mercoledì 25 luglio 2012

Pausa estiva

Alunni, lettori, amici, la Maestra si prende un mese di meritato riposo. 
Dopo due quadrimestri impegnativi, ricchi di bei post ben rappresentati nei tre quadernetti ad oggi pubblicati, incontri e feste come a Torino, Palermo e Thiene, reading e letture, l'appuntamento è per il nuovo anno scolastico in partenza a Settembre! 
Nel frattempo buone vacanze a tutti

...e se vi sono piaciuti i temi di questo primo anno insieme, non vi resta che segnalare
 "Tutta colpa della maestra"
ai Macchianera Awards 2012


Cliccate sulla foto, leggete bene le istruzioni 
e alla voce "miglior blog letterario" sapete cosa fare!




martedì 24 luglio 2012

Tema: "Manie"



Di trasloco si può morire, o guarire? Il trasloco può avere una funzione di auto analisi? Che domande mi faccio nel primo giorno di ferie… è anche vero che andare a lavorare mi aiuta a occuparmi la mente, e magari anche le mani. Sì, è anche utile per pagare il mutuo ma, per dirla con Rudyard Kipling, quella è un’altra storia.
Mi faccio domande sull’autoanalisi perché credo di aver scoperto una mia mania, o forse tante ma riconducibili a uno stesso ceppo. Disimballo cartoni e sacchi dopo aver cambiato casa, e realizzato di aver collezionato (o acquistato compulsivamente): quattro flaconi di ammorbidente, cinque di detersivo liquido per lavatrice, tre di spray per i vetri, due disincrostanti per il wc, tre di varechina spray, tre di due tipi diversi per la pulizia dei pavimenti. Notare che sono intonsi, non è che li apra tutti e ne usi un po’ per poi dimenticarmeli.
Ho anche una fissa per i guanti, da lavoro beninteso: ne ho scovate sette paia di tipi diversi, e ogni volta che vado al Brico o qualche cosa di simile punto subito lo scaffale con i guanti.
Ho anche una serie di penne curiose e quaderni (in prevalenza fatti a mano) che non uso mai, ma che ogni volta che entro in cartoleria o in libreria adocchio e fatico a lasciare lì.

lunedì 23 luglio 2012

Tema: Un giorno son finito sott'acqua - Terza e ultima puntata

Svolgimento


Il centro di permanenza temporàgnea era collocato in una cavità con un altare al centro e decorazioni floreali in plastica. Ebbi  la sensazione di esser già morto, che mi stessero facendo un salmastro funerale. Guadagnando il fondo della grotta venni spogliato dei miei oggetti personali, tranne il mio filtro Brita salvavita. Al polso mi venne messo un riccio di mare. Se avessi tentato la fuga il riccio mi avrebbe fatto sentire le sue pungenti battute. 
Proviamo a reagire, pensai, se sento dolore vuol dire che sono ancora vivo. Tentai di spinnare via, il riccio mi serrò il polso e incominciai a sanguinare. I was still alive e il grazioso peluche mi martoriava allegramente. 
Notai che una squadra di ragni velenosi presidiava l’esterno. Nell’antro oscuro scorsi un paio di lucine intermittenti e strani movimenti. Erano prigionieri umani che gesticolavano, un gruppo 
di sub che si faceva luce con i cellulari. Mi fecero capire che facevano parte di un’associazione di diving dell’Alto Adige e che la mamma aveva detto loro, sin da piccoli, di preferire gli sport invernali, ma loro non l’avevano ascoltata e quello era il risutato! 
L’ameno loco, mi raccontarono, era una grotta che alcuni  divers utilizzavano per celebrare matrimoni in acqua, quelli col velo che fa gluglu che si vedono ogni tanto al Tg ad agosto. 
Bella storia! In più non ero ancora riuscito a recuperare neanche un caffè... Coi ragni non si poteva parlare, gli altoatesini avevano preso a disegnare piste da sci sulla sabbia, mettevano pure i paletti con le conchiglie e studiavano i curvoni per redimersi e raggiungere la salvezza. 
Dopo 3 giorni di scassamento già vedevo le baite e avevo la sciolina alle pinne. I ragni un bel dì decisero di liberarci in mare aperto. Ci accorgemmo quasi subito, tuttavia, che non si poteva andare da nessuna parte: eravamo finiti in una grande rete. I carcerieri si erano presi gioco di noi, forse ci volevano torturare o aspettare che ci finisse l’ossigeno. Il mio filtro non sarebbe durato più di una settimana e i Loackers avevano succhiato bombole a manetta per sparare le loro minchiate. 

