martedì 30 aprile 2013

Tema: Filosofi

Svolgimento

Mi si avvicinò un vecchio. Naturalmente non lo avevo mai visto in vita mia. Avrà avuto settant’anni e forse anche una guerra sulle spalle. Mi guardava e sorrideva quasi compiaciuto della giornata di sole che io, lui e una ventina di milioni di persone ci stavamo godendo. Io non me la stavo godendo, la sopportavo alla bell’e meglio come tutto il resto.
Lo guardavo con la coda dell’occhio, avevo paura che mi attaccasse bottone. Non volevo parlare con nessuno, le giornate di sole mi rendono scontroso nei confronti dell’umanità, forse la colpa è dei troppi fotoni che mi arrivano in testa in un colpo solo.
Il vecchio, con le mani dietro la schiena, il baffo bianco e la coppola marrone, si fece verso di me, con le parole che gli scappavano dagli angoli della bocca. Secondo me aveva una voglia di parlare assurda. E io ho una fortuna sfacciata per trovare chiacchieroni impenitenti, paladini della parola e vecchie comari spelacchiate. 
Nascosi la bottiglia di Malvasia sotto il grosso culo di Rushdie e mi concentrai meglio sull’altro libro che mi ero portato: Wolverine. Non me la sentivo di leggere Rushdie in pieno giorno, non volevo che qualcuno tra la folla mi indicasse e facesse cadere una fatwa anche sulla mia testa, già dovrei avere una scomunica da qualche parte a casa, un fatwa sarebbe stata ingestibile. 
Il vecchio era oramai sopra di me, se ne stava silenzioso e mi nascondeva il sole con la sua grande stazza. Lo guardai indispettito dal basso, da dietro i miei piccoli occhiali da sole. 
-Ehi vecchio, ti levi? Mi stai togliendo il sole.
-Disse Il Cane ad Alessandro Magno.
Strabuzzai gli occhi e lo guardai. Il vecchio sembrava conoscere qualche aneddoto interessante. Ma aneddoto o non aneddoto, cultura o non cultura, si doveva togliere dalle palle.
-Mi dai un goccio di vino?- mi chiese quello, speranzoso come un bambino nella fabbrica della Lego e con in mano un assegno da quindicimila euro.
-Se i tuoi migliori propositi sono questi, allora è meglio che li lasci stare e vai ad impiccarti sull’acropoli della città- ero gasato, ero riuscito a ricacciargli indietro la frase famosa di un altro filosofo. 
-Ti do indietro il sole in cambio di un sorso di vino. È un banale do ut des.
Ritirai fuori il Malvasia dal culo di Rushdie e feci per porlo sorridendo al vecchio, ma all’ultimo momento ritirai mano e vino dalla sua, che già si protendeva fiduciosa, e la rimisi vicino a me. Lo guardai sorridendo e gli dissi:- Aliquid dare, aliquid retinere! Mi dispiace- e gli bevvi un bel sorso di vino davanti al suo faccione.
-Dura lex, sed lex- disse lui facendo spallucce, ma senza spostarsi minimamente. 


lunedì 29 aprile 2013

Tema: Ganesha e la Luna

Svolgimento
La luna si è levata da un po’, una bella falce crescente con la sagoma tondeggiante che guarda verso destra. Era ora di accendere il braciere, quello grande e pesante di ottone; lo riempì con nove tipi di legno diverso, come vuole la tradizione. Si sedette, lasciò ai ragazzi il tempo di mettersi comodi sui cuscini attorno al fuoco e accennò quasi distrattamente: “Oggi vi racconterò una storia”.

- Tanto tempo fa, in India, c’era un giovane dio di nome Ganesha: è un ragazzo simpatico e paffuto, ha una testa di elefante, cavalca un topolino di nome Mushika, ed è Colui che rimuove tutti gli ostacoli, il Maestro di tutti gli esseri, il Signore delle schiere celesti. È molto amato da tutti ancora oggi, e i suoi fedeli sanno che le sue offerte predilette sono dei dolcetti fritti che si chiamano modak: sono fatti con farina di riso e ripieni di cocco grattugiato. Il Signore Ganesha è molto goloso, ha un appetito immenso, e si dice che quel bel pancione che gli vale il nome di Lambodara possa contenere non solo il nostro universo, ma interi universi; una sera divorò una quantità enorme di modak e, siccome si sentiva un po’ appesantito, pensò di andarsi a fare una passeggiata a cavallo del suo topo per muovere un po’ la digestione. La notte di luna piena era piena di profumi di fiori, una brezza leggera soffiava, e Ganesha si stava divertendo molto quando un cobra si eresse impettito davanti a lui, col cappuccio aperto e soffiando minaccioso. Mushika si spaventò terribilmente, povero topino, e cercando di scappare disarcionò Ganesha che rotolò a terra, battendo proprio la pancia. Fu un disastro: lo stomaco esplose e i modak si rovesciarono dappertutto, come i semi di una melagrana spaccata. Che fare? Di sicuro Ganapati è un dio troppo intelligente per arrabbiarsi per una sciocchezza, e con grande senso pratico si rimise i dolci nella pancia, agguantò per il collo il cobra e se lo annodò in vita facendone una cintura. Riprese la sua passeggiata notturna, ma udì una grande risata venire da dietro le sue spalle. 

sabato 27 aprile 2013

I vincitori del Gioco della Maestra


Incipit tratto da 
LA BELLA ESTATE
di
CESARE PAVESE

A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. 
- Siete sane, siete giovani, – dicevano, – siete ragazze, non avete pensieri, si capisce.



