giovedì 31 ottobre 2013

Halloween Writing Contest - Tema: This is Halloween

Halloween Writing Contest
Svolgimento

Mi toccano subito le mani, sbuffano il mio nome, qualcosa o qualcuno sopra la mia testa. Spingono indietro il naso, io gli occhi e il mio vaffanculo suonerebbe alto tra i cori argentini del don't cry for me. Mi divaricano le braccia come se spalancassero una porta.
Entrate pure, cosa vi offro? Non aspettavo nessuno, non mi interessa. Intanto vi accolgo sotto le dita umide della mia bocca, del mio pannolino caldo. Accomodatevi, sarebbe bello avervi tutte insieme qui, mi interesserebbe molto il pensiero di sapervi in molte a gesticolare forte per dirmi che debbo aspettare che arriva il peggio: falangi di sorrisi ruvidi, meravigliose promesse di cotone sulla faccia. Dovrebbe piacermi di più di quest'autunno di carta crespa infilato sotto le mie unghia lunghe che tracciano i solchi di rigurgito su questa bavaglia dove si legge“Amore di nonna”.
In questa precisa maniera ringrazio, spalmando me stesso sulla loro sapienza professionale mentre mi sodomizzano i sensi sotto questo felpone che non si apre a questo caldo di questa stanza calda come la Madonna che non mi aiuta mai, neanche a farmi sapere per bene che non sento altro. Solo il mio the fresco dentro una cannuccia, Ne tiro boccate lunghe. Ne tossisco fuori una buona metà.

Halloween Writing Contest - Tema: Polvere

Halloween Writing Contest
Svolgimento

Villa Scabia non faceva bella mostra di sé, seminascosta tra le sterpaglie che l’avevano aggredita. Era disabitata da almeno venti anni.
Il professor Rickett in verità era maestro elementare, lo chiamavano professore i suoi vicini di casa per rispetto e i suoi amici per sfottò. Villa Scabia era appartenuta alla zia di suo padre e adesso era sua. Un’eredità di cui avrebbe fatto a meno, lui, abituato alle comodità cittadine, ma visto che era l’unico erede, alla fine l’idea di possedere una villa con giardino lo aveva solleticato, dopo una risistemazione indispensabile dell’esterno e dell’interno, che non sembravano per niente abitabili.
Entrò dal cancelletto cigolante e si fece strada lungo quello che doveva essere il vialetto d’accesso, prima che i rovi lo invadessero. Il silenzio lo circondava, insieme al grigio sporco di una vegetazione mummificata che a stento riusciva a mantenersi in vita incuneando le radici tra le pietre.
Girò con qualche difficoltà la chiave di ferro pesante nella serratura e aprì in portone d’ingresso. La prima cosa fu un odore fortissimo di muffa, di una casa che non ha preso respiro da decenni, l’istinto fu di aprire le imposte delle finestre per lasciare entrare luce e ossigeno in quegli ambienti.
Il giorno ebbe libero accesso e mise in evidenza il grande salotto in stile liberty con i mobili ancora tutti al loro posto, ricoperti da teli bianchi che ne rivelavano le forme, come se la zia si fosse allontanata da pochi giorni. Un divano a tre posti, due poltrone, un tavolino, e quella che sembrava una grande credenza con lo specchio, le sagome bianche di quella mobilia avevano l’aspetto di fantasmi imbalsamati. Il pavimento della stanza era ricoperto da uno strato soffice uniforme di lanugine, ogni passo produceva uno sbuffo di pulviscolo sottile, ma nessun rumore.

Halloween Writing Contest - Tema: RossOssessione

Halloween Writing Contest
Svolgimento

Marzo.
Ore 6 del mattino.
Stanza in penombra congestionata.
Lei si svegliava, mi guardava con occhi gonfi, e si pizzicava il labbro inferiore coi denti.
A forza di mordicchiare, sulla bocca le si apriva un taglietto colante, e così succhiava, mentre pennellava frasi in color fragola sul muro bianco.
Poi, leccandosi le ferite infiammate del mattino, finiva di gocciolare in bagno.
Tutto sempre uguale. 
Ogni giorno.

D'altronde, non aveva impegni particolari: gracile freak mangiauomini/nullafacente/solitaria, campata da un padre in carriera in qualche Milano del Nord.
Il nostro idillio è iniziato 10 anni fa, quando mi prendeva dalla mensola dello specchio di suo padre insudiciandomi di caldi sudori adolescenziali: sfilacciava per bene la sua frangia gothic-dark con la mia lama incrostata di fluidi e peluria raffermi e inerti su di lei... Lei, feticcio di un'attesa, di ricordi, di mai eseguiti e stra-accarezzati piani B.

La routine è iniziata l'anno scorso, dopo la teoria dei colori caldi di Goethe:
I colori non sono un puro fenomeno fisico, il rosso è PURA ENERGIA POSITIVA,
Evocatore della distruzione, dell'aggressività, 
Sommo rappresentante del sangue, delle passioni, della vita, dell'amore, dell'istinto, del desiderio, bla, bla e bla.
E allora smalto scarlatto a mani e piedi, mogano tra i capelli, versi vermigli tatuati quotidianamente sul muro, lenzuola amaranto; sul comò anelli-collane-bracciali rubino; sul collo henné ramatofloreale, indelebile.


Halloween Writing Contest - Tema: Luna Piena

Halloween Writing Contest 
Svolgimento

Una luna di madreperla, grande come un piatto da portata al centro della tavola del cielo scuro, brilla tremula e silenziosa nella notte: lei la vede nello specchietto retrovisore, mentre torna a casa da una serata votata all'autodistruzione. Non avrebbe voluto litigare – non lo vorrebbe mai, mansueta e buona com'è – ma ci sono giorni, sere, notti, in cui sembra inevitabile. Anche mentre gridava, poche ore prima, sapeva di essere nel torto; lui, che cercava di arginare con parole ragionevoli lo sbocco improvviso della sua rabbia, era rimasto seduto sul divano, con la testa di Argo, il loro cane lupo, appoggiata sulle gambe. Avevano lo sguardo smarrito di quei naviganti che, nella tempesta, pregano che l'albero maestro non ceda sotto le raffiche del vento. Alla fine lei era uscita sbattendo la porta, lasciando quegli occhi tristi dietro di sé. La luna era poco sopra l'orizzonte, piena, gonfia, con il suo sguardo incredulo.


