mercoledì 30 gennaio 2013

Tema: Hanno ucciso Kennedy

Sez. Your Fetish
Svolgimento


Solo una porta li divideva. Una porta marrone anonima, piazzata là per dividere un appartamento  altrettanto anonimo, da un pianerottolo con le piastrelle giallo malato tipiche della sala d’aspetto di un ospizio. Ma quella non era la sala d’aspetto di un ospizio era solo il pianerottolo di un quarto piano. Solo una porta si frapponeva tra un losco individuo e una donna bellissima, un tipo col passamontagna sulla faccia e una donna che passava il suo pomeriggio d’estate con una maglietta bianca e dei pantaloncini neri, uno stupratore e una vittima.

Il losco si avvicinò alla porta e sentì da dentro, provenire le note di un concerto per quartetto d’archi di Bach. Anche se era il maestro delle fughe, quel giorno non sarebbe fuggito nessuno, nemmeno la vittima prescelta. Un quartetto d’archi di Bach, la musica perfetta per uno stupro in piena regola, perfetta perché nemmeno il più sciroccato regista di Bombay l’avrebbe scelta per una scena del genere.

L’uomo bussò alla porta e aspettò la risposta.

-Sì?

-Pizza!

-Ma non abbiamo ordinato nessuna pizza!

-Eppure l’indirizzo è questo, signora.

La donna aprì la porta senza guardare dallo spioncino, era sicura di ritrovarsi di fronte al tipico ragazzotto brufoloso, invece per lei c’era un uomo col passamontagna nero che di umano non lasciava trasparire nemmeno gli occhi.


martedì 29 gennaio 2013

Tema: Le caviglie dentro

sez. Your Fetish
Svolgimento

Le caviglie dentro l’incavo delle mie ginocchia. La sua pelle scorreva senza attrito tra le mie mani. Un rituale che si ripeteva più e più volte durante la giornata. Adesso quello che si ripete  è un “Requiem aeternam dona eis”.  Poi lei che si gira e si mette a dormire. Non ci pensare, sarà per un’altra volta. Buonanotte.
Che qualcosa non andava dovetti ammetterlo quasi subito.
Cominciai a prendere per corrispondenza (anonimato garantito) creme al peperoncino e manuali illustrati. Poi ancora corde, maschere, abbigliamento in latex, fruste e tacchi a spillo. Li sceglievo accuratamente nella sezione apposita del catalogo. Risultato assicurato.
Ma legato a quel modo proprio mi sentivo un salame, e si sa l’autoconvinzione ha un ruolo preponderante in queste faccende. Tanto più che lei, lasciandosi prendere la mano, ancheggiò forse un po’ troppo sui tacchi a spillo. Fu così che se ne spezzò uno e lei cadde rovinosamente da quell’altezza vertiginosa. Uno STRAAP lasciò presagire lo squarcio nella parte posteriore dei pantaloni neri lucidi in similpelle.  E, come se non bastasse, nella caduta un riflesso incondizionato la portò ad aggrapparsi alla corda tesa intorno al mio collo che lei teneva in una mano, mentre con l’altra agitava la frusta di qua e di là. Quasi non finii strangolato. Esperimento da cestinare.

lunedì 28 gennaio 2013

Tema : Good Vibration

Sez. Your Fetish
Svolgimento


Mi salutò come sempre aveva fatto. Un unico gesto con gli occhi, seguito da uno movimento impercettibile del mento. Senza che nulla potesse trasparire dal suo gelido sguardo. Sentimento? Amore? Parole e sostanza a lui del tutto sconosciute. Solo pura effimera consuetudine. Andava via per il suo solito giro d’affari. Almeno così lui diceva, e di certo poco m’interessava sapere se fosse vero. Chiuse la porta dietro le sue spalle e sentii aprire la mia. Aprivo la mia di vita. Mi appropriavo di quello che quotidianamente mi veniva sottratto, giorno dopo giorno, e sapevo che ne avrei goduto. Eccome, se ne avrei goduto.

Mi preparai un bagno caldo. In attesa che la vasca si riempisse decisi anche di dar fondo alla mia riserva personale di puro libanese. Mentre m’immergevo pian piano, nella acqua sopportabilmente calda, un brivido di piacere s’impresse lungo la schiena. Il contatto con l’acqua distese i miei muscoli contratti da giorni di tensione accumulati dal quotidiano caos casalingo. Sentivo l’effetto del joint salirmi. Era meraviglioso. Mi sentivo completamente rilassata ed estremamente a contatto con me stessa.
La mia mente scorreva veloce, come ogni singola cellula nel mio corpo. Affondai la testa sott’acqua trattenendo il fiato per po’. Sentivo il mio battito lento e potente e quel rumore sordo del sangue che scorre veloce nel circolo obbligato. Riemersi. Il vapore aveva creato una nebbia avvolgente profumata all’aloe, nel bagno scarsamente illuminato. Adoravo questa eterea sospensione, un umido calore protettivo. Tutto così rallentato, in assoluta simbiosi con il mio corpo.