venerdì 20 luglio 2012

Sez. Grandi Scrittori: David Grossman


Una lettura del romanzo "Che tu sia per me il coltello", 2007

Questo è un libro insopportabile, non c’è altro modo di definirlo. Mai letto nulla del genere.
L’israeliano Grossman, autore eclettico e strabordante, qui scrive di Amore. E trivella, scava, va a fondo nel baratro dell’estremità di un sentimento sulla bocca di tutti, violentato, inflazionato, banalizzato da secoli. Va a fondo senza pudori e senza paura di far male, scorticare, sovvertire. Questo non è un libro scritto per il puro piacere di scandalizzare, di inquietare e fare il figo con il “guardate quanto sono anticonvenzionale”. Queste trecento pagine sono frutto di una vera ricerca intellettuale e viscerale sull’animo umano. È scienza. Sperimentazione nel laboratorio della vita autentica. Oltre ogni convenzione e abitudine, contro ogni formalismo e così-è-e-basta. E la scienza, si sa, a volte può far molto male. Diventare pericolosa.
 L’amore totale, dove la realtà non è bene accetta
 È un libro fatto di lettere, questo. Lettere e basta. Un libro che racconta un amore tra due persone che non si vedono, non si parlano, non si toccano. Due persone che si limitano a scriversi lettere, che coltivano un amore fatto esclusivamente di fogli scritti a mano, deliri di penna, fantasie, ricordi, confidenze, confessioni. Yair nota Myriam in una riunione scolastica. La visione della donna lo sconvolge, in lei vede una scintilla di quel che potrebbe essere una persona ancora capace di abbandonarsi totalmente e rivelare la propria essenza, una persona con la quale intrattenere una relazione in cui ci si può rivelare, toccarsi veramente , denudarsi “al punto da mostrare il nocciolo bianco dell’anima”. Yair si descrive come piccolo e bruttino, dichiara che la natura non si è impegnata molto per lui, ma in compenso sommerge Myriam del suo strabordante essere. La mette a parte del suo animo che ruggisce, della sua gigantesca voglia di libertà, della sua insofferenza verso le miserie della realtà e dei rapporti sociali. Si mostra senza pudori, un bambino frenetico che – giunto a metà della vita – ancora anela di fare finalmente “lo sbaglio giusto”.