Halloween Writing Contest - Tema: Una notte da cani

Halloween Writing Contest
Svolgimento

Il Cane affilava i suoi denti. La notte prometteva bene. Abbastanza silenziosa, molto fredda, terribilmente nera.
Per il soldato Lo Brusco era l’ultima notte. Almeno, era ciò che sperava con tutto se stesso. Ora stava montando di guardia.
Il freddo gli arrivava alle spalle e sebbene, con il fucile pronto a sparare, dovesse star fermo, si muoveva facendo piccoli passi e saltelli. Si difendeva così dal gelo che gli trapassava i polmoni. 
Cane, in realtà, non affilava i suoi denti, ma tra questi stringeva un coltello. Un Belunga Citadel nuovo di zecca e dunque affilatissimo. Gli era arrivato dalla Cambogia. 
Lo aveva ammirato per due notti di fila scoprendo ogni piccolo dettaglio, l’imperfezione artigianale… gli era piaciuta la lama in stile drop, lucidata a specchio e brut de forge. Era un coltello robusto, con l’impugnatura rivestita in favoloso legno di betulla. 
Di coltelli se ne intendeva parecchio.
Lo aveva baciato, lasciato luccicare al bagliore del fuoco del campo, ci si era specchiato allargando il sorriso, pochi denti color della terra. 
Quei nove centimetri e mezzo di lama erano sufficienti per colpire ed uccidere, il resto del lavoro lo avrebbe fatto con la Griz Saw, la sega da ossa che si era fatto arrivare dall’America. 
Non aveva voluto il fucile, voleva sentire il fiotto caldo dell’avversario, vederlo mentre gli faceva il lago intorno alle scarpe, poi, tornare con le mani sporche di sangue nemico. Avrebbe consegnato al suo capo anche un pezzo dell’uomo da lasciare girare sul fuoco per darlo in pasto agli animali del campo: pecore, asini e galline. Per questo aveva con sé la sega. Non era previsto quest’altro rituale, a lui era stato detto solo di uccidere. Ma per Cane uccidere non era sufficiente. 

Halloween Writing Contest :Tema Apnea

Halloween Writing Contest
Svolgimento


Trattieni il respiro.
Quando comprendi che non hai possibilità di catturare aria nei polmoni, il panico che ti assale possiede un che di disumano. Come un arto meccanico, esso abbranca l'animo fino a stritolarlo in una morsa, schiaccia i fianchi e le tempie, ti permette di percepire chiaramente il pulsare di ogni singolo capillare delle membra, diventi un circuito elettrico di dolore, i cui impulsi sono i conati vita che la pelle a stento riesce a trattenere.
I nervi si trasformano in cavi dell'alta tensione e ti scottano dentro, bollenti.
Trattieni il respiro.
Il panico continua a correre attraverso le tue sinapsi, le contorce nella confusione dei calci che lanci al vuoto, si scatena nelle vene intasandoti i pensieri, bloccando la salivazione e scaldando le budella. È incredibile come, nel silenzio di quell'apnea, la mente acquisisca la forma di un affollato mercato cittadino che moltiplica le voci della tua testa, soverchiando la quiete della tua morte con il baccano di una folla immaginaria. È il soliloquio della pazzia, anticamera di ciò che ti aspetta quando le tue ultime energie saranno sputate fuori da quel cadavere ormai pieno di niente.
La seconda cosa verso cui la tua attenzione si punta è il liquido che circonda le tue carni, come un vestito di due misure più stretto. Scalci e ti dimeni, ma non puoi toglierti di dosso quella fluida stoffa, così aderente. Ogni suono è ovattato, bocca e occhi chiusi ermeticamente come una fortezza sotto assedio. Percepisci la morte che bussa ai tuoi cancelli, desiderosa di inondarti con la sua carica. «Devi resistere» Il sussurro che sovrasta in importanza le altre voci nella tua testa è l'unico suono cui devi prestare attenzione. «Devi resistere», ti dice. Lo ripete, ossessivamente.

Halloween Writing Contest - Tema: Olof non era un buon cristiano già dai tempi del primo liceo

Halloween Writing Contest
Svolgimento


«Olof non era un buon cristiano già dai tempi del primo liceo. Era un ragazzino solitario, vestiva male, parlava poco, era ambiguo. Ogni tanto lo si vedeva in giro con un uomo quindici o vent’anni più grande di lui, alcuni dicevano fosse omosessuale. Io, per mia natura, non credo al pettegolezzo e, mi sembra sia evidente, sono stata più acuta degli altri. Alla luce dei fatti accaduti Olof ha manifestato una ben più grave menomazione psichica – lungi da me considerare l’omosessualità una menomazione psichica, al contrario trovo che i gay siano persone dotate di un’incredibile intelligenza, cosa che Olof ha dimostrato di non possedere, o comunque qui sarebbe opportuno indagare sulla natura del male, che sia ignoranza o perfidia. Una grave menomazione psichica, dicevo, che lo ha portato a fare quel che ha fatto» 
«Io credo che Karin non fosse davvero vergine. Anzi, sono sicuro di aver sentito voci che alludevano ad uno stupro subito in tenera età. Sì, ci si riferiva a lei quel giorno. Poco importa. La verginità che cercavo io non era fisica, piuttosto uno stato mentale»
«Solo ora rimango allibita dall’idea di coinvolgere ed essere coinvolta all’interno del piano visionario di un pazzo. D’altra parte non c’è di che stupirsi: le forze del male, gli spiriti maligni, lo so, possono sedurre anche un’anima candida come la mia, o come quella di Elisabeth»

Halloween Writing Contest - Tema: Lungo il Bayou

Halloween Writing Contest
Svolgimento


Il bayou scorre lento nel pomeriggio afoso della Louisiana, bagna una grande tenuta il cui padrone si è risposato di recente; la prima moglie è morta, ed è stato proprio il bayou a portarsela via. I miei occhi percepiscono un’immagine chiara e nitida, ma quello che la mia mente fatica a comprendere è il punto di osservazione; è del tutto fuori dell’usuale, poi realizzo che sto avendo una visione, è come mi trovassi sul fondo del fiume guardando all’insù: la luce filtra attraverso delle canne, le foglie degli alberi gettano ombra sulla superficie; c’è una donna che spinge la testa di un’altra sott’acqua, tenendole un grosso bastone premuto sulla gola. È la nuova moglie che uccide la prima; in quel momento capisco che la donna vuole eliminare anche la figlia dell’altra. 
Ora sono in una barca ormeggiata lungo lo stesso bayou: è di un mio zio che si chiama Angus ma per tutti è solo “Manibuche”; a bordo c’è anche una mia specie di cugino. C’è ressa sottocoperta, l’agitazione tra l’equipaggio è troppa per far finta di nulla ma mio cugino rimane indolente e scocciato a ciondolare sull’amaca nella sua cabina. Cerco di scoprire che cosa succede, e torno sulla tolda; qualcuno cerca di uccidermi lanciandomi un mocassino acquatico sui piedi. Capisco di avere acquisito un paio di nozioni importanti, decido di trarne vantaggio al fine di cambiare gli eventi perché la conoscenza è potere; non so come accada, però d’improvviso mi ritrovo all’istante prima di incontrare l’equipaggio, con la differenza che so quello che accadrà (o dovrebbe accadere) nuovamente di lì a breve. 