Commento di Pierluigi Vaccaneo, presidente della Fondazione Cesare Pavese:



In La bella estate di Cesare Pavese, lo scrittore individua due temi, spesso ricorrenti in tutta la sua opera: il confronto con la maturità e la ricerca del vizio, inteso come selvaggio, irrazionale tipico della giovane età. Sono temi con i quali Pavese si confronterà sempre: “Ripness is all” scrive sulla prima pagina della Luna e i falò. Una maturità che Pavese ha cercato e rincorso in tutta la sua esperienza artistica e umana in quanto necessaria per completare il processo di crescita e formazione. Per essere uomo occorre però essere stato ragazzo (irrazionale, selvaggio, spensierato), quel ragazzo che Pavese ha sacrificato (“non posso abbandonarmi a vivere non posso, la letteratura è un’amante troppo gelosa”) sull’altare della riuscita sociale (“dunque nel mio mestiere sono re” scrive pochi giorni dopo la vittoria del Premio Strega). Pavese tenta di recuperare la sua parte infantile attraverso la letteratura: interessandosi a psicanalisi, antropologia, etnografia (fu il primo ad introdurre in Italia queste discipline, attraverso la Collana viola, curata, per Einaudi, assieme ad Ernesto de Martino) e affrontando temi opposti come la città e la campagna, il divino e il titanico, il razionale e il selvaggio. Tutta la sua opera è caratterizzata da questi dualismi. Ginia, la protagonista della Bella estate, rappresenta perfettamente questo dualismo: di estrazione umile arriva in città e frequenta ambienti artistici. Si abbandona all’amore e al sesso con un uomo ma, delusa, accetta le attenzioni di Amelia, invaghitasi di lei e malata di sifilide (contratta da un rapporto omosessuale). L’ingenuità e la freschezza di Ginia lasciano presto il posto al confronto con la decadenza dissoluta della città (cifra dominante tutta la trilogia della Bella estate) rappresentata da una borghesia stanca e annoiata. 

venerdì 26 aprile 2013

Tema: Insoluto

Svolgimento


Mio padre si è perso nel bosco da un po’ di tempo. Aveva detto non mi sento tanto bene, poi si era seduto in macchina, aveva messo in moto ed era sparito.

Mia madre me lo racconta ogni volta che combino dei guai.

- Se ci fosse tuo padre - dice. Poi si gira e continua le sue faccende, soprattutto spolverare, che è la cosa che le riesce meglio. Ha sempre avuto una particolare inclinazione per lo straccio mangiapolvere, accompagnata da una spietata avversione per gli acari. Gli acari, misteriosi minuscoli mostruosi, pare che zampettino sopra le lenzuola e tra le pieghe di qualsiasi divano di famiglia. Completamente inutile spolverarli via, tanto poi tornano.

Mio padre non è più tornato, neanche dopo che la mamma fece un appello su RaiTre, pregandolo di fare ritorno a casa e di finirla con queste sceneggiate. Pensava fosse scappato, ma da solo. Di mariti che vanno via di casa con una ballerina, è piena la storia. Lui se n’era andato, senza uno straccio di amante, magari anche straniera, che almeno avrebbe giustificato tutto.

Quando mio padre si è perso, io non ero ancora nato. Poi nacqui lo stesso, ma con addosso un segno indelebile del dubbio, trasmessomi dal genitore scomparso, una specie di punto interrogativo, inciso sul mento. Non molto grande e vistoso, non abbastanza da farmene un complesso. “Che hai da guardare?” sembro dire quando qualcuno mi guarda in faccia. Mio padre, anche lui aveva questo segno, dice la mamma. “Cosa ci faccio qui?” sembrava dicesse a chi lo guardava in faccia.

Certo, nel corso degli anni, adesso che ne ho trentadue, ho capito che mia mamma sul divano forse apprezzava più la presenza degli acari che quella di papà.

mercoledì 24 aprile 2013

Tema: Ruzzle me.