giovedì 19 luglio 2012

Tema: Un giorno son finito sott'acqua - Seconda puntata

Svolgimento


Sentivo una triste salsedine nello stomaco. Quel maiale era l’unico ricordo che avevo di mio nonno, incursore della Decima Mas, si immergeva per minare gli scafi inglesi e farli brillare. 
Dopo l’armistizio nascose il mezzo in cantina col cartellino caldaia da rottamare, per non destar sospetti. All’apertura del testamento, il notaio mi confidò che la  caldaia  di cui, fra i sogghigni dei parenti, venivo nominato erede, era qualcos’altro. 
A causa delle assassine della Costa Smeralda l’avevo persa ed ero ridotto ad un organismo monocellulare.
Quale sarà il mio destino in codesto mare? mi chiedevo. Vorrei che qualcuno leggesse le mie carte, facesse ruotare il compasso per scoprire la mia rotta. All’improvviso un’anemone telepatica, con tanto di borsa della spesa, mi segnalò la presenza di un oracolo nei pressi di una grotta da presepe.  Entrando mi sfregai le pinne per non sporcare, un colpo di coda 
mi mise a sedere: era un delfino. Leggeva di tutto emettendo ultrasuoni: carte, cartine, cartucce, tetrapack, mp3, tarocchi e mappe del tesoro taroccate. Mi ritrovai spiazzato da sì profonda slinguata della fortuna. Abbracciai l’oracolo dèlfino e gli chiesi di mostrarmi il futuro. 
Il saggio, dopo un pippone sugli Willy che finiscono nel tonno del supermercato, e un altro sui pesci al cartoccio, esordì: lancia questi sassolini, son calcoli di balena, e ti dirò! 
Io vedo, vedo, vedo che sei in cattive acque, caro umano, a parte il fatto che ce l’hai nel fracco, fece il cetaceo, facendo i logaritmi per capirci meglio, in culo alla balena e buon viaggio!  
Il consulto mi costò quattro aringhe e non mi convinse per niente, infondo se certi delfini finiscono nell’insalata di riso deve pur esserci un motivo. 
Tentai di consolarmi con un vongogelato ma davvero quelle palline di mollusco mi facevan venire il mal di mare. Era tempo di olimpiadi da quelle parti, tutti facevano festa e mangiavano di brutto. Gli anellidi gestivano una manifestazione immensa in cui primeggiava il salto con l’astice e a cui seguivano, due anni dopo, le olimpiadi dei surgelati. 

mercoledì 18 luglio 2012

Tema : Dodici bottoni




I bottoni , dodici precisi, diversi bottoni ha sulla sua giacca.
Nero.
La musica in lontananza. Le labbra appoggiate alla plastica: birra.
Un sorriso poi la timidezza vince sempre. Lo vedi quello? Quale? Quello laggiù seduto dico Novella? È troppo tardi , guarda la Mirella è già seduta con lui. Ride
Mi giro, le brune sono già svolazzate alle mie spalle. Fra settanta milioni di persone c’è sempre Eugenia. Guarda rigurgita scompari. La sinfonia delle bugie. La fila per la birra è corsa nel pentagramma del risucchio. La genialità si trita nel gin. Vieni qua siediti ? Risvolto rosso.
Finalmente mi accomodo nel lembo di asfalto vicino a quel ragazzo con la giacca. La rivoluzione sarà attivata. Devi essere fuori dalla realtà per attivarla. Conto i bottoni.
Le brune mi allungano un occhiolino.
La mia nota preferita è il La minore. Conto i bottoni.
Pian piano mi avvicino Mirella se ne è andata, mi ha lasciato sola con Federico.
Riccio che guardi?
Briain Eno del cinema
Come scusa?

Hai l’aria spaesata. 