Halloween Writing Contest - Tema: Pendolari

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Svolgimento

Ce l’avevo fatta. Con un salto degno della miglior Sara Simeoni ero riuscita a salire sul treno un attimo prima che le porte automatiche si chiudessero alle mie spalle. Il cuore lo sentivo battere nei piedi, tanto era accelerato. Trovai posto accanto a una giovane mulatta con neonato in braccio. Per fortuna stava dormendo. Il neonato intendo. Un passeggino rollava lievemente sul pavimento della pensilina di accesso. “Perché mai non ha bloccato le ruote!” Ma si sa, le giovani mamme mulatte non hanno molto senso pratico. Neppure quelle europee, se è per questo. La signora ultra ottantenne in fondo al vagone tirò fuori un foglio con strani simboli disegnati sopra. Li vedevo in trasparenza, da dietro, al contrario. Un attimo dopo mi resi conto che erano note e quel foglio uno spartito, perché la signora si mise a cantare. C’è sempre gente strana sul treno delle 15,00. Il ragazzo rumeno prese il cellulare che suonava al massimo volume una canzone rumena e cominciò a sbraitare in rumeno a qualche rumeno dall’altra parte del mondo. “Ma che avrà mai da urlare tanto. E perché gridano sempre questi qua. Sembrano perennemente incazzati col mondo.” Che poi, a pensarci bene, pure in Calabria tutti gridano quando si parlano. Un modo diverso di aggredire l’altro, che se non puoi farlo con le mani lo fai con la voce. Che modo idiota di comunicare. Da sfigati. Da pecore.

Halloween Writing Contest - Tema: L'incubo peggiore

Halloween Writing Contest
Svolgimento

Precipito. Continuo a cadere. Piombo in un vuoto e in un buio. Urlo ma la voce non esce. Non sento più le gambe. So che è un sogno; sì, sto sognando di correre per una strada scura, nera, senza luna. Mi volto indietro perché qualcuno di cui ho molta paura mi sta seguendo, solo che io sono più veloce, lui zoppica. Poi, non so come, inizio a cadere. So che è un sogno e voglio svegliarmi ma non ci riesco. Sento il mio cuore battere forte, le vene pulsare in maniera convulsa. Ho consapevolezza del mio respiro affannoso. 
Finalmente mi sveglio, sgrano gli occhi perché voglio appurare di essere cosciente. Guardo nel buio e non scorgo nulla. Provo a spingere le gambe, ma non rispondono al mio comando di muoversi. Non sono più certo di essere sveglio. 
Richiudo gli occhi e ripiombo nel sogno, solo che questa volta sono dentro ad una casa vecchia, diroccata. Non c’è nessuno, almeno così sembra. C’è buio: il buio mi perseguita. 
La casa è parchettata e ad ogni passo si sente un rumore di tegole arse e smosse. C’è una scala, inizio a salire, faccio attenzione. Sento bisbigliare. Mi ritrovo in un corridoio e da un momento all’altro immagino di vedere il bambino sul triciclo di Shining. Mi avvicino alla stanza da cui sento provenire le voci e da cui promana una fievole luce. La porta è socchiusa. Ho paura ma lo stesso la spingo e intravedo seduta a terra una bambina, di spalle, che gioca con delle bambole tutte decapitate e parla con loro sottovoce.  Poi comincia a canticchiare una cantilena ipnotica. Vorrei toccarla per farla girare verso di me ma ho paura. Voglio svegliarmi. Lo so che è un sogno, ma non ci riesco. Mi ritraggo e faccio per andarmene che la bambina smette di cantilenare e si gira verso di me. Una bellissima fanciulla solo che sono impietrito: si è voltata roteando il collo a trecentosessanta gradi stando ferma con il resto del suo corpo. Provo ad urlare ma la voce non esce. Cammino all’indietro sempre più velocemente.
Precipito di nuovo nel vuoto.
Mi sveglio. Sono nella mia camera. Sento gente attorno a me, ma non vedo nessuno. So che ci sono persone perché percepisco il loro sussurrare e avverto i loro respiri. Ma che sta succedendo?

Halloween Writing Contest - Tema: Guardate bene chi c'è prima di aprire

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Svolgimento

Dietro la soglia della porta aspetto e spio all'occhiello.
Arriveranno  tutti non vedono l'ora che cominci la festa di Halloween.
La festa che faccio ogni anno nel vecchio casale di famiglia, per divertirci, per rivederlo. Mancano due ore precise.
Quando arriva parcheggia sempre la sua auto di fronte al grande albero sotto al quale avrei voluto fare l'amore la prima vola che lo incontrai. Apre lo sportello esce fuori il suo cd dall'autoradio, si guarda intorno con fare preoccupato e goffo, scende dalla macchina che una marmotta uscita dal letargo sarebbe più veloce.
È buio. La luna è a metà. Gli alberi non si muovono. Non c'è vento. 
Bussa piano, una sola volta. Non importa, io so chi è:  è lui.
Lo attendo e lo faccio fuori. Ci penso dallo scorso Halloween.
Apro la porta, mi sorride non faccio in tempo a salutarlo che il suo sangue è sulla mia mano sul suo collo sul mio viso sulla sua testa sui miei capelli sulle sue braccia sulle mie dita sulla sua bocca sulle mie labbra sulle sue gambe sui miei piedi...sulle sue scarpe.
Ferro rosso : sangue che scola ovunque. Non basta.
Comincia a vomitare e la bava gli si colora, gli schizzi cangianti finiscono giù in pezzettini colorati ; lui diventa paonazzo. Mi sorride adesso.

Halloween writing contest - Tema: La sorella del fiume

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Svolgimento


Fa sempre freddo nella contea. Non si tratta di una prerogativa stagionale e nemmeno di una casualità trascurabile, è un fatto puro e semplice; qualcosa che è sempre stato e sempre sarà. Anche quella mattina il gelo puntellava i tetti, penetrava nelle ossa come un mazzo di aghi, si incollava tra la pancia e i polmoni e teneva stretto il respiro.
C’era una ragazzina sul ponte a Sud. Una bambolina bionda con un berretto di pelo e una sciarpa di lana, lo sguardo perso.
C’era un’altra ragazzina sotto il ponte. Un’adolescente intirizzita con lo sguardo selvatico e una folta, bizzarra chioma rosa antico. Il fiume non aveva un nome, eppure la gente lo temeva perché era infuocato e forte. La ragazzina sotto il ponte era la sorella del fiume, anche lei non aveva un nome, anche lei era infuocata e forte; si teneva alla larga dal respiro degli uomini, temeva la gente che teme il fiume.
La ragazzina sopra il ponte non aveva paura del fiume e nemmeno della gente (e nemmeno della ragazzina dai capelli rosa, della quale ignorava l’esistenza); lei non era forte ma non aveva paura, perché nessuno aveva paura di lei.
C’era un gatto nel fiume. Il gatto era piccolo e bianco come la bambina; nemmeno lui aveva paura del fiume, ma stava annegando comunque. Alla sorella del fiume piacevano i gatti.
C’era un gatto sopra il ponte. Ce l’aveva portato un’onda potente, l’aveva salvato per non veder piangere la sorella, perché poi le sue lacrime sarebbero cadute dal cielo e avrebbero fatto piangere anche lui.