Svolgimento


All’inizio facevo 120 punti al primo turno, 200 al secondo e 600 al terzo.
Perdevo con chiunque. Non vedevo proprio le parole.
Poi ho cominciato a beccare al volo Arso Arsi Orsi Orso Rode Resa Era Ero.
Sono passato a 250-350-800.
Mi sono concentrato sulle lettere con il raddoppio e il triplico.
Sempre che triplico si possa dire. Dirò. Dirai. Direte.
Ho scoperto Ara-Ari-Arai-Arati-Arata, un mucchio di punti facili.
Cercando di evitare che il ditone trascinasse dentro altre lettere facendomi perdere tempo.
Ho cominciato a vincere un po’ di partite, e cercato avversari più forti.
A un certo punto ho visto le doppie. Le doppie sono un filone d’oro.
Ressa-Rossa-Rosso-Osso-Fosso. Via così.
400-650-1200.
E ultimo, i participi presenti. Ceranti-Oranti. Roba così, che nessuno usa mai parlando.
Alla fine ho comprato la versione a pagamento, per vedere che paroleinfilano nel quadrato.
Leporine. Pirroli. Liriope. Ciriole.
Ma cos’ è? Dove le hanno prese?

martedì 23 aprile 2013

Tema: Buonanima

Svolgimento

“Era un bravo cristiano, amava i suoi figli!”.
“Chi quello? No, una brava persona, non faceva male ad una mosca…”.
“Vuol dire: un signore, un signore! Simpatico, socievole, speciale”.
Basta dare un’occhiata a qualche telegiornale in più oppure scegliere di passare una giornata nella piazza del paese, che ti rendi conto della grande potenza mutevole della morte. Cioè, tutti hanno paura di questa stanza sconosciuta, che ognuno tende ad allontanare, ma quando arriva colpisce tutto e tutti. Il morto e tutto il contorno, nessuno escluso.
Quelle persone che in realtà tanto pulite non erano diventano dei canditi dolcissimi, che vastasi e porci quelli che prima avevano dubitato di loro. Qualsiasi telegiornale: “Tizio, si è suicidato perché…”.
“Era un bravo cristiano, amava i suoi figli!”.
“Chi quello? No, una brava persona, non faceva male ad una mosca…”.
“Vuol dire: un signore, un signore! Simpatico, socievole, speciale”.
Io mi ero distratto e non sono riuscito a sentire oltre dello speakerato della giornalista tanto cara della tv, così mi fidavo dei passanti intervistati. Però, andando col rewind noto che la giornalista non si era fermata, ma aveva continuato la frase: “Tizio, si è suicidato…perché non si voleva fare prendere dalla polizia vivo, dopo aver ucciso moglie, figli, suocera, animale domestico e dopo aver cercato di occultare i cadaveri nella distilleria clandestina sotto il pavimento, proprio alle spalle del magazzino dove Tizio si occupava del traffico di eroina”.
 Allora penso: “Eh, ma allora era un cuinnutu!”.

lunedì 22 aprile 2013

Tema: Pesca alla cernia

Svolgimento

Guarda questa cernia! Farebbe un figurone sulla copertina del tuo giornale cretino! – Germano dedito al lavaggio delle attrezzature dopo la battuta di pesca subacquea; prima la muta, le bombole, il fucile, e ancora la muta e ancora il fucile e le bombole – tanta acqua, il sale erode la fiocina, mangia il ferro, secca le guaine –; alzava il tubo e si docciava, era bello Germano, davvero ben fatto, la pelle chiara sotto il sole  diventava marrone ambrato, i capelli pannocchia, gli occhi più azzurri – lo guardavo di traverso e lui a spararsi pose; l’acqua intanto scorreva e sotto il portone ne usciva tanta e tanta finiva per strada, sotto il marciapiede, lungo la discesa sino al primo tombino a perdersi -; enorme la cernia, maestosa seppure appesa ad un uncino ancorato alle sbarre – questa è una cernia bruna di 15 chili e passa, guardale i denti, se decide di morderti ti strappa la muta, diceva Germano tra una innaffiata ed un’altra – maestosa e da rivendere ai ristoranti del lungomare, la pagano bene, che lei non è fiera da superficie, bisogna scendere giù, anche venti metri, con cinque chili di piombo alla cintura, luce ne arriva poco e niente, lì lei (dietro un ciuffo di posidonie, una ladra o un’assassina) ti scruta e poi scappa nella tana: in quel momento devi essere più veloce, malefica che se avvicini un dito alla sua boccaccia lo mutila, una murena  – che Germano raccontava questa cosa e simulava un moncherino –, la devi colpire dritta nel triangolo accanto la pinna pettorale, un colpo secco, e se non muore un altro colpo, un altro ancora, o la devi beccare tra gli occhi – sbang! -, solo allora resta fulminata; la sfida dell’uomo contro il mare, come il vecchiaccio del romanzo, a venti metri e passa di profondità tu e lei davanti, alle spalle la scogliera scoscesa di cavità e buchi dove la malefica sta ferma e aspetta per fotterti, che tu te ne vada a mani vuote e ridere, ma io so come si fa, ho la mia tecnica, mi pianto davanti a lei con le bombole, prendo il boccaglio e le sparo aria addosso, lei fa mezzo capolino, io la guardo negli occhi, ci guardiamo e capisce tutto, io le sparo, l’arpione taglia l’acqua, l’arpione sa dove andare, dritto, sulla fronte – mi raccontava queste cose e con un dito si premeva tra le sopracciglia (io a sentirmi una fiocina tra le viscere).


venerdì 19 aprile 2013

Tema: Mi piace! (Storie di città)