domenica 27 gennaio 2013

L'odore dei pomeriggi (quando li butti via) - Parte due

Svolgimento


28 dicembre 1994

«Oh? Oh! Siamo in ospedale. Apri gli occhi» - sentivo la voce  impaurita di Irene, ma non riuscivo a capire da che parte venisse. Avete presente quella funzione presente nell’autoradio, che vi permette di selezionare quale delle casse deve avere più potenza, se la destra o la sinistra? Ecco, sembra ci sia qualcuno a cui questa funzione piaccia così tanto da bloccarsi, autisticamente parlando, a pigiare il tasto spostando continuamente la voce di Irene dall’orecchio destro a quello sinistro. Ecco che il mio equilibrio va a puttane e mi lascia immobile e probabilmente con la perenne impossibilità di issarmi su questo lettino. Ci provo, ma con risultati più che irrilevanti. Capivo d’essere steso, ma era come se non comandassi nessuno dei miei muscoli, la mia volontà. «Mi senti? Riesci a sentirmi? OH! Toglimi da questa cosa, non riesco a muovermi!» - tentai di parlare, ma non mossi neanche le labbra. “Cosa mi sta succedendo? Oh, Cristo, che mal di testa”. I miei mal di testa sono complicatissimi perché, oltre a succhiarmi il cervello, mi rendono quasi paralizzato. Ciò significa che non posso fare alcun movimento, altrimenti finisce che dalle tempie passa agli occhi e dagli occhi passa alla faccia e mi fa male tutto, quindi conati di vomito, conati di tutto ciò che può uscirmi dalla bocca e dal naso. Vabbè. «Fatemi uscire da qui!» gridai. «Ma come ti dimeni! Sta calmo, no? Fai scappare tutti i pesci. Tieni quella canna e fa’ silenzio; e poi, da dove diavolo vorresti uscire?!» - Era mio padre. Ed io riuscivo a muovermi. “Ma come c’è finito mio padre qui? Che poi mio padre è morto dieci anni fa, impossibile che sia ancora qui a rompere, pace all’anima sua”. Non eravamo in buoni rapporti, ma quantomeno scambiavamo due parole e qualche litigio, quando non ci dicevamo che ci mancavamo a vicenda. Qualche mese prima di morire, lo portammo in ospedale perché stava male, affermava di non star bene e che mia madre continuava a dire che aveva le fissazioni. Mi scappò una risata al pensiero, ma, povero papà, mia madre, quando voleva, sapeva essere più rompipalle di lui. Dimagriva in continuazione. In effetti, gli diagnosticarono un tumore ai polmoni e questa fu la scusa per continuare a fumare quelle dannate sigarette secche e lunghe da zoccola, che pian piano lo portarono via con loro su un posacenere. Cioè, lui ha un’urna. Comunque sia, morì e io, adesso, non ci capisco più nulla. «Cosa ci fai tu qui?» - chiesi sbalordito - «Cosa vuoi che ci faccia qui? Siamo a pesca. Ma vuoi calmarti, faccia da scemo? Se continui così dovrò darti una dose di calmante, amore. Amore, riesci a sentirmi? Devi girarti su un lato. Aspetta, ti aiuto io. Dottore, ma cosa gli succede? FACCIA QUALCOSA» È Irene. E, Dio, se non ha le mani ghiacciate. Mio padre era scomparso e adesso stavo annegando in un mare viola. Era enorme; e nessuna terraferma alla quale aggrapparmi, questa volta. Più mi muovevo o tentavo di nuotare, più annaspavo e respiravo male, ingollavo quella roba viola ed era amara come il fiele. Un’onda enorme prendeva la rincorsa verso di me e d’un colpo ci fu un gran casino di viola, giallo; animali marini scappavano a destra e a manca. Il fondale era giallo, ricco di conchiglie, alghe, mine, palloni bucati, preservativi. Era una discarica! - che schifo - Una discarica. Sentivo che la dose d’aria stava andandosene a quel paese, mi bruciavano i polmoni come se qualcuno li stesse punzecchiando con tizzoni ardenti; stavo per scoppiare, io lo sapevo. Mi sentii tirare con forza verso l’alto e mi mancò il respiro. Fuori dall’acqua urlai dal dolore e vidi una luce straziante. Mi sentivo piccolo e nudo. Urlavo.

sabato 26 gennaio 2013

Tema: Morgana

Sez. Your fetish
Svolgimento


“Morgana” l’insegna del negozio: pizzi, merletti, raffinatezze di stoffe e di colori, panna, cipria, albicocca e lillà. Sapeva di qualcosa di retrò, Riccardo immaginava  pin up avvolte da bustini con le labbra fuoco e le unghie lunghe laccate dello stesso colore. “Altro che le unghie delle squinzie di oggi, bianche e quadrate, che sembrano cucchiaini da gelato” – pensava- e si chiedeva chi dovesse avere così tanto buon gusto da scegliere articoli tanto ricercati, ed esporli nel modo giusto.

“Questa è la vera seduzione, il vero fascino, e non presentare  il sesso su un piatto d’argento, ma lasciarlo immaginare, perché il punto G parte dalla mente non dal corpo, anche per un uomo”. Riccardo era  fermamente convinto di ciò, ed era alla ricerca di un incontro appagante solo in tal senso, altrimenti niente. “Chissà che donna deve esserci dietro tutto questo”.  Se la immaginava bella e raffinata come Audrey Hepbourn o Grace Kelly, ma calda e scatenata disposta a dare il suo miele, come il personaggio di Milo Manara.

E così, carico di speranze e già un po’ eccitato Riccardo inizia a loggarsi al sito. Eh sì, perché Morgana non è un negozio reale, ma una vetrina virtuale; Riccardo, si è messo in testa che vuole conoscere a tutti i costi l’amministratrice di tutte queste prelibatezze, praline, babà al rhum, sacher torte, accompagnate da the caldo servito in tazze di raffinatissima porcellana inglese. Una donna con questo gusto deve avere senz’altro una bella sfogliatella spolverata di zucchero da offrirgli.

Si chiude nella stanza al riparo dai tre marmocchi, i suoi marmocchi, che giocano  nel corridoio, si sente come in un bunker antiatomico. Ha fatto un patto con i bambini, loro possono sparare e tirare bombe tutta la sera per tutte le sere e non diranno nulla alla generalessa, ovvero la loro mamma. Riccardo è esausto del suo matrimonio, Ottavia è una donna cattiva e fredda, dedita solo ed esclusivamente alla carriera. L’aveva affascinato per la sua forza, che poi l’aveva travolto. Orfana di entrambi i genitori cercava solo benessere e denaro. E così aveva incastrato Riccardo, quando erano molto giovani, lui scriveva poesie ma aveva ereditato un’azienda di famiglia che navigava alquanto bene, e lei gliela aveva tolta piano piano nel corso degli anni,  adesso era la regina indiscussa di un piccolo impero. Fisicamente l’esatto opposto delle ragazze di “Morgana” e della sua amministratrice: bassa, magra con il sederone, i capelli biondo-rosso, il viso pieno di efelidi e di rughe attorno alle labbra sottili, il fiato sempre pesante.