martedì 17 luglio 2012

Sez. Grandi Scrittori: Philip Roth

Una lettura del romanzo "La Macchia Umana", 2000



Idealismo e idee estreme, l’intransigenza esistenziale che produce mostri. Coleman Silk ha della vita un’idea ben precisa, e – per lui – non c’è vita se non c’è Libertà.
Libertà, ovvero libertà da tutte le contingenze esterne al proprio unico inimitabile e irripetibile IO individuale. La Libertà e l’Individualismo. Coleman Silk è il banco di prova nientemeno che dei Grandi Valori Americani.
Coleman Silk viene da una famiglia di neri, ma ha la pelle tanto chiara da sembrare un bianco. Si arruola nell’esercito facendosi passare per bianco, si iscrive ad un’università per bianchi e comincia – scivolando quasi naturalmente nella menzogna – comincia a tacere sulla propria razza.
Perché devo passare la mia vita da nero?
Perché devo frequentare un’università per neri e farmi strada all’interno della comunità di colore?
Cosa c’entro IO con la storia dei neri?
Chi me l’ha chiesto se volevo far parte di questo NOI?
Comincia a tacere, a mentire, dunque. Comincia a sviluppare il suo Segreto. Alla fidanzata Steena non dice niente, parla dei suoi in maniera vaga, ma poi la invita a pranzo con la sua famiglia, e Steena scappa quando scopre il suo Segreto.
Coleman allora decide di alzare la posta in gioco. Vuole la libertà, a qualunque costo. Sarà bianco, punto.
Lo comunica alla madre, la cara madre che non gli ha fatto mai mancare niente, che lo ha amato tutta la vita di un affetto sensibile e attento, la cara madre che è arrivata a gestire il reparto di infermeria dell’ospedale cittadino “senza nessun altro aiuto che non le proprie competenze professionali”, una persona in gamba, aperta di mente, intelligente e colta, la cara madre, una vedova che ancora sospira il marito morto d’infarto mentre serviva ai tavoli di una carrozza ristorante di prima classe, finito a fare il cameriere dopo che la Grande Depressione lo costrinse a chiudere la sua attività da oculista. Gente energica, misurata, smaliziata, a proprio agio nel mondo dei bianchi.
Coleman le comunica: Sarò Bianco, Mi Sposerò. Farò Dei Figli. Avrò La Mia Vita Da Bianco. Per Tutti Io Non Avrò Né Padre Né Madre. Sarò Orfano E Senza Famiglia. E Sarò Bianco.
Capito, mamma? Avrai dei nipotini e non li conoscerai. Hai avuto un figlio, lo hai cresciuto utilizzando le migliori – lo so, mamma, le migliori! – arti materne, lo hai amato nel modo migliore in cui si possa amare un figlio, e lui che fa? Ti abbandona, ti ripudia, scompare, fa perdere le proprie tracce – e per di più te lo “comunica”, come se si trattasse di un’informazione di servizio – e tutto perché si è messo in testa che vuole essere Libero!

lunedì 16 luglio 2012

Tema: Un giorno son finito sott'acqua - Prima puntata


Svolgimento

Un giorno son finito sott’acqua e ho recuperato l’ossigeno scomponendola. Con l’idrogeno che restava ho riempito i bomboloni per il mio maialetto di mare. 
A bordo del siluro d’antàn mi godevo l’oceàn, mi sparavo lunghissime vasche che neanche in centro. Guardavo le tipe che facevano sea-shopping: uscivano dalle boutique coralline con 
scarpe tacco 30mila, push-up, per camminare sulle acque come quel Cristo. Solo che lui non aveva le tette e non andava all’ Isola dei Famosi. Mi hanno detto che gli piaceva il pesce, spesso faceva il bis, ma le cozze pelose quelle no, manco morto. 
In giro per l’oceàn ci sono un mucchio di rabadàn, ho scoperto che esistono branchi di tonni già inscatolati che muovon la linguetta per limonare. 
Un giorno mi fanno: se tu tiri dritto, dopo il secondo corallo a destra, abita uno snorky, uno dei pochi rimasti dopo la fine del cartoon. L’etnìa si estinse per un chicchessìa. Io gli dissi che preferivo i Puffi. Lui replicò: una volta ne passò di qui uno spiaccicato, un cadavere squisito, fu puffato da un’alga puffivora, sono cose della vita! 
In quell’umidissimo mondo tutti vivevano bagnati e contenti. Quando vidi una venere ignuda, uscire dalla sua conchiglia con vista mare, mi ritrovai più bagnato di prima. Cercai di inseguirla facendo sgrufolare il maialetto in curva, ma lei era partita con una razza di pesce razzo e io razzolai mesto. 
Avrei pur trovato una creatura compiacente, una cavalluccia da marinar con il fior fior del mio zucchino, nelle sere estive, guardando le àncore cadenti! Ad un tratto il mio mai-eletto si inchiodò: aveva preso un granchio, e se ne stava gustando la polpa allo scoglio con un filo 
d’olio di merluzzo nel motore. Beata bestiola da modernariato, residuo bellico da mercato di Porta Palazzo! Se mio nonno non fosse stato un incursore non l’avrei mai incontrata, pensai, e ora sarei qualche metro sopra, in crociera, a sputtaneggiare con 
quattro veline mamme incluse. 
Son rimasto a piedi, risolsi, o meglio con le pinne, niente fucile e occhiali annebbiati. Ci manca solo lo squalo poi siamo al completo. Con la sfiga che ho rimane a casa a guardarsi 
l’omonima pellicola e io ad annoiarmi in questo immenso acquario. 
Di partire non se ne parla, conclusi. Avevo imparato a ricavare l’ossigeno da una caraffa Brita col filtro modificato, scindevo l’acqua marina in ossigeno e idrogeno. 
Un regalo di San Valentino apparentemente inutile mi aveva salvato. Me l’ero portato dietro con la speranza che fungesse da desalinizzatore. Il risultato si rivelò superiore alle aspettative e con una cannuccia attingevo beato a quella fortuna. 