Halloween Writing Contest - Tema: Thun in Tutù

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Svolgimento

Da quando Miss Paola le aveva fatto quella promessa aveva perso dodici chili. Aveva rinunciato alla nutella, al kinder pinguì e al ragù della mamma. Quello che per farlo, la domenica, ci impiegava quasi tutta la mattina. Aveva spostato la casa delle bambole da camera sua e aveva lasciato il posto ad un tappetino, sul quale ogni mattina, prima di andare a scuola, faceva gli esercizi che le erano stati assegnati dall'insegnante di danza. Se fosse riuscita a perdere peso, se fosse riuscita a non sembrare un angioletto Thun, pacioccone, simpatico ma piuttosto sgraziato, avrebbe potuto stare in prima fila al saggio di Natale! Thun in tutù, proprio così la chiamavano le sue compagne del corso. Quando era più piccola non ci faceva poi tanto caso, anzi le piacevano tutti quei pizzicotti che amici e parenti amavano darle sulle guance rosee e piene. Ma a sedici anni, e col sogno di danzare sulle punte, quelle manifestazioni d'affetto erano diventate una condanna. Dodici chili aveva perso, e gran parte del suo innato buon umore. Stringendo la cartellina sulla quale aveva annotato il proprio peso per quasi sette mesi, arrivò davanti a Miss Paola trattenendo il respiro. L'insegnante scorse la lista con l'indice e le sorrise. Quella reazione le scaldò il cuore e, mentre si cambiava con le altre, riprese a sperare: era il gran giorno. Miss Paola avrebbe assegnato quella sera l'ordine di palco e i ruoli per il saggio. Ad una ad una, le sue compagne, vennero chiamate e quasi non riusciva a sentire i nomi successivi, per gli schiamazzi di gioia che quelle galline bercianti facevano. Il suo, tuttavia, lo sentì benissimo. In fondo a tutti. Era l'ultimo. Le sarebbe toccato l'ultimo posto nell'ultima fila. Così vicino alle quinte che la mamma e il papà avrebbero dovuto fare miracoli per poterla riprendere con la telecamera. Non disse nulla. Riusciva a pensare solo a tutti i Kinder Pinguì a cui aveva dovuto rinunciare. Quella stessa sera, a casa, passò un'intera mezzora nel capanno degli attrezzi del padre.

mercoledì 30 ottobre 2013

Tema: Uso proprio del sanguinaccio nella dieta vegana dei cannibali della Nuova Zelanda

Svolgimento


La Nuova Zelanda, ridente territorio indimenticato, circondato dal mare e contornato da aspre coste selvagge. Nelle zone interne sono presenti numerosi villaggi sparsi nelle zone più folte della foresta australe, una parte del mondo particolarmente ricca di umidità, con piogge quotidiane che si alternano a ore di caldo torrido e zanzare rombanti che s’inseguono tra il fogliame.
Gli insediamenti indigeni risalgono a molto tempo prima che la Nuova Zelanda fosse abitata, sono stati ritrovati dei sassi incisi che raffigurano scene naturalistiche preistoriche in cui non è mai presente la figura umana, ma soltanto kiwi. In un periodo successivo i neozelandesi fondarono villaggi con capanne stabili, dotate di confort che a quei tempi gli uomini neanche se li sognavano, tipo il letto di paglia, l’armadio di legno, il bagno fittile. Campagne di scavi recenti hanno portato alla luce resti di cucine in muratura, con piani di cottura e forno a incasso, ma si ritiene appartengano a fasi successive di urbanizzazione.
Gli indigeni in Nuova Zelanda sono onnivori, alcune tribù preferiscono la carne, altre i vegetali. Tra kiwi e kiwi si è generata una certa confusione, spesso un vegetariano pensa di mangiare un kiwi e invece sta mangiando un kiwi, per cui il confine tra vegetariani e carnivori si è sempre più assottigliato fino quasi a scomparire.
In questo clima di incertezza si è generato l’unico gruppo cannibale neozelandese conosciuto, i cui componenti tormentati dal dubbio gastronomico costante, sono diventati vegani e mangiano esclusivamente kiwi.
L’allevamento del kiwi della Nuova Zelanda è conosciuto sin da quando i primi esploratori sbarcarono sulle coste asprigne intorno ad Auckland. 
A quei tempi la città non esisteva ancora, ma soltanto un villaggio di allevatori di kiwi che si arrovellavano, questo gli esploratori lo capirono solo dopo aver imparato la loro lingua, si chiedevano cosa fosse meglio abbinare al kiwi come contorno. 
C’erano due scuole di pensiero, una sosteneva che la morte del kiwi è a forno con le patate selvatiche, l’altra era convinta che non c’era contorno migliore delle coste asprigne, un vegetale che cresceva intorno a Auckland.

martedì 29 ottobre 2013

Tema: Una vittoria importante

Svolgimento

Godeva ancora dell’exploit. Avevano poco da agitarsi le due bambole sul palco. Lei aveva vinto la gara e i fotografi si accalcavano per catturare il suo viso perfetto, immortalare il suo fisico da urlo. 
Avrebbe fatto bere cianuro assieme allo champagne alle due zoccole che si erano permesse di mettere in dubbio la regolarità della sua partecipazione al concorso. 
Si erano già rivolte alla giuria, ma per fortuna, quella, non aveva badato loro. D’altronde la sua bellezza era sotto gli occhi di tutti. Come affermare che non era idonea? Con quali prove? Erano tutte congetture inutili. Anzi invidia bella e buona.
L’idea di fare bere qualche sorso di cianuro alle sue accusatrici durante i festeggiamenti cominciò a stuzzicarlo. 
Carlo aveva sofferto per anni. Mille interventi, mille umiliazioni, mille notti passate in bianco o in lacrime oppure solo come un cane. Tacciato dai soliti benpensanti, dai soliti cretini, dai soliti omofobi. 
Adesso cominciava a chiedersi, vista la pubblicità fatta in Tv, se al cianuro fosse preferibile l’acido muriatico. 
Al momento era di moda. Amanti traditi, mariti abbandonati, gente incazzata per vari motivi ricorreva all’acido. Con grande clamore e attenzione da parte dei media.
Certo mollare i fotografi per andare alla ricerca dell’acido era un tantino complicato, ma più sorrideva più l’idea trovava motivo per innestarsi nella sua mente. 
Le due donnine confabulavano ancora, erano già state messe da parte e, tranne qualche amico, non le cagava nessuno.
Ma le loro facce non erano rassicuranti.
L’annuncio del presentatore decretò la fine della trasmissione.