Riccardo era già da un po’ che chattava con l’amministratrice di Morgana e le aveva fatto capire che a lui non interessavano le sue ragazze ma solo lei, perché lei era una donna di spessore, che leggeva le poesie di Alda Merini – le citava continuamene -, colta, dolce, naturale. Raffinata.

giovedì 24 gennaio 2013

Tema: Sesso Lesso - Io non faccio testo

Sez. Your Fetish
Svolgimento


Io non faccio testo.
In statistica si direbbe che non faccio parte del campione rappresentativo delle mamme: il sesso infatti, anche dopo la maternità e nonostante quella, è rimasto il mio passatempo preferito.
Lo spropositato numero di figli accumulati negli ultimi sedici anni, e il ritmo frenetico delle mie giornate che mi fanno sentire come una pallina di un flipper che schizza tra casa, ufficio e tre scuole diverse, non sono riusciti a calmare i miei sensi, per fortuna: alla sera quando vado a letto, prima di dormire, io faccio sesso molto spesso e volentieri.
Lo faccio, anche se sono stanca, anche se sono nervosa, anche se ho addirittura, il più classico dei mal di testa.
Lo faccio perché sono sicura che mi rilassi, esattamente come un sacco di altre madri dopo cena, fanno la maglia ai ferri davanti alla televisione, o si danno al Mummy blogging davanti al computer, oppure ancora, al classico découpage sui muri di casa.
Però come vi ho detto, io sono una mosca bianca e non per tutte, anzi quasi per nessun altra, pare sia così.
Nella maggior parte dei casi le mamme, evitano il sesso se possono, perché alla fine di certe giornate passate tra capricci, pannolini, e piatti da lavare, per loro vale senz’altro  il motto di Lord Chesterfild: “ la posizione è ridicola, il piacere effimero, la fatica tanta”.
Non mi sento di contraddirle e neppure di consigliar loro di cambiare abitudini, visto che, l’attitudine a santificare il sesso è una questione molto personale; una questione di gusti esattamente come l’amore per i cibi piccanti, o la capacità di poter votare il PD anche a queste prossime elezioni, nonostante tutto.
E sui gusti si sa, non si discute.


martedì 22 gennaio 2013

L'odore dei pomeriggi (quando li butti via) - Parte uno


Svolgimento

27 dicembre 1994


L'autostrada corre veloce: alberi fittissimi, mare calmo, un campanile tutto rotto di un beige sfracellato di polvere al vento, luna, bianche strisce. Tutto scorre e io corro. Barriere d'avorio di mezzeria, che nonostante siano grigiastre risplendono di chiaro quando ci passo sopra coi fari. Sembra una discoteca. Allungo il piede sulla frizione e do la quinta che mi spinge sul sedile. Sembrava mia moglie quando mi spinge sul materasso di casa nostra. Le lenzuola fanno un mantello sulla sua schiena e quando gode apre la bocca e spezza i gemiti col tremolio di una lavatrice. Irene ha ancora un bel culo. Metto la mano fuori dal finestrino a farla volare per finta, via, lontano, a strappare le foglie a quegli alberi di Marfan. Il basso questa sera rimescola punk-hardcore degli anni passati. Io corro. Io scorro. Mi tremano le gambe sui pedali se ripenso a questa giornata. Buona parte di me se ne frega allegramente, anche se un filo invisibile resta agganciato alla trappola dei pensieri ed io, che corro, sto sfilando lentamente questo maglione grigio e slargo che mi ha regalato. Incredibile quanto il tempo sembri veramente poco quando si è in auto e non c’è traffico, sono già passate tre ore e mi sembra d’esser partito mezz’ora fa. Sta facendo giorno e il caldo sarà tremendo oggi. Comincio a riconoscere la strada più interessante del mio tragitto, sto per arrivare. La curva piena di erba verde mi fa un cenno, quindi scendo di marcia e freno leggermente, poi salgo nuovamente con il cambio e riprendo per Via Torino. I palazzi vicini qui non sono proprio a loro agio, non sono accostati ai colori, la gente stava meglio prima, sembrava più serena. Fermo al semaforo prima di casa un lavavetri di chissà che paese vuole pulirmi il vetro, ma io rispondo con un no combattuto, perché ho già dato precedentemente e perché oggi ho un po’ le palle girate, ed ho sonno da morire, ed ho fame, maledizione, fame. Sono arrivato.


lunedì 21 gennaio 2013

Tema: Foglie

Svolgimento

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
Ad Antonio è venuta subito in mente quella poesia, l’unica che si ricorda, appena entrato nel bosco.
Questi alberi alti e smilzi, di cui non ha mai saputo il nome, gli rassomigliano : senza fronzoli e con i rami nodosi.
Una voce infantile alle sue spalle: “Nonno guardami !”.
Sua nipote Rosa lo sta chiamando.
Antonio si gira e non vede nessuno .
“Dove sei ? Non ti vedo.“
“Su, su, in alto.!”
Antonio, con la testa all’insù, inizia a guardare su tutti i rami. Chissà dove si è arrampicata quella scimmietta !
Una foglia si agita mossa dal vento. No, un momento, non è una foglia, è troppo chiara . 
Antonio, vecchio lupo di mare, si porta una mano vicino alla testa e stringe gli occhi per mettere a fuoco : è la manina di Rosa che lo sta salutando. 
E’ mimetizzata con l’albero, vestita con i pantaloni marroni e una giacca beige, spuntano solo i suoi ricci castani e la pelle bianca.
La prossima volta le metterò la sciarpa rossa, così riuscirò a vederla meglio, riflette Antonio .
“Stai attenta, ha appena smesso di piovere, le foglie sono scivolose” urla Antonio.
“Guarda nonno, ci sono dei gattini laggiù, vicino a un albero ! “
“Scendi, andiamo a vederli da vicino” . 