giovedì 12 luglio 2012

Tema: Aria condizionata


Una vita senza e-mail, ricerche su Google, notizie on-line e social network. Porte aperte a geek pentiti, hacker impenitenti, questo è il mondo dei Keeg che è il contrario della parola geek (letto da destra verso sinistra), per tutti voi che avete una totale inabilità o intolleranza verso la tecnologia. Ritroviamoci per tornare alle origini.

Questo annuncio, seguito da un numero, scritto diligentemente a mano, appariva sulla bacheca del baretto dove ogni mattina faceva colazione prima di recarsi nel suo ipertecnologico ufficio e dove un piccolo monitor stabiliva tutte le connessioni necessarie: accendere le luci, aprire le tende, avviare l’aria condizionata. Tutto con un solo clic. Un paio di giorni dopo nel solito baretto, la solita barista lo guardava sorridente al di sopra della sua generosa scollatura, quando si avvicinò un tipo dall’aria neppure troppo strana che guardandolo dritto negli occhi disse: “Tutti viviamo respirando l’aria irreale di un mondo irreale”. Pensò che avesse qualche rotella fuori posto. Qualche minuto e..tling…un messaggio: “Tutti viviamo respirando l’aria irreale di un mondo irreale”. Si guardò intorno, nessuno, anche il tizio non c’era più. Era solo uno scherzo si disse mentre raccoglieva le monete del resto che la cassiera gli aveva lasciato nel piattino. Attraversata la strada aveva infilato il portone del grande ingresso dell’azienda per la quale lavorava. “Salve… salve” aveva risposto cortese al portiere che da anni era lì come a guardia delle vite di tutti quei dipendenti. Il ronzio impercettibile dell’ascensore sembrava ripetere quella frase all’infinito e la cosa cominciò a infastidirlo. 
Varcata la porta, il solito meccanico gesto per accendere tutto. Password per far partire il computer ed ecco arrivare il messaggio: “Tutti viviamo respirando l’aria irreale di un mondo irreale”.



Tema: Estate


Svolgimento

E' meglio quando la notte finisce o sta per farlo o quando è a metà del suo corso, ma non voglio tornare a casa quando incomincia. I colori non esistono più, ombre ipocrite mi guardano dal pavimento e io non riesco a ricambiare, distolgo lo sguardo eppure sento il fiato sul collo, mille occhi cattivi che mi dicono cattiva e una voce in testa che ripete non guardare, non parlare, non sbagliare. Scegliere la virtù come un divano comodo su cui buttarsi dopo una lunga giornata quando non c'è un punto del corpo che non sia sudore, e che non sia di pelle che poi si appiccica addosso. Pelle su pelle, e come fa male staccarsi, e grattare punture di zanzare che corrono a sciami al tramonto verso carni ingenue, fino a irrorare il pavimento di sangue. Carne e sangue e ancora appiccicati. Sapore, odore dolciastro, sempre rosso insieme alle angurie in putrefazione, vedersi destinati alla stessa fine, vedere i propri rapporti destinati alla stessa fine.

martedì 10 luglio 2012

Tema: Ti serve una borsetta?