Svolgimento


Potrei dire mille cose sul paese/città dove sono nato e cresciuto, cose che odio, ma sarebbe troppo banale.
Perciò ho deciso di raccontare le cose che amo.
Amo la gente che non sa parcheggiare lungo il corso principale, le persone che non sanno attraversare e poi loro, sì, loro che per la festa del paese camminano come un gregge di pecorelle smarrite ma seccate di dover camminare lungo quella strada enorme e sempre dritta, che per quanto sia enorme, loro si impegnano ad occuparla tutta con carrozzine e culi ingombranti.
Amo i sabati pomeriggi e le domeniche nel corso principale, molto simili ai giorni di festa del paese, l'unica differenza è che la gente esce solo perché non ha dove andare e che fare così si impegnano a mandare interi negozi nel panico con commesse che scorrazzano all'impazzata dentro il locale sicure che qualcuno entrerà a comperare qualcosa e infine si ritrovano gente svogliata, priva pure della voglia di vivere.

mercoledì 17 aprile 2013

Tema: Sweet Molly


Svolgimento

La vita tra crostacei e molluschi non era insoddisfacente come si sarebbe potuto pensare. Bisognava avere una voce potente, questo sì, e svegliarsi ogni mattina quando ancora c’era buio per andare al porto a prendere la merce che arrivava dalle barche che passavano la notte in mare, caricarla sul carretto e andare in giro per strade strette, per tutto il giorno, gridando per cercare di venderla. Alla puzza di pesce e alghe Molly si era abituata fin da piccola, da quando il padre la portava con sé facendola sedere sul carretto, e la trasportava per le strade di Dublino, in mezzo alla gente che sorrideva a vedere quella bambina che puzzava di mare; e a volte succedeva che il padre comprasse meno merce per lasciare sul carretto lo spazio libero per la figlia, Molly tra gamberi e alghe si trovava bene, giocava con i gusci delle ostriche e delle cozze, si divertiva a guardare le vongole spruzzare e intanto cresceva, e quando divenne troppo pesante per stare sul carretto, scese e cominciò a spingerlo da sola, al posto del padre che si ammalava di più ogni giorno che passava. 
A Molly non pesava pensare di dover vendere pesce per tutta la vita – è la mia natura – diceva – sono nata per essere pescivendola e vendere pesci è la cosa che so fare meglio – e poi a gridare – cozze, vongole, tutto vivo, gente! – e continuava a spingere il carretto tra le strade della città, dove incontrò il primo uomo che le offrì denaro in cambio del suo corpo, e Molly capì che il suo seno enorme avrebbe potuto arricchirla, e visse tre vite contemporaneamente: a casa, tra piatti e stoffe da pulire, per strada a smerciare molluschi e crostacei, e nelle taverne, la sera, a vendere il suo seno così prezioso. 

martedì 16 aprile 2013

Tema: A cosa servono le parole.

Svolgimento

Arrivano certi momenti in cui ti viene voglia di spegnere tutto: la tv, internet, la lavatrice. Ti viene voglia di chiudere le finestre o aprirle: ammesso che tu possa godere del privilegio di vivere in un posto, che quando ti affacci, ti restituisce un silenzio assoluto. Altrimenti meglio barricarsi in casa. 
Per non sentire.
Hai passato tutta la mattina a scrivere. Gli ultimi capitoli che ti sono venuti fuori non ti sembravano male. Li hai mandati un po’ in giro. Persone di cui ti fidi, mai troppo aspre o troppo concilianti.
Lo ripetono tutti come fosse una prescrizione medica: le critiche sono costruttive.
Peccato che dicano tutto e il contrario di tutto. Uno ti dice che quando scrivi la pancia ce la metti troppo, che certe sensazioni devi imparare a trattenerle, oppure a buttarle giù e poi riprendertele, domarle, tenerle al guinzaglio per non farle abbaiare troppo forte.
Poi c’è chi ti dice di togliere dove l’altro ti ha appena detto che manca qualcosa. Scrivi bene, dice qualcuno, non hai bisogno di dimostrarlo.
Sei confuso, ti prendi una pausa. Infili nella macchinetta la prima capsula di caffè che ti trovi tra le mani. 
Leggi qualche notizia.

lunedì 15 aprile 2013

Tema: Baciare

Svolgimento


Il treno sta partendo, l’hanno annunciato, presto, bagagli, un bacio, un bacio grande quanto una casa, bacio mia moglie, mia madre, mio fratello, è un vizio che abbiamo noi del sud. Cominciamo da bambini, ci alleniamo con i parenti, poi vale per tutti i vizi, la cosa peggiora con il passare del tempo, dobbiamo aumentare la dose e non facciamo altro che baciarci, cominciamo a baciare chiunque senza discriminazioni. E se non troviamo qualcuno da baciare abbiamo una specie di crisi d’astinenza, per cui al supermercato vorremmo baciare la cassiera, o il salumiere, io spesso bacio anche il mio medico di famiglia. 
Ogni tanto, tra una dose e l’altra, in un attimo di lucidità riaffiora la ragione, Perché dovrei baciare quel signore che sta per salire sul treno? Mi chiedo, e già lo agguanto, Perché mi ritrovo con la guancia sulla sua, a toccarci così intimamente, noi che ci conosciamo così poco? Ha una barba ispida che non mi piace al tatto, preferirei accarezzarlo con un cucchiaio di legno, di quei cucchiai da cucina torniti a mano, con il dorso levigato. Ne trarrebbe anche lui un giovamento.  Poi faccio quello che va fatto, guancia destra e guancia sinistra, buon viaggio, e mi sento subito meglio.


