra poco vedrai che parcheggerà la slitta con le renne davanti  alla mia catapecchia e busserà, scampanellerà, ding e dongherà tutto allegro. Tanto lui ha già finito e come al solito gli è andato tutto bene. Grandi e piccoli l'aspettavano con ansia questo vecchio panzone imbottito e rivestito dalla Coca-Cola.
Come sempre avrà cestinato senza leggerle tutte le lettere che ha ricevuto e avrà distribuito tutti i regali pagati da altri, facendosi bello come se li avesse comperati lui in prima persona.
Che faccia tosta!, st'impunito !
Già me lo vedo arrivare, con quel suo sorriso finto, sotto la barbona bianca, finta pure quella, col cappelletto rosso col pon-pon, per mascherare la più totale delle calvizie. Solo lo stomaco  gonfio di bevande gasate è vero!  
Farà finta di farmi un po' di corte, qualche parolina dolce che suona falsa a mille miglia di distanza, la solita bottarella sul mio sedere sempre più floscio e poi...

domenica 5 gennaio 2014

Tema : Il regalo per la maestra

Svolgimento

Il Natale è il momento in cui tutto quello che siamo stati durante l’anno si ricongiunge verso di noi. 
Che bella frase, chissà dove l’ho letta, devo ricordarmi di servirla con gli aperitivi e le tartine in queste serate che ci aspettano: sai che successone?
E siccome non c’è niente di più pratico di una buona teoria, se questa frase mi frulla in testa in questo momento  è perché sto scegliendo i regali di Natale e tutto, come al solito, dovrà essere perfetto. 
Un regalo, in particolare: quello per la maestra di mio figlio Luca. 
Cara, cara maestra, tu che raccogli i sorrisi, i pianti e il vomito dei nostri angioletti, tu che come un angelo vegli sui loro giochi in nostra assenza, tu che coltivi il vivaio del futuro, tu, dovrai avere quel che meriti.
Sono stata proprio gentile ad accettare di occuparmene per conto di tutte le mamme, noi mamme, si sa, abbiamo sempre una montagna di cose da fare, siamo sempre di corsa: così ho stabilito le quote, le ho recuperate, ho persino comprato qualche leccornia per i bambini.
Poi, pazientemente, ho atteso l’ultimo giorno prima delle vacanze, il giorno canzoncinapanettoneauguriebaci, Buon Natale e Felicità.
Ed ecco il momento, facce distrattamente incuriosite intorno a me, qualcuna si è anche accorta di non sapere “cosa avevamo comprato”, qualcuna ha cercato di carpire un’anteprima. 
Ma perché rovinare la sorpresa?

sabato 4 gennaio 2014

Tema: La montagna di sughero

Svolgimento

«Dai Samir, basta con l’acqua, vieni a ballare per noi.» Con la mano, uno dei carovanieri sventolava un tessuto leggero e trasparente.
Samir stava riempiendo l’ennesimo otre. A quindici anni aveva trasportato più acqua che pensieri. 
A quella carovana di mercanti si erano aggregati alcuni filosofi, anch’essi diretti a Damasco.
In quella notte luminosa più del giorno, mi ritrovavo addosso tantissima gente. In cammino o accampati lungo i miei sentieri. 
Avevo già capito: quella era una notte strana. 
Dalla mia cima scorgevo il lago di Tiberiade, pescoso. I miei versanti, a quei tempi, erano tanto rigogliosi che adesso non si potrebbero nemmeno immaginare. 
Da allora sono stata attraversata da Turchi, Ottomani, Crociati e perfino Inglesi, ma quella notte non potrò mai dimenticarla.
«Dai Samir, vieni!»
Sparpagliati un po’ qua un po’ là, c’erano pecore e pastori, legnaioli, straccivendoli, suonatori… Gente che tornava a Betlemme dopo una dura giornata di lavoro.
«Facci divertire Samir, basta con l’acqua, balla per noi.» 
Samir conosceva il seguito delle serate. 
Io sentivo quelle voci risuonare in ogni mio anfratto. 
Su di me una variegata moltitudine di personaggi.
Potrei dire che ci fossi avvezza, ricordavo Davide, il Re nato alle mie pendici, ricordavo i seguaci di Baal, ma ciò che vedevo adesso era diverso.
I filosofi discutevano sul mondo che, con lo strapotere dei Romani, stava cambiando in modo radicale. Neanche loro disdegnavano Samir né il suo ballo né tutto il resto. Samir, invece, era incuriosito da quel bagliore inusuale che, invadendo il cielo, sembrava convergere con una lunga scia sopra una stalla malandata.
Ricordava le parole di un vecchio. Gli aveva raccontato di un certo Isaia, di un Dio e di un mondo nuovo che si sarebbe manifestato con una grande luce. Ricordava una frase in particolare, diceva che agli eunuchi, quel Dio avrebbe dato un posto migliore ai propri figli e alle proprie figlie. 
Sarebbe voluto fuggire Samir, perché stanco di essere bistrattato, sognava un posto bellissimo dove anche lui potesse essere felice. 
Samir amava ballare, si muoveva leggero come i tessuti che gli facevano indossare e quando danzava davanti al fuoco, assieme al tepore, riusciva ad assaporare quella felicità. 
Ma era una gioia fugace, gliela strappavano via subito, afferrandolo per un braccio: «Ora basta ballare Samir.» 