lunedì 28 ottobre 2013

Tema: L'obbedienza

Svolgimento

Aveva deciso di entrare in convento che non aveva neanche diciannove anni. Raccolse tutto il coraggio e comunicò la decisione ai suoi; la madre si fece venire uno svenimento mentre il padre arrabbiato disse: - Se  fai questo passo ti diseredo e lo stesso giorno in cui tu prenderai i voti, io farò affiggere sui muri del paese le cartelle da lutto dove ci sarà scritto: “Oggi è morta Diletta, unica figlia di Caputo Beniamino e della sua consorte Rosa Maria che ne danno il triste annuncio.” Diletta cominciò a piangere e corse in camera sua dove giaceva sul letto, ancora aperta, da completare, l’unica valigia che aveva deciso di portare con sé, in cui  avrebbe messo quelle poche cose di cui  di solito dispongono le ragazze che entrano in convento. Diletta si era innamorata di certe suore che nell’ estate di qualche anno prima erano venute nel suo paese a fare un po’ di apostolato: cantavano, suonavano la chitarra, organizzavano giochi e momenti di preghiera e riuscivano a circondarsi di ragazzini, molti ragazzini, specialmente quelli cresciuti per strada. Lei si imbatté in loro per caso e da quel momento non le mollò più. Dopo che finì la stagione estiva, Diletta, oltre a studiare per diplomarsi, iniziò un’amicizia epistolare con la superiora che a poco a poco la convertì totalmente alla loro causa.
Santa causa, per carità, ma vien da chiedersi: quanto c’era di Diletta in quella scelta?
Dopo la lite furibonda con i suoi, di notte, lasciò la casa paterna e fuggì per entrare in convento.. Che tristezza andare via così! Se fosse fuggita con un ragazzo ci sarebbero state le sue braccia e il suo corpo a darle conforto, un amore e una passione comune,  ma in questo caso doveva accontentarsi dell’idea dell’amore di Dio.
Arrivò che era notte fonda, i due amici con i quali era giunta, la consegnarono ad una suora portinaia, che era chiaro, volentieri sarebbe rimasta a letto, ma mai avrebbe potuto disobbedire ad un ordine della superiora: con il voto dell’obbedienza come l’avrebbe messa? Iniziò così la sua vita monacale. Bisognava seguire certi ritmi: studiare, pregare; studiare, pregare,  lavorare; studiare, pregare, lavorare, aiutare le suore anziane; studiare, pregare … Passava il tempo ed ella si convinceva sempre di più che quella era proprio la vita adatta a lei. Finì il primo anno come aspirante, poi gli altri due come postulante e infine l’ultimo come novizia.
Era un modello per tutte.

sabato 26 ottobre 2013

Sez. Le torte di Ninà - Tema: La torta di mele

Sez. Dagli Archivi della Maestra
Svolgimento


Domani viene mammina da noi, non mi ha chiesto altro, mi ha detto Giacomo, chiedi a Paola di farmi la sua deliziosa torta di mele.
Torta di mele, quella deliziosa.
Paola non fa eccezione al luogo comune che vuole nuore e suocere odiarsi cordialmente, spot della candeggina incluso, spot della carne simmenthal idem. E se Paola sbuffa quando Giacomino annuncia la visita, la suocera, la signora Maria (così la chiama Paola) prima va dal parrucchiere, si acconcia con odiosissime onde azzurrognole, prende la camicia bianca di merletto e si profuma con mezza bottiglia di Air du Temps, di Nina Ricci, un profumo antichissimo, da cavernicola – dice Paola storcendo il naso.. non lo sopporta, tant’è che la suocera entra in casa e Paola apre finestre per far circolare aria.  La signora Maria già sa che Paola la farà crepare di freddo e allora indossa la maglia di lana sotto la camicia e previene la botta di freddo con una tachipirina. 
Diamoci alla cucina, Paola deve preparare la torta di mele, la torta per la signora Maria. Solo per lei. Deve essere deliziosa.


venerdì 25 ottobre 2013

Tema: La Boy Band

Svolgimento

Francesco ha sedici anni e un sogno: formare una boy band. È stanco di andare a scuola, che non gli ha mai insegnato niente di utile, tanto più che da un po’ si addormenta sul banco perché la notte prima ha scaricato frutta al mercato di Ballarò. Basta anche con arance, mele e zucchine: farà un sacco di soldi e regalerà una nuova casa a sua mamma, che rischia lo sfratto. Suo padre li ha abbandonati quando lui era piccolo, ma questa cosa da un po’ ha smesso di rattristarlo e gli ha dato un motivo in più per perseverare nel suo progetto: traumi, difficoltà e disgrazie familiari sono valore aggiunto ai membri di una boy band, fanno presa sulla sensibilità di tutto il pubblico, anche di quello non composto da ragazzine fra gli undici e i sedici anni. Come potete notare, Francesco non si fa illusioni, non vorrebbe tutto questo per perseguire un sogno musicale, ha semplicemente studiato le caratteristiche che garantiscono a un gruppo di ragazzi tra i sedici e i vent’anni di sfondare. 

Fondamentale è trovare i compagni adatti. Il numero di componenti di una boy band oscilla fra il quattro e il cinque e ognuno di loro corrisponde a un ruolo:
- C’è il biondino slavato con gli occhi azzurri, che quasi le ragazze si vergognano a fare fantasie sessuali su di lui. Di solito fa i falsetti. 
- Il tipo con la voce classica: magari ha anche studiato canto e ha una bella estensione vocale, ma niente fuori dall’ordinario.
- Il nero o comunque l’elemento etnico del gruppo. Solitamente ha uno stile un po’ r’n’b e la voce calda, e, dove presenti, esegue le parti rappate delle canzoni. Il più macho di tutti.
- Quello con la voce rauca o graffiante.
- Il quinto, che non si sa che voce abbia perché nessuno l’ha mai sentito cantare, è lì solo per ornamento. Leggenda narra che non apra bocca nemmeno durante i cori. 