Tema: Ermelinda e il Re di Tebe

Svolgimento

Nel tempo mi sono abituata agli imbarazzi che mi crea mio nipote. Io gli voglio bene e basta. Ma non è una attività semplice. Ad esempio faccio fatica a spiegare il suo lavoro, a convincere le mie amiche a fare uno sforzo che le porti un po' oltre alla semplice definizione di "dottore dei matti". L'utilità di un dottore che non ti provi neanche la pressione non è cosa da poco da far digerire a Gina o Pina. Così come tentare, tutte e tre insieme, di capire cosa sia questo tanto decantato complesso di Edipo!
Siamo tutte appassionate di divulgazione scientifica, modello rivista in allegato al quotidiano, ma quando abbiamo cercato di farci raccontare di più da mio nipote, questo ha alzato gli occhi al cielo, si è fatto serissimo e scontroso, e ci ha redarguito fino a stordirci. Dice lui per la necessità di restituire dignità al mito e potenza tragica al personaggio.
Cominciamo subito col dire che il destino di Edipo parte già male, prima ancora che lui nasca. Il padre, Laio, re di Tebe, rapisce l'adolescente Crisippo (in Grecia non ci sono ragazzi o giovani, ci sono solo adolescenti) e ne fa il suo amante, attirandosi le ire della madre di Crisippo, Penelope, che malidice lui e tutta la sua discendenza. Morto Crisippo, Laio accetta suo malgrado di sposare una donna e si prende Giocasta, chissà magari confidando nel detto "nomen omen" e lo lasciasse in pace. Come se non bastasse arrivano due oracoli ad avvertire Laio che sarebbe meglio non facesse figli: uno gli porta come scusa la salvezza di Tebe, l'altro gli dice che, se fa un figlio, questi un giorno lo ucciderà. Insomma: gli avevano detto già tutto, lui partiva con le migliori intenzioni, ma niente. Colpa del vino che beve la sera delle nozze, colpa di Giocasta che si era stufata del nome, Laio si distrae e nasce Edipo.
Il neonato, ovviamente, viene subito abbandonato, prima però gli trafiggono i piedi (non si sa mai che possa morire più in fretta). Poteva finire male per il piccolo Edipo, il cui nome vuol dire appunto "piedi gonfi". Invece viene adottato dal re di Corinto, un altro che se non beve è meglio, perché alla prima sbronza confessa a Edipo di non essere il suo vero padre.

sabato 13 aprile 2013

Tema: Vinca il migliore!

Svolgimento

Da anni aspettava questo momento. Finalmente i giochi erano stati aperti. Le gare delle varie discipline erano già cominciate. Ancora un giorno d’attesa, poi, non gli sarebbe rimasto altro che vincere. In lui pareva si fosse  manifestato Dio. L’Entità Superiore, infatti,  non si era risparmiata in nulla. Intelligenza, prestanza fisica, temerarietà, erano i doni di cui era stato ricolmato Dionisio. Il nome greco aveva il sapore della profezia, i suoi muscoli sembravano usciti da un calco per le statue di marmo dei primi giochi olimpici di Atene. La storia avrebbe conservato il suo nome, per sempre. 
“Vinca il migliore” dicono gli allenatori, puntando dentro gli occhi i propri atleti. Lo sguardo ha il compito di convincere l’allenato. Fargli credere che, per l’appunto, lui sia il migliore tra tutti quelli in gara.

venerdì 12 aprile 2013

Tema: 14 luglio 1789

Svolgimento
La data del 14 luglio 1789 è universalmente ricordata come il giorno nel quale scoppiò la Rivoluzione Francese. E' una data di comodo, gli avvenimenti che portarono alla rivoluzione erano iniziati molto tempo prima, ma la Bastiglia era uno dei simboli del potere regio, e data l’importanza dei simboli è ovvio che a entrare nella storia di prepotenza sia stato proprio il giorno in cui il popolo prese la fortezza. Luogo che in ultima analisi era qualcosa a metà tra un carcere di lusso e l’Hotel Royal Bastille, dove erano detenute o ricoverate solo sette persone, tra le quali due pazzi che vi trascorrevano una vita indubbiamente migliore di quella che avrebbero avuto se li avessero ricoverati al manicomio di Bicêtre, come accadde al marchese de Sade, il buffo omino squinternato che riuscì a farsi incarcerare e internare da tutti i regimi, dall’Ancien Régime in poi, più per le idee libertine e libertarie che infilava nei suoi scritti che per i libri nei quali raccontava di eccessi e nefandezze (di livello tale che non ebbe mai il coraggio di metterle in pratica del tutto, nonostante ci avesse provato in qualche modo).
Lo stesso assalto alla Bastiglia fu un controsenso, non dettato dal bisogno di abbattere un simbolo della monarchia assoluta ma dalla necessità spicciola di procurarsi della polvere da sparo per i fucili che il popolo aveva rubato all’Hotel des Invalides. La fortezza non è nuova a essere coinvolta in episodi più teatrali che storici: ricordiamo quando, durante la Fronda, la terribilissima Mademoiselle de Montpensier, cugina del Re Sole, salì sui bastioni per cannoneggiare le truppe reali allo scopo di proteggere la fuga dell’uomo del quale era invaghita all’epoca, quel genio militare che fu il visconte de Turenne. 