Tema: Cannibali

Svolgimento

L’isola dei cannibali, che si vede leggera all’orizzonte quando l’aria è tersa, non è molto distante da noi. Si raggiunge facilmente in barca a motore, anche a nuoto, per chi ha abbastanza fiato. Si chiama così, ma è disabitata. Non ci abita nessuno, da almeno un secolo, solo conigli, gabbiani e lucertole endemiche. Un tempo invece ci abitavano delle persone, c’era come una comunità di pescatori, che aveva colonizzato pian piano la costa, anche prima degli antichi greci. Forse profughi, in rotta con le loro mogli, che avevano puntato le prue verso il confine del mare conosciuto, avevano navigato per mesi, per anni, fino a incontrare la sagoma dell’isola. Era piaciuta subito, con le sue forme tondeggianti che emergevano dall’acqua, vi si erano stabiliti volentieri, finalmente liberi pescatori, eroi, navigatori, santi, poeti, e anche molto superstiziosi. 
Secondo la tradizione sin dall’antichità, per ogni nemico catturato celebravano una cerimonia speciale, opportunamente organizzata da un esperto che era nominato apposta. Era sempre un evento di grande risonanza, con molti invitati, la maggior parte non paganti e con l’appoggio economico di alcuni sponsor per coprire le spese. Venivano ingaggiati fior di consulenti per predisporre tutto, gente che aveva studiato diversi anni nelle migliori scuole dell'isola. In pratica, la cerimonia consisteva nell’appropriarsi dell’intelligenza, della conoscenza e dello spirito del nemico. E c’era un solo metodo per ottenere questo risultato: mangiarlo. Modi e ricette erano lasciati al gusto di ognuno, all’originalità del servizio catering o del padrone di casa, sulla base delle preferenze e delle abitudini di famiglia. L’importante era mangiarselo, perché non andassero sprecate e disperse nell’universo tutte le qualità, le memorie e le proteine. Poi, visto che sull’isola gli unici abitanti erano loro, si videro costretti a formare due squadre che potessero contrapporsi, sfidarsi e combattere. Dopo qualche periodo di baruffe per la scelta delle formazioni, raggiunsero un accordo e si ebbero finalmente nemici sempre nuovi e freschi, pronti per il consumo. Parallelamente, fiorirono attività commerciali che portavano sul campo nemici di varia pezzatura, già porzionati e speziati, ideali per uno spuntino veloce. Una legge appositamente promulgata ne garantiva la tracciabilità, la provenienza familiare, le qualità personali, le doti umane, il valore in termini nutritivi. In genere si preferivano nemici non troppo vecchi, ma già ricchi di sapere, per niente o poco bisognosi di frollatura. Particolarmente apprezzati divennero i neolaureati, ancora ricchi di nozioni, prima che le disperdessero nei pub dei venerdì sera. 

domenica 20 gennaio 2013

Tema: Le persone sono la mia dose (II parte)

Svolgimento


Mi allontano dal centro della città, rotonda di periferia, c’è una prostituta. Le chiedo quanto vuole, non si fida di me, ho una brutta faccia, sono senza macchina. Le dico di andare sotto il ponte lì vicino, le mostro i soldi, lei accetta. 
Arrivati sotto il ponte, lei è sola, io sono solo. Le tirò un pugno sotto l’ascella. Sotto l’ascella ci sono tutti i nervi che vengono su dal braccio e dal tronco umano. Basta solo un colpetto lì e tutto il corpo umano è attraversato da una scarica elettrica, il corpo non può fare altro che cadere su se stesso per lo shock. Il corpo della prostituta cade su se stesso come da programma. 
Le afferro la faccia e la costringo a guardarmi negli occhi, nelle pupille nere come l’abisso. Guardami! Guardami in faccia! Continua a guardarmi, non smettere! Continua a guardarmi con quegli occhi! Sì! Hai paura di me? Sono l’uomo nero, sono il baubau, sono il diavolo, sono l’assassino, sono lo spaventapasseri, sono venuto a prenderti, sono quello che ti strappa il cuore dal petto, sono quello che ti divora l’anima, sono Hitler, sono Attila, sono solo un drogato. Tu sei solo la mia dose.
Piange, mi scongiura di non farlo, mi promette il paradiso del suo corpo, mi promette un sacco di soldi. Ma lei non lo sa: io sono felice, posseggo già tutto quello di cui ho bisogno. Io sono felice, mi sto facendo. La prostituta ha paura di lasciare questa vita.
Le stringo le mani intorno al collo e la sollevo più in alto di me. Il suo corpo si divincola, balla la danza degli impiccati, le sue unghie mi graffiano la pelle delle braccia, come le unghie di Puzzetta, ma non possono fare niente. La sua danza continua, la danza può durare anche quindici minuti. Quindici minuti in cui si balla col diavolo. Sbava dalla bocca, la lingua fuoriesce, gli occhi strabuzzano, la morte si avvicina. Porto la sua faccia vicino alla mia e la vedo spegnersi. La scintilla degli occhi se ne va chissà dove e il suo corpo rimane lì con me. 
Le levo le mani dal collo e l’abbraccio forte a me, la stringo forte, le tengo la faccia sulla mia spalla con tutti i suoi capelli intorno a me. Le dico di amarla, che terrò sempre a mente il suo sacrificio, che sarà sempre con me. Poi il corpo senza vita lo lascio lì, è morta e a me interessano i vivi. 

Tema: Le persone sono la mia dose (I parte)

Svolgimento

Mi considero una persona buona, alla fine cerco la stessa cosa che ricercano tutti: la felicità. Quel piccolo bagliore che ci fa sentire vivi dentro le tenebre che ci circondano. Io faccio uso di droga, lungo la via che conduce alla felicità, non ho trovato altro se non questo. Io sono un drogato e la mia droga sono le persone. Ogni volta che esco di casa assumo la mia dose. Non posso vivere senza di loro, con loro io sono felice e se si è felici si scivola meglio dentro al peccato. Dentro al peccato si sta più comodi se ci portiamo con noi un sorriso. 
Adoro gli esseri umani, sono un filantropo. Adoro vederli ridere, piangere, sognare, sperare, vivere, mangiare, dormire. Adoro vederli morire. Adoro vederli spegnersi. Adoro vederli.
È un amore tutto mio, un amore che mi accompagna fin da quando ero bambino, fin da quando ho ucciso quel gattino. Ho ucciso il gatto dei vicini, Puzzetta, l’ho strozzato. I bambini sono cattivi, più degli uomini. Io ero il più cattivo dei bambini. Io avevo strozzato Puzzetta, gli avevo messo le mani intorno al collo e avevo premuto, forte, forte, ancora più forte. Puzzetta si dimenava, scalciava, graffiava, cercava di mordermi, cercava di salvarsi. Io bambino decisi che doveva morire. Vidi la luce spegnersi nei suoi grandi occhioni gialli, la vidi spegnersi poco a poco, da quel momento capii una cosa, l’animale gatto aveva paura della morte e ne sentiva il freddo come l’animale uomo. Anzi, l’animale uomo aveva molta più paura della morte dell’animale gatto. L’animale uomo è più divertente.
Adoro gli esseri umani. Adoro le facce degli esseri umani e vi faccio una confidenza, siamo tutti diversi, di faccia, di corpo, di colore, di capelli, di occhi, di espressioni, di emozioni e di morte. Sono curioso di vedere la morte di tutti.
Sto per uscire di casa, ho bisogno di una dose. Se sto in casa divento nevrotico, se sto in casa impazzisco, se sto in casa divento solo, se sto in casa apro il frigorifero e mi riempio di schifezze.