Mi piaceva molto andare a far la spesa nel piccolo supermercato vicino a casa: ci potevo andare a piedi, vicino c’era anche il mio bar di affezione e anche lo sportello della banca, il tutto davanti alla fermata dell’autobus che mi portava in centro città in pochi minuti. La scelta e la disponibilità non erano quelle del grande ipermercato nei sobborghi, ma l’atmosfera di cicaleccio che si trova nei piccoli esercizi di quartiere è impagabile; finiamo per conoscerci tutti, anche se non sappiamo i nostri rispettivi nomi, ma sappiamo tutto dei nostri lavori, dei vicini della cassiera, dei gatti della ragazza al banco dei salumi, dei genitori della panettiera e così via. 
Mirka è una donna simpatica sulla sessantina, robusta e un po’ sovrappeso, alta poco più di un metro e mezzo; ha un caschetto sempre nero corvino nel quale si mischia qualche accenno di grigio ferro o di bianco, che il giorno dopo sparisce come per magia; fuma molto, al punto di avere la voce arrochita che porta all’occhio dell’immaginazione una testuggine delle Galapagos. Mirka è spesso preoccupata per la pensione che vede allontanarsi sempre più a causa delle manovre dei diversi governi che si avvicendano negli ultimi tempi (governi che sono tutti ladri, dal primo all’ultimo); tuttavia, è quasi sempre di buonumore e incline alla chiacchiera, e anche alla risata e al doppio senso. 


lunedì 9 luglio 2012

Tema: Ai miei piedi... (S-carpe diem)

Scarpite, scarpofobia, scarpocondria... dipendenza da scarpe, boh?
Mi sono posta la domanda: "Quale sarà il termine adatto?" Ho cercato di dare un nome esatto alla malattia della quale sono affetta. Non mi riferisco ad una patologia degli arti inferiori, ma a quella voglia libidinosa che mi prende e che mi obbliga a possederle.
Non saprei spiegare esattamente il motivo di questa passione. C'è chi ama la musica, la letteratura, il cinema, chi adora gli animali : Io sono malata di scarpe.
Un desiderio profondo e folle pervade il mio corpo, la mia mente, secondo un messaggio chimico collegato ad un segnale visivo.

Fa caldo oggi. Non è importante. I pensieri non sudano. L'aspetto fisico, invece, mi condiziona, mi confonde: è un limite utile per me. Da questo aspetto nasce l'amore viscerale che provo per le mie appendici estreme e proviene dall'esigenza di coprirle non considerandole particolarmente aggraziate. Amore ed odio in un magico connubio... lì nascono le mie voglie...
Voglia di possedere un gran numero di scarpe, piacere nell'osservarle e scegliere quelle da acquistare e da indossare - come un'ape regina che sciamando sceglie i suoi fuchi.
Ho una stanza tutta per loro, dove le tengo dentro a scatole chiuse, in bella mostra, tutte in fila, allineate perfettamente in ordine su dei ripiani appositamente predisposti. Mentre le osservo provo una sensazione di serena e compatta tranquillità, quella che tutte le cose accoppiate mi procurano. Le mie scarpe sono indivisibili e sono la prova scientifica che l'uomo riesca a guardare due cose contemporaneamente. Devo ammettere che questa deduzione logica mi dà gioia - come in una serata di primavera quando senti che l'aria non è più fredda e vedi volare una foglia che si alza al vento.
Succede. E mi piace. Mi piacciono di tutti i colori, modelli e forme e mi perdo nella diversità dei materiali di cui sono fatte. Nella diversità delle misure dei loro tacchi: alti, con zeppa, a stiletto, e nei diversi modelli con cerniera, lacci, spuntate.