Tema: Alla non-fermata dell'autobus

Svolgimento

Eccolo, il mondo spicciolo, quello delle sei di mattina. Siamo in pochi, infreddoliti, nella notte più scura perché è quella che viene prima dell’alba. Dannato lavoro, ma bisogna pur averne uno quando si è svegli. Ma se l’uomo fosse fatto per svegliarsi così presto, il buon signore ci avrebbe dato degli occhi apposta per vederci anche al buio, ma non li abbiamo, quindi credo che sia fondamentalmente sbagliato e contro natura alzarsi a quest’ora del mattino o della notte. 
Sono fermo alla fermata dell’autobus. Una fermata che esiste solo perché sulla strada, in mezzo agli alberi e in mezzo al nulla di una campagna monotona e selvaggia, qualcuno ha piantato un cartello con sopra scritto “FERMATA”  e un paio di orari nemmeno tanto rispettati. Nessuna panchina, nessun riparo dalla pioggia, nessun rialzo, nessuna voglia di andare al lavoro. In mezzo al freddo e in mezzo al nulla. La cosa che mi stupisce delle sei di mattina è che in giro ci sono un bel po’ di uccelli, tutti in giro, tutti in alto a fare i fattacci loro, ma cosa ci trovano di bello a cinguettare e fare versi, lo sanno solo loro. Io alle sei di mattina non cinguetto, non parlo, sono una fottuta scimmia spelacchiata e le scimmie vanno a banane, si spulciano, si arrampicano, fanno cose stupide, molto dopo le sei del mattino. Darwin dixit. 
Fatto sta che in questa fermata dell’autobus, ci siamo io e una signora, forse sulla quarantina, intabarrata, infreddolita come me, ben truccata ma con gli occhi spenti. Facile che per truccarsi bene si sia alzata anche due ore prima di me, che tanto a me basta bagnarmi la pellaccia con un po’ di acqua fredda e strofinarmi un po’ gli occhi con dell’acqua ancora più fredda. Se ne sta lì al mio fianco, forse stiamo aspettando il buon Godot, che forse sta viaggiando col servizio nazionale dei treni e non ha beccato nemmeno una coincidenza, che forse nemmeno esiste in quanto solo personaggio teatrale, che nemmeno si degna di comparire nel suo spettacolo. Aspettiamo la corriera per andare nella grande e piena di vita, città. 

mercoledì 10 aprile 2013

Comunicato della Maestra

           
Miei cari ragazzi,
è con grande piacere che vi comunico alcune novità riguardanti il nostro secondo concorso letterario. 
Come certo sapete, per settimane si è tenuto su twitter il grande gioco letterario #Leucò, grazie al quale è stata ripensata e riscritta, nei 140 caratteri previsti dal social network, l’opera di Pavese Dialoghi con Leucò.
Alcuni di voi vi hanno partecipato con grande passione twitteraria e proprio in questa occasione è maturata la mia decisione di ispirarmi a Pavese per il concorso che stiamo svolgendo, scegliendo come incipit un brano tratto dal romanzo La bella estate.
La nostra voglia di confronto con questa grande letteratura non è sfuggita alla Fondazione Cesare Pavese, che con grande sensibilità ha offerto la propria collaborazione.
I temi dei partecipanti al nostro premio, pertanto, saranno letti anche dal direttore della Fondazione Cesare Pavese, Dr. Pierluigi Vaccaneo, che farà parte della giuria; e al vincitore, oltre al premio già previsto dal bando, andranno anche dei libri di Pavese e del materiale audiovisivo, gentilmente donati dalla Fondazione stessa.
Sono certa che questa opportunità farà crescere ancora di più il vostro amore per la scrittura e vi motiverà a fare sempre meglio.