sabato 19 gennaio 2013

Tema: Il club dei Supereroi

Sez. Pensione da Eroi
Svolgimento

A Paperopoli, nella sede del club dei Supereroi, si svolgeva la partita di briscola del giovedì sera. Bat-Carioca e la Vespa Rossa giocavano con il Commissario Basettoni, Paperinik e Super Gilberto, mentre Super Pippo annaspava sotto una poltrona cercando una affannosamente una delle sue spagnolette. Paper Bat finì di distribuire le carte, e Paperinik dichiarò: 
- Io chiamo un nove. - e si voltò verso il suo vicino. 
- Forza, commissario, tocca a voi. – Disse Vespa Rossa colpendo leggermente col gomito le costole di Basettoni che si era assopito sulla sedia. 
- Scusate, stavo riposando gli occhi. Due fiori.
- Ehm… commissario… guardate che giochiamo a briscola, non a bridge. 
- Meglio, meglio. Il bridge è come… come… come che? Oh, beh… se non si ha un buon partner è meglio avere una buona mano.
- Commissa’, alle corte: chiamate o non chiamate?
- Si, certo. Mi passi il telefono? Involtini primavera per tutti?
- Commissario… sveglia! - lo rimbrottò spazientito Paperinik.
- Adamo! Cazzone! - gli fece eco Bat-Carioca. 

venerdì 18 gennaio 2013

Tema: L'uomo volubile

Svolgimento


L'uomo volubile tornò alla solita ora, accaldato, dopo dieci ore fuori casa. Di fronte al portone, armeggiando con le chiavi, ci pensò un po’ e ritornò nella piazza. Organizzarsi una cena era sempre una cosa complicata per lui, cuoco autodidatta discreto, ogni volta indeciso sul menù.
Si avvicinò alla vetrina del negozio di alimentari. All’interno si scorgevano i preparativi per la chiusura serale. Cominciava a tramontare presto adesso, e i negozianti non amavano troppo attardarsi in quelle viuzze del centro storico. Sbirciò di nuovo e fece per entrare, la ragazza stava passando il mociovileda sul pavimento di graniglia. Con un sorriso imbarazzato, camminò tutto intorno agli scaffali, in equilibrio sui tacchi. Alla fine, prima o dopo, l’avrebbe invitata a uscire, ci aveva già pensato parecchie volte, quasi ogni sera. Poi aveva cambiato idea.
Il salumiere lo guardò, con fare interrogativo sbrigativo. Un’impresa ardua, scegliere tra più di sette tipi di formaggio e altrettanti salumi. Alle sue spalle, le mensole erano stracolme di barattoli di legumi e pacchi di pasta di vari formati, e conserve e scatolami di ogni genere. Colse l’occasione per distogliersi da quello sguardo indisponente. Dopo una rapida rassegna degli scaffali, si voltò nuovamente e scelse un assaggio di Asiago semistagionato, ma bloccò quasi subito l’ordinazione. Forse meglio un pezzetto di Fiore sardo. Intanto diede un’occhiata ai formati di pasta. Farfalle, buone per le zucchine genovesi. Bavette, pesto. Fusilli, tonno. Va bene, farfalle. Prese il pacco e se lo strinse al petto, soddisfatto di avere scelto in fretta e senza ripensamenti. Posò il pacco, forse meglio i fusilli, ma sempre con le zucchine genovesi. O anche con il tonno. Il salumiere, dietro il bancone, aveva pesato e incartato il suo formaggio, aspettava e lo osservava. Allora prendo il tonno in scatola, al naturale, è più leggero. Meglio sott’olio, si, meglio al naturale. Menu deciso, finalmente, minestrone di verdure.


giovedì 17 gennaio 2013

Tema: Foto

Svolgimento


Le foto sono lì, buttate sul tavolo. Le immagini s’impastano con i ricordi e le sensazioni. Rivedo volti quasi dimenticati, non trovo volti indimenticabili. Mi affanno. Cerco di ricostruire, con quelle foto, la mia vita, il percorso degli anni belli, quelli della giovinezza.
Gli amici, i partenti, i figli, dove sono finiti tutti quanti!?
Mi sento in balia di un incubo fatto di carta e di niente. Qualcosa di cui avere paura e dal quale non volersi difendere. Bacio le foto dei miei bambini, ma non riesco a dire i loro nomi a voce alta. Provo, riprovo, ma le labbra rimangono tonde e vuote. Le melodie delle canzoni che cantavamo sotto l’albero a Natale hanno note strampalate. Dentro la mia testa sembrano, perlopiù, grugniti di animali pronti ad azzannare. Rovisto tra quelle immagini così come un povero rovista tra i rifiuti, cercando un altro giorno di sopravvivenza. Lui si accontenta.
Anch’io.
Di tanto in tanto un sorriso sale su dal cuore con un calore dolce che sento sulle gote. Poi, aggrottate le sopracciglia, spio gli occhi freddi di un uomo senza anima. Indossa una casacca bianca, sembra quella di un barbiere. Quello sguardo! Devo averlo visto troppe volte, anche se la sua faccia mi rimane sconosciuta. Lo osservo intimidita. Mi sento come una bambina che sarà punita per la sua monelleria. Io non ascolto, io solo urlo, piango, oppure taccio.
Dentro un bicchiere, l’uomo, mi versa gocce amarissime, sorride senza dolcezza e mi porta il bicchiere alla bocca.
Sempre la stessa storia. Qualcuno mi punirà oggi, domani, sempre! Così come qualcuno mi ha già punito ieri.
I bambini sono cattivi per questo vanno puniti. Io forse sono rimasta bambina e per questo mi puniscono.
Se ne sono andati tutti quanti, mi hanno lasciata sola.
Lo sanno che io piango quando sono da sola, ma se non sono sola, allora piange chi è con me. Così mi puniscono.
Io rimango sola e piango.
Strappo tutte le foto… domani me ne porteranno altre!