giovedì 24 ottobre 2013

Tema : Evelina e le fate di Simona Baldelli Ed. Giunti

Sez : Gli amici della Maestra
Svolgimento



Evelina cercava la pace e il silenzio.
Per quello si svegliava prima di tutti. Prima del padre che andava presto nei campi, prima della madre e della nonna che facevano le faccende, prima dei fratelli più grandi che andavano a scuola e di quelli più piccoli che invece dormivano fino a tardi.
Certe mattine si svegliava persino prima del gallo.
Le piaceva stare un po’ alla finestra della camera e guardare Candelara.
Quella mattina si vedevano solo i rami nudi del noce che spuntavano appena in mezzo al bianco. La neve era arrivata già da un po’ ma quella notte doveva averne fatta così tanta che Cristo non ne poteva mandare giù più.
C’era una nuova candelora di ghiaccio che scendeva dalle tegole. Evelina seguì i saltelli di un pettirosso che cercava da beccare. Attaccò la faccia al vetro e guardò a sinistra, oltre gli olmi del viale che portava verso casa. La punta del campanile della Pieve di Santo Stefano e, in cima, la croce scura, sembravano anime sperdute in quella montagna di lana bianca.
La neve aveva coperto le case, i pollai, gran parte della chiesa, il sagrato con le belle pietre chiare, dello stesso colore delle mura che iniziavano poco più avanti e circondavano il paese come una collana. Il casolare dove Evelina viveva con la famiglia stava appena fuori da quel cerchio e se certe volte si dispiaceva che casa sua, la casa dei Badioli e le poche altre cascine lì attorno, fossero rimaste fuori da quell’abbraccio di pietra, altre volte era contenta di stare nella parte più alta, vicino alla Pieve con la campana che ti faceva capire sempre l’ora, e che era la cosa più bella di tutta Candelara insieme al castello che stava giù nel borgo.
Quella mattina le case verso il paese erano sparite nel bianco.
Poi, in un punto a metà dello stradone, le sembrò che la neve si muovesse.
Evelina si sfregò gli occhi per togliere la biccica, ma non servì a niente, il biancore continuava a gonfiarsi. Andò al catino, ruppe lo strato di ghiaccio che copriva l’acqua e vi immerse la faccia. Il gelo le entrò nella carne e le mozzò il respiro. 
Si tirò su con le orecchie che fischiavano, ma fu sicura di sentire delle grida venire da fuori, e dicevano Evelina, Evelina. Aprì piano la finestra per non svegliare le sorelle e cacciò fuori la testa.


mercoledì 23 ottobre 2013

Tema: Qualcosa di travolgente

Svolgimento


Quando ti lasci hai voglia di parlare. Non importa chi ha lasciato chi. In un caso o nell’altro, per motivi differenti, quando ti lasci senti di dover tirare fuori tutto quanto con chiunque, compulsivamente.
Deve essere una sorta di dispositivo liberatorio, catartico, però di tipo primitivo, biologico, inscritto in qualche breve sequenza di geni occultata tra quelli primordiali della sessualità e quelli dei meccanismi di attacco e fuga.
Perché quando ti lasci la narrazione della tua storia serve, innanzi tutto per mettere bene in ordine le cose nel loro dispiegarsi logico e cronologico, per sottolineare punti e capoversi, parentesi e corsivi. Per cercare, in mezzo a tutta quella ortografia fitta, gli errori, le sgrammaticature e i dialoghi lasciati a metà,  i prodromi della fine.
Serve a buttare cose, nascoste in fondo all’armadio della tua memoria, cose  che non toccavi da stagioni, che non ricordavi neanche di avere, e a fare spazio, pulizia. Arieggiare.
Serve a controllare la tenuta dei punti di sutura delle ferite, e la loro estetica. Controllare se c’è pus e, nel caso, spremere senza pietà. A volte gli schizzi possono finire accidentalmente su una faccia semisconosciuta.
E allora può capitare che racconti per filo e per segno tutti ma proprio tutti i dettagli della tua storia sbagliata e bastarda a qualcuno che ti ascolta perché, parallelamente, sta vivendo o sta finendo anche lei una storia sbagliata e bastarda e perciò ti ascolta, sì, ma anche racconta, dice e sente, creando un intreccio virtuoso di ma sì!, ma dai!, anche tu?, anche io!, anche voi? anche noi!,  che nella penombra del crepuscolo somiglia moltissimo a un frutto dolce ed esotico, a quella rara avis che è una vera amicizia.

martedì 22 ottobre 2013

Tema: Il pallino

Svolgimento


L'informatica e io. Non potrei definirlo amore a prima vista ma necessaria conoscenza. Apprezzo il vantaggio di potere mandare mail in diretta dall'altra parte del mondo, di frugare tra tutte le cose che non so e che vorrei sapere. Entro su Internet e vedo il mondo, posso cercare tutto quello che voglio conoscere e lui mi risponde. Un muto e tranquillo amico conoscitore completo a 360 gradi, sempre disponibile.
Ma quando entro su Facebook lì vedo: te e te e te.
Posso chattare con la mia vicina di casa che potrei aprire la porta suonare il campanello ma non sarebbe la stessa cosa.
Posso trovare te compagno di scuola che non ti vedo da vent'anni che mi stavi sul cazzo ma qui adesso posso dirti che ti voglio bene.
Posso dirti amica cara che sono bionda che ho perso venti chili e che il mio uomo mi ricopre di mille attenzioni.
Posso dirti che sono felice mentre mi soffio il naso e ho gli occhi rossi che abito in una mega villa mentre ti scrivo da un monolocale che Silvio Pellico riconoscerebbe.
E poi ci sta il pallino che è una droga... ho bisogno di lui, ho bisogno di te, di tenerezza, delle tue coccole e ho bisogno del tuo pallino.
Prima della rivoluzione telematica  si diceva ha  il pallino per l'antiquariato, per il modellismo, per la pesca.
Io ho il pallino per le scarpe e le borse, ma il pallino mio preferito è quello verde che  ricorda il colore del semaforo quando puoi passare.
Sto parlando di quel punto piccolo di colore verde, quello vicino alla foto della tua amica o del tuo amico. Accendi il pc, ti colleghi su facebook e entri in chat e cerchi il pallino.
Vicino ai nomi di alcuni dei tuoi amici feisbucchiani ci sta un pallino verde. Non tutti i pallini sono uguali; di alcuni se ci stanno o non ci stanno non te ne frega niente, altri pallini sono importanti e poi ci sta lui, il tuo pallino preferito. Quando c'è il puntino verde  sta a significare che la persona è on line, nel caso di sua assenza che non ci sta.

domenica 20 ottobre 2013

Tema: Nonnina adorata

Svolgimento


Cristo Santo, già sta qui!...sento la sua fastidiosissima vocina melodiosa che mi chiama in fondo dal corridoio, porca di quella schifosa porca. Io che mi stavo godendo nello splendore dei 52 pollici in hd “L’Esorcista III”. “Nonninaaaaaaa….sono arrivataaaaaa” Ti venisse un colpo adorata nipotina. Mai che sgarasse un giorno porca troia. Sempre qui tra i coglioni. E non fare questo. Non mangiare quello. Non stancarti. Non alzarti. Hai fatto la cacca? Hai fatto la piscia?...ma porca schifosa ma perché non ti fai sbattere dai tuoi coetanei allupati o dal prete della parrocchia? Io alla tua età me ne facevo minimo tre al giorno tra una ave maria ed un pater noster. “Cappuccetto adorato sei già qui?” fingo da secoli. Devo per forza calarmi nella parte della nonnina affettuosa. Che palle. ”Dimmi amore mio cosa mi hai portato di buono nel tuo bel cestino?...mmmhhh ma che bel profumino” di merda vorrei dire, mi trattengo mordendomi la lingua. “Nonnina bella, un bel brodino leggero leggero e un bel passato di verdurine fresche fresche”…”mmmmh ma che delizia nipotina mia” sapessi cosa mi sciacquerei con quel brodino rompicoglioni di un cappuccetto.