venerdì 6 luglio 2012

Tema: La foto del capitano miricanu


Uno scarto sulla destra e si trovò davanti la rupe.Un viottolo ne segnava il fianco, strisciando serpiginoso tra cespugli di macchia mediterranea e radi alberi impavidi.Era il luogo dell'incontro. Don Matìa si guardò a destra e a manca, verso il ponte nudo sterrato che permetteva di attraversare il torrente e da dove i carri e le camionette avrebbero dovuto materializzarsi. Il gilet a rigoni, di velluto, proteggeva il petto e il cuore che batteva all'impazzata.

Si, propro a lui, che nessuno riusciva a turbare. Era avvezzo al pericolo, gli occhi brillanti, in quei momenti, saettavano fulminei. Una luce dorata li attraversava mentre la mente concretizzava azioni rapide e precise. Grande fama di seduttore, Don Matìa, la fronte ampia e gli occhi animati.La belva sopiva in lui. Una forza della natura che si perdeva e riprendeva, in un continuo scambio di vigore e tempra coi boschi in cui si spostava, protetto da quei luoghi invisi ai più. Era molto temuto.
Amato dalle donne e odiato dai mariti, resi cornuti con maestria.
Da prenderci il caffè prima, durante e dopo. Non si capiva come, ma le donne non gli resistevano.


martedì 3 luglio 2012

Tema: Attorno allo zio moribondo

Di tutte le questioni alla fine non sarebbe rimasto che uno sguardo di sdegno e uno sputo non lanciato.

La famiglia era riunita attorno al letto dello zio senza figli, in ospedale l’aveva detto il dottore, quanto dura dura.  La zia era lì – che se ne deve fare lei delle proprietà, neanche nipoti dal lato di suo fratello ha; è giusto che la proprietà resti da questa parte della famiglia, ci sono i nipoti maschi che portano il cognome. Tutti attorno al letto, gesù giuseppe e maria, a guardare lo zio e la sua pelle sottile che copriva gli zigomi sporgenti, maria giuseppe e gesù, che malo colore: meglio sta, è sereno. Non mancava la cognata grassa, quelle che in seconde nozze aveva sposato il secondo fratello del moribondo: era stata la cameriera della prima moglie del suo futuro marito, forse già lo riveriva mentre la buonanima ancora boccheggiava; e c’era pure l’altra cognata, quella liricheggiante, ma no che cantava, non cantava per niente, liricheggiante perché se la vita è teatro lei era la prima attrice, destinata alle parti tragiche da declamare, arcuando la schiena all’indietro in una enfasi da cinema muto: pure lei era lì, a tirare il fiato al moribondo. La cognata che dicevano somigliasse a Lana Turner stava un po’ dietro, la scena era già occupata: dove stesse la somiglianza era il gran mistero di cotanto accostamento – bionde entrambe. Insomma, c’erano tutte attorno al letto, con i figli maschi allineati. I fratelli di lui no, stavano fuori: con tutte quelle femmine intorno al moribondo non si poteva stare: preferivano ricordare il fratello in vita, quando da piccoli tutti giocavano a tirarsi le pietre, o quando da grandicelli a questo gli fregavano i vestiti belli, perché lui ci teneva ad essere elegantone; per loro il fratello inerme sul letto era già morto. E poi ognuno di loro aveva la moglie appostata lì, appostata di guardia. Si controllavano a vicenda le cognate, che nessuna potesse approfittare, che nell’assenza delle altre una avesse pigliato qualche pezzo di carta per farglielo firmare al moribondo. Gesù giuseppe e maria, meglio sta, respira pulito, giuseppe maria e gesù, questo meglio di noi sta.