mercoledì 16 gennaio 2013

Tema: Una giornata del cabbaso nella vita di Aureliana Greco

Svolgimento

Stamattina non volevo andare a lezione, ma è suonata la  sveglia. Poi San Girolamo mi ha detto che se non mi fossi alzata subito mi avrebbe fatto scomparire il ventiquattro di ieri sera dall'agenda del prof. Poi ho avuto paura, e andai di corsa a lezione.
Poi a lezione avevo mal di testa ma ho studiato ugualmente. Poi tornai a casa ma prima litigai con una cretina dietro che non sapeva ancora che il clacson non è un freno. 
Ora gliel'ho spiegato e lo sa. Poi in macchina parlavo di cose vegane con le mie colleghe, ma in realtà parlavo sola perchè non ci capiscono un cavolo.
Poi arrivai a casa e mi venne a rompere le scatole una mia amica che aveva bisogno di stampare alcune cose. La stampante non voleva saperne di funzionare e la lanciai dal secondo piano con la mia amica inclusa. Poi ho aperto svolgimento.blogspot e ho letto un commento di GD ad un post di un certo FO meno bello di questo e gli faceva anche i complimenti, ma io che non sto nemmeno nella lavagnetta i complimenti li voglio pure e ho deciso che stasera gliene avrei scritto uno più bello.
Poi sono scesa per fare un giro e incontrai un vegano abbandonato in cerca di cibo. Lo lasciai nelle vicinanze di un posto dove il cibo c'è sempre.
Poi mi è seccato, ma ho deciso che regalerò un paio di occhiali nuovi a GD, che quando fa certi commenti fa cadere le braccia. -.-''
Poi sono troppo simpatica elloso! Ma non solo poi, lo ero anche prima.

Aureliana Greco

martedì 15 gennaio 2013

Tema: (S)FORTUNA

Svolgimento

Camminava nel campo, accarezzando con la mano i fiori e i fili di erba e le canne che crescevano spontanee sotto il vento di scirocco. Si addentrò fino ad arrivare sotto il grande olivo, vicino alla casa dei nonni. Era il suo luogo preferito: cominciò a cercare con attenzione attorno al tronco, tra le fessure e vicino alle radici, finché non trovò un bel esemplare di scarafaggio. Lo prese dalle elitre e se lo mise sulle mani, osservandolo. Dopo averlo guardato estrasse dalla tasca dei suoi pantaloncini un paio di piccole cesoie, di quelle che sua madre usava per potare le buganvillee, prese lo scarafaggio e con un colpo secco gli recise la testa. Le prime volte l’esperimento non riusciva perché la testa si portava via pure il midollo, e lo scarafaggio moriva. Col tempo aveva fatto pratica, e aveva acquisito la precisione di un macellaio. Prese un piccolo contenitore di plastica fra i tanti ai piedi dell’albero, vi depositò il corpo ancora movente e posò il tutto fra gli altri contenitori: barattoli di nutella o marmellata, bomboniere gettate dalla madre, ognuno con il suo animale mutilato. Una lucertola con uno spillo infilato in un occhio che chissà come era ancora in vita, un’altra senza la zampa posteriore, un’altra senza quella anteriore, scarafaggi senza testa che camminavano ancora da chissà quanto tempo e farfalle senza zampette che non potevano più posarsi, e finivano per accasciarsi sfinite.


lunedì 14 gennaio 2013

Tema: Riproduzioni

Svolgimento


Fermo sul ciglio di pietra che aggetta sulla valle, Ettore pensa per un attimo a quel poveraccio che ne aveva fatto un rilievo, e prova a immaginare quanto doveva essere vuota la sua vita, al punto di dedicare questa enorme quantità di tempo a prendere le misure di un’intera vallata, con calibro righello e rullina.
La valle infatti è perfettamente identica all'originale, Ettore la ricorda bene. È stata riprodotta nei minimi particolari, pezzo per pezzo, pietra per pietra. Le piante sono state messe al loro posto dopo un meticoloso censimento, e così gli animali selvatici e le rane. Ogni cosa è stata collocata nell'esatta posizione in cui si trovava al momento del rilievo. Tanto che, chiunque si trovi a passare dall'autostrada, o decida di fare una passeggiata tra gli oleandri ai bordi della fiumara, non riuscirebbe a notare proprio niente di cambiato. Tutto, esteticamente, corrisponde con fedeltà all'originale.


domenica 13 gennaio 2013

Tema: Medea

Svolgimento


La serata era gradevolmente fresca e serena, passeggiavo tranquillo per raggiungere il teatro pavoneggiandomi in un doppiopetto gessato coloro antracite, un bocciolo di rosa bianca all’occhiello, candido come la sciarpa di seta bianca e la camicia in piquet di cotone coi polsini alla moschettiera, sfoggiavo per l’occasione i gemelli ottagonali di smalto e zaffiri cabochon che avevo scovato nel negozietto di un antiquario e un fermacravatta a forma luna calante in zaffiro e brillanti. Erano gli anni ’90, e vent’anni oro sono mi sentivo ammantato di dandysmo, ora forse mi chiedo se in realtà non fossi solo agghindato come una madonna spagnola. Quella sera dovevo essere sfavillante, stavo recandomi a teatro per vedere la Medea di Euripide, interpretata niente meno che da Mariangela Melato.
Il Teatro Sociale di Rovigo non è grande, all’esterno presenta una bella facciata in stile neoclassico, e la sala è decorata in puro stile liberty. Mi ero procurato il palco migliore dopo di quelli riservati al sindaco, alla Regione e alla Provincia, il palco n° 5. Mi sentivo intimamente soddisfatto, ero riuscito a battere sul tempo la figlia del mio commercialista, portandole via quello che lei tronfiamente chiamava “il palco dei miei” come se lo avessero acquistato. Amavo arrivare presto per osservare il popolo: le signore con le pettinature cotonate irrigidite da flaconi e flaconi di lacca al punto da sembrar fatte di vetroresina filata, gli abiti da sera che andavano dal Valentino al divano bavarese, le apparizioni di persone in vista che si mostravano dalle balconate dei palchi per far vedere di essere colte, come la moglie del direttore della banca che di solito faceva solo l’abbonamento alla stagione lirica perché fa chic ma non si vedeva mai a uno spettacolo di prosa: quella sera era lì, seduta dietro al medaglione col ritratto di Giacomo Puccini, quello con quell’espressione snob, che ornava la balaustrata della sua loggia. Guardando in alto verso l’affresco con le nove muse notai che sul fregio che lo circondava, fatto di piante di giglio fiorite alternati ad angeli ve ne era uno che sorreggeva un cartiglio col nome di Victorien Sardou. 
Il grande lampadario si era spento da un po’, Medea nella sua disperazione invocava gli dèi:

sabato 12 gennaio 2013

Tema: Standing ovation

Svolgimento

Si è rotta la cinghia della tapparella. Poi la molla di richiamo. Poi ho smontato in equilibrio precario sullo scaletto il pannello di legno di pura quercia scandinava di trenta chili. Poi è scesa la madonna. Poi mi è caduto il cacciavite dallo scaletto. Poi son scesi un paio di santi ortodossi a far compagnia alla madonna. Poi ho modificato la molla di richiamo perché non andava con l'accrocchio nuovo. Poi la cinghia era corta. Poi l'ho riportata e ne ho presa una di 130 metri in fibra di carbonio. Poi è arrivato san Girolamo e santa Chiara in leggero stato di ebbrezza. Poi son risalito sullo scaletto e rimontato il pannello scandinavo con una leggero slittamento della terza lombare. Poi ho dimenticato il martello e la forbice nel vano richiuso da quattordici viti bulgare. Poi ho riaperto il sarcofago scandinavo. Poi è sceso san Filippo in compagnia di san Claudio ed una carina martire poco nota. Poi mi è partita la molla di richiamo caricata al massimo e stavo perdendo due falangi. Poi è arrivato san Giuseppe e mi è stato di conforto. Poi ho avvitato, inchiodato, saldato, cementato, sudato, benedetto e provato...EUREKA!!! funziona!!! I santi mi hanno salutato con una standing ovation. Adorabili.

Roberto Testa

giovedì 10 gennaio 2013

Tema: Destinazione paradiso

Svolgimento



In un angolo della stanza da letto, il Buddha se la rideva di gusto, in fondo lui non aveva delle grandi preoccupazioni a questo mondo, non ne aveva avute quando era in vita, figuriamoci ora che era solo una statua. Davanti al Buddha ridente di plastica, stava bruciando l’ultimo pezzettino di incenso, quello da pochi soldi, comprato al mercatino cinese in piazza, uno di quelli importati dal mondo asiatico con sulla scatolina tutte quelle belle scritte indecifrabili che la rendevano molto fashion, ma sempre comunque ad un prezzo abbordabile.

Erano da poco passate le due del pomeriggio, ma ero riuscito a creare un po’ di oscurità artificiale abbassando la tapparella in legno e lasciando traspirare la luce solo da un po’ di buchetti tra listella e listella. Tutto era colorato di una strana sfumatura arancione e la scena faceva bandan con l’oro del Buddha. A Barbara e a me piaceva starcene a passare i pomeriggi a letto, nudi, a fare l’amore con il profumo dell’incenso nell’aria. L’incenso da pochi soldi portava quasi un po’ di sacro dentro quell’amore che era solo profano e così non sembravamo l’ultima coppietta vista sul cellulare in un filmato amatoriale. O almeno a noi, così sembrava.

Barbara si era addormentata con la faccia sprofondata nel mio cuscino e mi mostrava il suo lato B, seminascosto dalla coperta arruffata, un lato B che portava i segni recenti dell’abbronzatura. Mi venne sete e andai in cucina, non mi sfiorò nemmeno lontanamente l’idea di rivestirmi, ero il re della casa e il camminare nudo era una mia volgare esibizione di potere. Aprii il frigorifero, solite birre e... vodka all’anguria? Che cos’era quella merda? L’aveva portata Barbara? Facile, la conoscevo da nemmeno un mese e già mi riempiva il frigo di roba scadente, avrei preferito che avesse portato lo spazzolino da denti come fanno tutte le brave ragazze, piuttosto che quella roba, ma comunque sia, la bottiglia di vodka all’anguria era lì.


martedì 8 gennaio 2013

Tema: Capire la lingua

Svolgimento

Non c'è lingua migliore di quella del vitello, mia madre la cucina benissimo, da sempre, con una ricetta speciale della sua famiglia. Se la tramandano di madre in figlia, con il passaparola, imparando a conoscerla sin da piccoli. 
La gente mangia anche altre interiora, la milza per esempio, che viene usata per imbottire focacce succulente, con formaggio o gocce di limone, una vera squisitezza. Al primo morso ha un po' la consistenza e l'aroma del fango, poi ti abitui e la mangi più volentieri. 
Ma la lingua migliore è quella della tua famiglia, non c’è una lingua migliore. Impari a conoscerla da piccolo. Parole triturate impastate e ricostituite, pepé, brumbrù, cocò. Tutti le ripetono scandendo bene le sillabe, pensando che per un cucciolo di uomo, ancora incapace di camminare e di procacciarsi del cibo, siano più facili da capire e da imparare, come versi di animali. 
Il cucciolo impara i neologismi dei genitori dei nonni degli zii, ci impiega due anni, poi deve ricominciare daccapo, perché scopre che non è questo il modo reale di parlare con la gente. Non può chiedere alla commessa del negozio di abbigliamento accessori e pelletterie, Mi dia un paio di pepé misura quarantadue. Non si può andare dal dottore dicendo Dottore, mi aiuti, ho la bua qui. 


Tema : Piccolo manuale di sopravvivenza al centro commerciale – Euro 7.99

Svolgimento:

DomenicaMattinaAndiamoTuttiAlCentroCommerciale.

Lo sentenziò mio padre senza prendere fiato.
Il tempo si fermò per tutti, qualcuno ebbe il dubbio di averlo solo immaginato; persino il  condirettore con il suo camper, da dentro la TV, sembrò spaesato e ci guardava sotto un cappellino da antologia, con un misto di stupore e ammirazione.
Silenzio.
La fronte di mio fratello si imperlò di sudore freddo, mia madre strinse con forza i volantini su cui studiava da giorni, la zia Piera abbassò lo sguardo, cosciente del fatto che non eravamo ancora pronti.
Io iniziai a fare calcoli probabilistici su quello che sarebbe potuto accadere e tornai con la memoria all’anno precedente quando, al primo tentativo, non arrivammo mai alla meta perché perdemmo lo zio Paolo prima ancora di arrivare all’entrata del parcheggio, fuggì dalla macchina delirando su coltelli miracolosi e recitando versi di media shopping ad alta voce.
I volantini entravano in casa accolti da febbrile eccitazione: quelli con i detersivi venivano stipati in bagno, quelli alimentari si muovevano tra la cucina e il salotto, ma quelli degli ipermercati venivano foderati come i libri delle medie, sfogliati con cura e archiviati in libreria.
Era arrivato il momento di rendere concrete quelle immagini, avremmo finalmente potuto toccare le promozioni, scoprire l’ampio parcheggio ed essere tra quelli che erano riusciti a sopravvivere.
Ma a che prezzo?