venerdì 18 ottobre 2013

Tema: Giusy Ferreri, seconda classificata a X Factor 2008

Sez. Il Secondo Posto
Svolgimento

Ma quant’ è simpatico quello con i capelli ricci!, come si chiama? e che nome ha il suo gruppo?, chiede mia madre a mia sorella.
Ma che ne so. (A lei piace Giusy Ferreri, gli altri cantanti potrebbero morire). Ma’, è una band!
Ah, e come si chiama la sua band?
Aram Quartet, e ora stai zitta che non mi fai capire niente.
Mia madre, con i grembiule e lo strofinaccio ancora in mano, che stava finendo di pulire la cucina, scivolò pian piano dal bracciolo sul divano accanto a quell’ arpia di mia sorella che, con un occhio ad X Factor e un altro al portatile, smanettava su Google per trovare la traduzione di una versione di latino che la prof voleva per l’indomani.
Mamma, ma che fai?, ti sposti per favore che mi fai cadere i fogli!
Ma dico io, se devi studiare perché non te ne vai in camera tua e mi lasci vedere il programma in santa pace.
Ma non devi finire la cucina?
Se parli ancora la finisci tu la cucina e in più te ne vai nella tua stanza a studiare come si deve, no che prendete in giro i professori!
Mia sorella, incazzatissima, si alzò dal divano, prese fogli e portatile e sbatté il tutto sul tavolo da cucina. Intanto ad X Factor c’era un gran movimento tra i giudici: Morgan ringhiava contro la Ventura, la Ventura starnazzava, la Maionchi tra un Blurp e un altro (e totalmente per i casi suoi), ribadiva la solita frase: siete bravi ma per me è NO.

giovedì 17 ottobre 2013

Tema: Venga pure la fine, di Roberto Riccardi edizioni e/o

Sez. Gli amici della Maestra
Svolgimento


1.

Bosnia Erzegovina, 1995

Rumori, dal fitto della boscaglia. Samira volge di scatto gli occhi al suo compagno, nel suo sguardo c’è una richiesta di aiuto. Lei e Sefer sono le staffette avanzate della banda di irregolari che ha osato sfidare il temibile esercito serbo. Una follia, l’aveva detto dal primo momento. Trenta soldati improvvisati, male armati, contro un intero reggimento attestato a difesa. Un attacco suicida. Li hanno fatti a pezzi, sono rimasti in sette. Due di loro sono feriti, Ismet non arriverà alla notte. La sera allunga la sua ombra nel cielo e col buio aumenterà la paura. Quella che già adesso le attanaglia la gola. 
Samira sente il pericolo nel fruscio sottile delle foglie. Sarebbe bello che a muoverle fosse il vento del Nord, anche se tante volte lo ha maledetto, quando all’alba usciva di casa e la sua sferza impetuosa le gelava il sangue. Sarebbe bello se tornasse quel tempo, quando la vita era lavoro duro, la mattina a scuola e il pomeriggio ad aiutare la mamma nelle faccende di casa. 
Ma Samira una casa non ce l’ha più. L’ha barattata con un fucile e due scarponi incrostati di fango, per un uomo che l’ha trascinata in una lotta disperata, a perseguire un obiettivo privo di senso. Non ci saranno vincitori, alla fine di quel dolore avranno perso tutti. I pochi che scamperanno alla mitraglia, ai cecchini, alle mine disseminate nei campi, riceveranno in premio un paese dilaniato, dove nulla sarà più come prima. Croati, serbi, bosniaci musulmani, quando il massacro si sarà fermato resteranno nemici. La guerra non finirà nei pensieri della gente, nelle anime ferite. Prima erano tutti mescolati: in seno ai villaggi, alle famiglie formate senza badare troppo alle origini. Era il komšiluk, il codice non scritto della reciproca tolleranza. Dopo, sarà tutto un guardarsi con rancore. «Il tuo esercito bastardo ha ucciso mia madre». «Brutta puttana, cosa vuoi? Sono stati i tuoi a incominciare». Saranno questi i discorsi fra chi si era giurato eterno amore, se qualcuno avrà ancora voglia di parlare. 

Ma Samira non vedrà tutto questo, perché nel bosco avanza la milizia del colonnello Dragojevic, il macellaio venuto da Gračanica. L’uomo che conduce la pulizia etnica in quell’angolo di Bosnia. Non avrebbero dovuto affrontarlo, sono condannati, nessuno di loro sfuggirà a quegli uomini addestrati a scovare i nemici nel cuore della foresta. Li sente più vicini, adesso, tanto da fiutarne l’odore. Per Sefer è lo stesso, glielo legge negli occhi. 
«Cosa facciamo?» chiede.

«Non parlare, potrebbero sentirci». 
Il suo compagno ha ragione. Hanno bisbigliato, ma nel silenzio di un bosco fa rumore anche il respiro. Samira però non sa tacere. 
«Non vedo più gli altri. Forse dovremmo…».
«Tornare indietro? Fallo tu se vuoi. Io non muovo più un passo».

mercoledì 16 ottobre 2013

Tema: Gita a Tindari


Svolgimento

Procedo dal mare azzurrino bistrato di viola che incontra tratti ancora più chiari e in fondo incontro l'indaco di Capo Milazzo.
Allungato come un rettile, interrotto dall'alternarsi delle ciminiere non ha niente a che spartire con Marinello, i laghi affioranti sulla striscia di sabbia sottratta al mare per miracolo.
Un miracolo voluto nelle atmosfere celesti tra schiere di angeli e cherubini, intorno al trono della Vergine.
I cherubini li immagino veloci e impressionanti come i cavalli alati dell'Orlando Furioso e accoglienti di tante ali a sorreggere i salvati. Forse così salvò l'infante.