Tema: Circonlocuzione

Svolgimento

Lucia ha troppa fretta, lasciatela andare. Andare dove? Che importa, andare. Verso una meta o una metà di sè. Quale? Non ha ancora deciso. Potrebbe essere quella ampollosa a cui piacciono le storie d’amore, il travaso di glucidi per endovena, che ama farsi di mono/di/polisaccaridi, zuccheri semplici o complessi, cristalli da masticare a pieni molari superando la saturazione della saliva, il dolce che soffoca e riempie di gioia fino ad esserne nauseati, che da alla testa e si riproduce in logorrea ed insonnia. Lucia non dorme quasi mai, ma non le pesa, si alza dal letto e spolvera le bomboniere, lucida i fiori finti e mette in ordine le posate nei cassetti.
Lucia, vieni a dormire, la chiama lui in pantofole di feltro, prendere un sonnifero magari?
Giusto di farmaci si parlava. Scherzavo poco fa col mio prezioso ed insostituibile bene - mi racconta Lucia al telefono - al sentir parlare al TG degli agguati che i siti di farmaci asiatici tendono agli ignari e creduloni ipocondriaci occidentali:
Oh, diceva lui, il mio amorino, che m’importa, io non ne compro mica farmaci in internet, ah dimenticavo – fa per scherzare - il viagra; ah sì? Gli faccio io, e con chi lo usi? Quanto è buffa la faccia di un uomo punto nell’orgoglio delle sue prodezze virili. Però, amica mia, te lo dico perché mi sono documentata, è tutta roba genuina, e son più che soddisfatta, però che ridere. Che ci vuoi fare, son proprio innamorata.

lunedì 8 aprile 2013

Tema: Mojito alla Hemingway con tanto di rissa da bar

Svolgimento


Gli tirai una bella zampata proprio su quel suo grugno da professore di lettere. Un diretto da Cassius Clay, avrei detto da Primo Carnera, ma io sono solo un tappetto, non sono grosso come quel Carnera là che fu campione dei pesi massimi.
Il professore di lettere cadde per terra, trascinandosi il tavolino con sopra il suo drink acerbo e la scodellina di patatine. Fece un bel botto, non c’è che dire. Io mi limitai a guardarlo dall’alto mentre tutta la clientela del locale si limitava a guardare me. Ecco, avevo richiamato l’attenzione di tutti, ancora una volta. Tutti gli occhi puntati su di me e sul mio braccio da picchiatore, come un gladiatore all’interno di una vecchia e chiassosa arena. Ma alla fine del mio braccio non c’era una spada, o un gladio, o una rete, c’era un mohito. Venuto fuori anche discretamente.
Il professore di lettere si era rialzato, aveva sistemato il tavolo e si era risieduto di fronte a me. Mi risiedetti anch’io e lo guardai dritto nel faccione. Il suo zigomo sinistro si stava gonfiando un po’, poco male, avrebbe smesso di leggere Sepulveda.
Ci sono tre cose che mi fanno imbestialire nella vita: quando non ho soldi per farmi un drink, quando qualcuno legge della paccottiglia e cerca di convincermi che non lo è, e quando qualcuno mi dice che siamo tutti soggetti a entropia. Entropia un paio di palle, dico io. Non sono soggetto a quella cosa lì, io. Mi sento dentro ad un disegno divino, un bel progetto venuto fuori direttamente dalla mente di Dio. Non stiamo tendendo verso una forma caotica dell’universo, nossignore, tutto va come deve andare. Il migliore dei mondi possibili? Eccolo qui, ora e adesso. Non c’è spazio per l’entropia.


sabato 6 aprile 2013

Tema: Conseguenze


Svolgimento :

Fino a 40 anni a casa con i genitori. Disoccupati, o qualcosa del genere. Le case in mano ai vecchi, che si rodono, ingrassano e si imbruttiscono in un mondo per loro divenuto incomprensibile, mentre i cosiddetti “giovani” affollano i pub e tirano tardi la sera. Non hanno una casa, i “giovani”, non hanno un posto che sia solo loro, e così brancolano nei grandi abbeveratoi buoni per tutti. Un agitatore li critica. Loro rispondono: “Siamo vittime del sistema, abbiamo pochi soldi, lascieteceli spendere in cocktail!”

Tirati a lucido, sigaretta, bicchierone colorato in mano, aria noncurante. Ingozzano gli oziosi centri di aggregazione dove alcool, fumo e chiacchiere non sono il balsamo di niente, e dove guai a oltrepassare i paletti della chiacchiera piacevole. Un agitatore li oltrepassa. Loro rispondono: “Ei, ci stiamo divertendo. Come ti permetti di parlare di qualcosa che ci importa per davvero?”

“Non spezzare l’atmosfera, cazzo. Siamo destinati a un destino crudele, lasciaci godere questi pochi momenti di spensieratezza concessaci”. L’agitatore volta le spalle e se ne va. Mentre i giovani invecchiano e muoiono.