lunedì 7 gennaio 2013

Tema : Su contu de Cruccueu

Svolgimento:

Custu è u contu de forredda …
(questo è un racconto da focolare …)


Cruccueu era una bimbetta vivace e bella.
Le avevano dato quel nome perché quando voleva che qualcuno notasse la sua presenza cominciava a cantare, e cantava forte, a squarciagola dalla mattina presto. Aveva nove fratelli, tutti maschi, lei era la più piccola e l’unica femmina. Sua mamma era morta nel darla alla luce come in tutte le storie tristi che si rispettino e, non appena Cruccueu fu in grado di reggersi in piedi da sola e di ficcarsi il cibo in bocca con le sue stesse mani, fu lasciata al suo destino a badare a se stessa. Così, d’estate, ma anche in autunno, inverno e primavera, dalle prime luci dell’alba, lei era per strada che correva nelle cunette poco profonde dove scorrevano urina e acqua sporca e dove lei, comunque, sguazzava felice incurante del lezzo e nella stagione giusta anche del freddo. Solo grazie alla sua incapacità di stare un solo minuto ferma riusciva a preservare il suo corpicino dagli agguati di germi e malanni. Le scarpe non sapeva cosa fossero e anche dei vestiti aveva una conoscenza del tutto immaginifica. Lei, al mattino, apriva i suoi grandi occhi neri e cominciava a raccattare quel che i fratelli avevano gettato alla rinfusa sul pavimento la sera, prima di cadere addormentati nelle due stuoie, un mucchio a destra e uno a sinistra, dell’unica stanza che fungeva da cucina e camera per dormire.
Cruccueu, quindi, aveva un modo di indossare quelle robe del tutto originale e nessuno del resto era mai venuto a rimproverarla per come le metteva.
Mai un rimprovero, ma quell’estate qualcosa di nuovo era successo.
Cruccueu ricordava quel giorno perché era la festa della sua mamma che si chiamava Assunta.

venerdì 4 gennaio 2013

Tema: Fame

Svolgimento 
 
E’ Ferragosto, c’è un forte odore di medicine e di malattia nella sala d’attesa, le pareti verde marcio sono scrostate in più punti, fa un caldo insopportabile.
Sara è venuta con l’ambulanza: sua sorella è svenuta e ha battuto la testa mancando per un pelo lo spigolo del lavandino. La barella è sparita oltre la porta a vetri e lei si è seduta ad aspettare notizie.
E’ vestita com’era in casa: una canotta verde stinta, un paio di pantaloncini di jeans azzurri e le infradito nere. Si sente a disagio, la canotta mette in risalto le sue spalle magre, le scapole appuntite. Le infradito, poi, sta per perderle, con il suo piede troppo magro.
Uno sguardo alle poche persone che la circondano, per fortuna non sembrano aver fatto caso a lei.
Il vecchio appoggiato al muro sta leggendo il giornale, si sente il fruscio delle pagine girate lentamente. Sara nota l’espressione assorta e corrucciata dell’uomo e si chiede cosa starà leggendo di così brutto, forse la pagina dei necrologi.
L’uomo seduto due sedie più in là sembra perso nei suoi pensieri, scuote la testa, preoccupato.
Suda molto, per il caldo e l’agitazione: la camicia a scacchi ha dei grossi aloni sotto le ascelle. Ogni tanto tira fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto bianco e si asciuga la fronte.
Infine c’è la donna grassa seduta davanti a lei, il vestito a pois sformato e una bibita ipercalorica sulla sedia.

giovedì 3 gennaio 2013

Tema: La trilogia di Figaro. Il Barbiere di Siviglia

Sez. L'Opera spiegata ai pigri
Svolgimento

La Bella Rosina è una giovine donzella che aspetta l’amore romantico, e non vede l’ora di scappare onorevolmente da casa perché è la pupilla del vecchio Don Bartolo, simpatico come la sabbia nel costume da bagno. A tale scopo passa le sere sul balcone a sospirare: sospira oggi, sospira domani, uno che mi si fili prima o poi arriverà. Sventura gliene incoglie, povera piccina: una sera passa sotto casa un avvenente porcone patentato, il Conte di Almaviva, che rovinerà per sempre la vita della Bella Rosina, di Figaro e di tutti quelli che incontrerà, peggio della maledizione di Montezuma.

Il Conte non riesce a pensare da solo e quindi noleggia il cervello di Figaro, ingegnassimo e dotato maneggione attualmente barbitonsore, che per tutto ringraziamento ne riceverà solo del male, neanche solo in quest’opera ma in tutta la trilogia: infatti ha fatto domanda a Beaumarchais per cambiare il nome in Sfigaro. Un bel caos: Rosina la vuol dare al Conte previo “Si” gorgheggiato davanti al prete, il Conte la vuole ma farebbe volentieri a meno delle formalità, Don Bartolo non vuole mollare Rosina perché è tanto affezionato ai soldini della ragazza che quasi quasi la impalma lui, Figaro è affezionato ai soldini di chiunque perché di suoi non ne ha e si fa pochi problemi purché lo paghino.

mercoledì 2 gennaio 2013

Tema: Vita sul tetto

Svolgimento

Vado a vivere sul tetto, dove ci sono gatti e uccelli e gechi. Salgo subito, giusto il tempo di piazzare la scala a pioli bene stabile alla grondaia. Salgo in fretta e non guardo in basso, soffro di vertigini. Le file di coppi incrostati di licheni mi aspettano composte.
Prenderò il comando di questa postazione prima che ci pensi qualcun altro. Si deve essere decisi, con i tempi che corrono. Sul tetto invece non si corre, si sta seduti con il volto rivolto alla campagna lontana. Ci si riscalda vicino alla canna fumaria.
Solitudine, non si soffre. Gatti e uccelli, dicevo, e anche gechi e topi, formiche e scarabei, non c’è da annoiarsi un momento. Si può fare vedetta per tutto il giorno, qui il sole tramonta per ultimo, dopo avere salutato le strade, le piazze, i marciapiedi. Finito il suo giro, rimane ancora qualche minuto a tenermi compagnia, come l’uomo alla fontana che ha già riempito tutti i suoi bidoni. È un piccolo ritardo che potrà facilmente recuperare affrettandosi un poco sull’altro emisfero, in maniera impercettibile. Poi anche il sole saluta, ma non si rimane mai soli. C’è il pipistrello adesso che volteggia radente sui coppi più vicini al lampione acceso. Vola a bocca aperta.