venerdì 3 gennaio 2014

Tema : Buoni spropositi

Svolgimento

Cara maestra, mi sono fatto un serio esame d'incoscienza e ne esco tumefatto e logoro, come se mi avessero usato a mo' di scopa per ripulire la colata lavica dell'Etna.
Eh sì, perché mi sono reso conto che ogni anno ci facciamo tutti quei bei discorsi, ad esempio di essere più generosi, e poi puntualmente ce ne fottiamo del prossimo; di essere più gentili, e poi a ogni occasione calpestiamo l'esistenza del più debole; di essere più attenti, e poi ci facciamo volentieri prendere da ogni distrazione, ogni palliativo e ogni stupidata, solo per dimenticare ogni promessa.
Buoni propositi, li chiamiamo, e puntualmente li tradiamo.
E allora, in questo 2014, non sarà mica il caso di rovesciare il gioco, eh? Mi spiego meglio, maestra: se ogni volta in cui le lancette del calendario si azzerano noi ci mettiamo d'impegno a stilare i modi per migliorarci, sarà mica il caso di metterci a pensare ai modi migliori per peggiorarci? Se una volta ogni 365 giorni tradiamo i buoni propositi, forse la strada giusta è ingannare le nostre stesse pigrizie, i nostri tradimenti, stilando una lista dei buoni spropositi?


giovedì 2 gennaio 2014

Tema: "Il palazzo " di Serena Iannicelli - Edizioni Memori, prefazione di Moni Ovadia

Sez. Amici della Maestra
Svolgimento



Il palazzo viveva. Grande e solido come un generale, era di mamo e ottoni. Di ferro e di vetro. Le porte lucide. Le guide, verdi in primavera e rosse d'inverno, riscaldavano un poco i vecchi scalini. L'ascensore partiva con un lamento e con un sospiro di sollievo si fermava ai piani.
Noi eravamo bambini, e lo abitavamo con le nostre famiglie. Prima di noi c'erano stati altri bambini, altri ne sarebbero venuti dopo. Il tempo e la memoria. Ma noi, allora, vivevamo un presente eterno e la memoria non ci insidiava. Non potevamo usare quell'ascensore, nè camminare sulle guide. Avevamo magliette a righe rosse e blu quando arrivava il caldo e cappotti troppo grandi quando c'era freddo. Molti di noi avevano scarpe alte e nere che dovevano dissuadere i nostri piedi dall'andare in dentro, o in fuori, o un po' di qua e un po' di là. Dovevano insegnarci a camminare dritti, insomma, "sulle strade della vita". Erano gli anni 50, c'era ancora da sognare.
Noi bambini facevamo parte di quel sogno delle nostre famiglie, ed eravamo destinati a deluderlo.
C'eravamo io, Daniela, Rosalba, Patrizia, Claudio, un Carlo che restò poco, Rocco, Maurizio, Riccardo e Rossana che erano i figli dei portieri, fratelli fusi insieme da un segreto banale, poi tragicamente svelato. Tutti avevano dei fratelli, tranne me. Non parlavamo di quello che ci succedeva a casa, ma il Cortile del Palazzo lo echeggiava, portando discussioni, risate o scapaccioni su dal primo piano fino all'ultimo e ritorno. I muri respiravano. I tubi erano vene. E quando, in tutte le case, alla stessa ora, si accendevano le luci, era come se il Palazzo avesse un brivido lungo la schiena.
A quell'ora si cenava, assonnati, con le gambe pendoloni. E "togli il gomito dalla tavola: che, ti pesa la testa?" era un ritornello per tutti. La minestra, lo stracchino, gli sfilatini nel cestino del pane, una mela. Noi bambini non si poteva parlare a tavola, e, se i Grandi ne avessero trovato il modo, non ci avrebbero neppure fatto ascoltare.
Non che ci fosse molto da imparare da quella generazione di padri preoccupati e madri afflitte, ma come pensavano che saremmo diventati intelligenti? E infatti molti di noi non lo sono diventati. Altri sì, ma per disperazione.