Nino Fricano

giovedì 4 aprile 2013

Tema: Le terzine perdute di Dante di Bianca Garavelli Baldini&Castoldi editore

Sezione: Gli amici della Maestra
Svolgimento




Prologo

Aveva visto. Le immagini colpivano i suoi occhi come una insopportabile luce estiva. Doveva agire. Si era fidato troppo di quelle persone. Non si sarebbero fermate davanti a nulla. Avrebbe dovuto fermarle lui.
Non sapeva se quella promessa di salvezza fosse un rimedio della sua parte razionale per impedirgli di impazzire. Oppure se c'era davvero una via di fuga, una guida per mettersi in salvo. Non sapeva neanche più quale fosse la strada da percorrere. Sapeva solo che doveva rivelare quel che aveva visto. Salvare l'umanità da un futuro terribile.
Doveva fuggire in fretta, abbandonare quel luogo oscuro e pieno di pericoli. E non lasciare tracce. Una lettera avrebbe rivelato troppo facilmente il suo piano. Doveva inventare qualcos'altro, lasciare un indizio che solo una persona fidata, speciale, potesse trovare.
Solo chi fosse stato in grado di capire avrebbe trovato il suo messaggio. Solo chi fosse stato abbastanza coraggioso, avveduto e assetato di conoscenza avrebbe scoperto la verità.
Erano vicini. Vedeva ondeggiare i loro mantelli rossi. Se non fosse corso via in fretta lo avrebbero raggiunto. Per l'ultima volta si guardò attorno. Il suo cuore gli diceva di non andare. Con una fitta nel petto violenta come una coltellata, lo avvertiva che ciò che stava lasciando dietro di sé era troppo importante per lui. Ma ormai sapeva quello che doveva fare. O almeno lo sperava.
Anche se non aveva certezze, non poteva permettersi ripensamenti. 
Non poteva più tornare indietro. 

mercoledì 3 aprile 2013

Tema: Primavere

Svolgimento

Cresceva veloce senza accorgersene. Il seno si faceva prosperoso, i fianchi più larghi e rotondi, le gambe più lunghe e sproporzionate rispetto al busto. I sensi, intorpiditi dalle calde coperte di una infanzia al crepuscolo, si svegliavano ansimanti, pronti a ricevere gli effluvi di vita nuova dalla primavera prossima.
Sentiva una ondata cavalcante scorrerle per il corpo. Cominciavano a sudarle le mani toccando il taffetà del divano della vicina di casa, mentre lo sguardo si perdeva ora fra gli uccelli del paradiso dipinti sulla tazzina di porcellana, ora tra le coste del velluto della sua gonna. 
Grattava via la sua pelle, come se facesse la muta. Vermi striscianti le addentavano le viscere e i muscoli, rosicchiavano l’involucro da togliere via, quello vecchio, quello inconscio, satollo di spensieratezza innocenza e lacrime. Le pupille si dilatavano, le mani si allungavano e in fondo, sotto l’ombelico, coagulavano pezzi di vita morta. Scosse di assestamento la facevano vibrare continuamente rendendola inqueta. Arte. Un’altra stagione.
In casa stava in canotta e usciva con la stessa senza null’altro. Se ne dimenticava totalmente nonostante la temperatura ancora troppo bassa. La pelle si irrigidiva, i peli gelati sulle punte, la scollatura in vista. Correva fuori di casa, fino alla stazione ferroviaria abbandonata, e sulle lamiere ormai arrugginite vomitava brandelli d’anima prima che andassero in decomposizione, lasciandola sfogare prima che l’idea sparisse del tutto. Dipingeva i vagoni. Graffiò la tappezzeria del sedile ancora intatto quando lui le entrò dentro senza permesso. Non un urlo, non una lacrima. Lei era viva, lui imbranato e violento. Non sentì nulla. Niente le dava più piacere dell’arte quando questa la invasava.

martedì 2 aprile 2013

Tema: Pragmatismo

Svolgimento


Graziella Gra Gra è mia amica da tempo, la chiamo così perché balbetta. Le ragazze che balbettano mi fanno più dispiacere dei ragazzi. Non che io ne faccia una questione di pietà, il mio è proprio dispiacere, sento lo sforzo del mio diaframma che vorrebbe spingere in vece loro le parole che non riescono ad uscire. Vorrei che cantassero sempre, che fosse loro concesso di farlo ovunque e in ogni tempo senza doverli guardare con sospetto, se cantano non balbettano mai. Graziella Gra Gra ha gli occhi blu come il cielo, è bionda e con due cosce così, per questo quando apriva bocca tutti mettevano sempre in dubbio la sua intelligenza, forse la cosa le sarebbe stata anche bene se non avesse odiato da sempre il binomio donna bella/cervello vacante, mi diceva: “come faccio io a sottrarmi dal giudizio che parte automatico, se mi ci vuole un quarto d’ora anche per dire vaff…, e poi, insultare qualcuno a monosillabi ti espone ancor di più al ridicolo, da domani fingerò di essere muta, è meglio.” Così da un giorno all’altro ha deciso di perdere l’uso della parola, da qualche anno ha aggiunto al suo bagaglio di diversità un altro elemento: si è data per sorda. Si è iscritta ad una scuola per sordomuti e ha imparato velocemente il linguaggio dei segni. Graziella Gra Gra è molto intelligente, impara in fretta. Mi dice che a scuola è la più ammirata, è una gran bella gnocca del resto, e come sordomuta è disinvolta, simpatica, sempre pronta alla risata, non è mai depressa, anche perché sente e canta se vuole, la sua è una scelta di vita. Un professore si è preso una sbandata bella grossa, si sbraccia coi segni, ammicca, la invita ad uscire un giorno sì e l’altro pure.