Sfuggì alla madre. Salì la pellegrina al monte carico di limpido cielo, sulle pietre antiche affioranti posava il passo. Aveva il cuore gonfio e il grembiale carico di offerte, ceri e fiori. E frutta da mangiare dopo la visita al santuario della Vergine Nera.
Poco distante riposavano i fasti e le grida di attori, rimosse le maschere che ne avevano amplificato le voci.
Aleggiavano ancora i canti e i fumi di fuochi sacri, dionisiache, preghiere propiziatorie agli dei di eventi favorevoli, lì, nella città greca antica, poco distante.
Nell'aria carica di tanta umanità, l'immondo si fondeva al virtuoso, il piagato risanava al cospetto del Volto Santo, la Vergine Nera dal volto d'ebano che riluce sopra la tunica bianca ricoperta di stelle. L'officiante esalava tra l'incenso salmodie incomprensibili, ma la speme e l'ardore popolare sovrastava il salmodiare del prete.
La folla cominciò ad accalcarsi numerosa davanti alla Chiesa incapace a contenerla, ondeggiava in ceri accesi, ginocchia striscianti in gramaglie vedovili, medaglie d'osso e anelli al dito con impresse i darroghiti dei defunti. Ma anche in gonne gonfie sotto i corpetti, camicie a quadri e facce annerite dal sole tra rughe bianchissime e cesti, portati sulle teste, sopra la truscia arrotolata. Celano sotto il panno che li copre pane nero, ricotte, quel che serve per il dopo, quando inizierà la festa, la danza che scioglierà il popolo e lo riporterà verso il peccato e la promiscuità.
L'ardore e la speme di queste donne trasuda nei sentori che si mescolano e accumulano man mano che si ingrossa la massa umana, piangono in silenzio, ognuno il proprio personale dolore, bisogno, angustia, si stracciano le vesti al tuo cospetto, disperate.
La faccia d'ebano impassibile sfiora gli sguardi imploranti, mostrando il Figlio al Mondo.
La gente si agita in un moto d'onda e poi un grido.

martedì 15 ottobre 2013

Tema: Palermo Fantasy (Santa Rosalia e i suoi parcheggiatori VS il male)

Svolgimento

Secondo una recente teoria straniera, le auto a Palermo sono tutte in cattivo stato, hanno i parafanghi caduti, hanno la vernice scolorita, gli sportelli tamponati, i fari mai del tutto funzionanti. Naturalmente, ci si chiede se sia il guidatore a crear tali danni o qualche altra motivazione si nasconda ed è importante cercare di spiegare il problema perché non si può rimanere indifferenti. Una tipica scena prevede una persona al volante, che sia una donna o un uomo non cambia nulla, il risultato è lo stesso. Il guidatore è alla ricerca di un posteggio e, trovato incredibilmente un buco dove lasciare l’auto, viene raggiunto in un battibaleno da un aiutante, una specie di guida post-patente, il parcheggiatore, che può essere straniero o indigeno: in genere, degli stranieri a Palermo ci si fida di più che degli indigeni, anche se non manca di trovare il forestiero che ha imparato a parlare il siciliano, ad usare i modi burberi e la faccia corrucciata per ovviare alla maleducata indifferenza e presunzione dei nuovi concittadini.
Si diceva, nonostante l’impegno profuso dall’Aiutante Parcheggiatore, che ricordiamo è stato offerto gentilmente dal fondo cassa del Comune, affinché il guidatore possa portare a termine la sua prova parcheggio, i “piloti” – molti palermitani hanno acquisito questa onorificenza per tutta la fortuna che gli è stata data nelle rischiosissime corse a rischio  di morte –  non sono degli esseri perfetti e di conseguenza cadono negli errori più semplici: accade che urtino in ripetizione e in maniera più o meno violenta sulle altre auto parcheggiate; essi, col cuore fra le mani e il dolore incommensurabile per aver sfregiato la cosa altrui, iniziano a ripetere che è stata una svista e che staranno più attenti. 
Nonostante tutto, il parcheggiatore, affannato per l’impegno e alla costante ricerca di altre anime da guidare, riceve il suo giusto compenso e con un sorriso ti ringrazia. Ma può succedere che il palermitano non sia d’accordo e nella sua mitologica fiducia nelle proprie capacità, trovi le motivazioni per farcela da solo, schivando (e schifando) in ogni modo l’operato degli “angeli delle strisce blu”.
Questi ultimi sono disposti a farsi centinaia di metri per soccorrere un’auto in difficoltà e riuscirebbero a trovare una sosta a qualsiasi auto anche in capo al mondo, solo per permettere al cittadino di svolgere al meglio la sua esistenza.
Molto spesso accade, invece, che individui senza dignità non abbiano alcun riguardo verso questi angeli e per questo incappano nella cattiva sorte, dettata da Santa Rosalia, che oltre che glorificare la città, può se vuole, punirla delicatamente – i palermitani devono imparare in qualche modo –  attraverso i suoi parcheggiatori: essi possono scegliere di manomettere le ruote, infilando i chiodi sulla gomma o possono al limite disegnare lunghe righe sulla carrozzeria.
È stato rilevato da studi molto complessi che, unendo tutte le strisce che sono state rinvenute sulle auto nostrane, si possa dar vita a una immensa scritta che potrebbe ricoprire Monte Pellegrino, assolutamente di grande impatto: W Santa Rosalia!

lunedì 14 ottobre 2013

Tema: Buzz Aldrin, secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare

Sez. Secondo posto
Svolgimento


“Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”.

Era il 20 Luglio 1969 e questa frase riecheggiò in ogni angolo del mondo.
Gentile e educato lo era stato sempre. Aveva anche un certo successo con le donne. Forse la sua faccia acqua e sapone, la divisa che indossava lo aiutavano. 
Faceva l’aviatore. Voleva diventare famoso.
Quando seppe che reclutavano astronauti non si tirò certo indietro e così dopo anni di studio e dopo essersi sottoposto alle più svariate prove fisiche in cui fu sparato, catapultato, mezzo annegato, centrifugato, diventò il pilota del LEM, il modulo lunare dell’Apollo 11, la prima missione spaziale che avrebbe portato l’uomo sulla luna.

Ed eccolo uscire dall’ hospitality con gli altri due membri dell’equipaggio. La folla in delirio e i giornalisti accreditati da tutto il mondo si accalcano per strappare le ultime dichiarazioni, ma il cordone della sicurezza è imponente. Adesso non possono parlare, sfilano nelle loro tute un po’ impacciati tenendo il casco sotto un braccio e distribuiscono saluti che sanno di benedizioni con la mano libera.
Con la bandiera a stelle e strisce e la scritta pilota ben cucita sul petto percorre fiero il tragitto che lo condurrà al piccolo ascensore con il quale raggiungerà l’abitacolo del razzo. Lui lo sa che sarà grazie alla sua abilità se si sbarcherà sulla luna. Del resto uno deve solo raccogliere pietre, l’altro non scenderà nemmeno. Sfigato, tanti chilometri per restarsene nella navicella. 
Questi pensieri azzerano la paura che andare verso l’ignoto, o l’incertezza di non fare più ritorno, avrebbe generato in tutti. Pagine e pagine saranno scritte, le TV di tutto il mondo faranno a gara per averlo come ospite. Sembra un Cristo Pantocratore, continua a benedire e sorridere.
Uno di loro affretta il passo e si china verso il collega che è avanti. Io vorrei stare vicino al finestrino, pare abbia sussurrato, mi piace vedere i paesaggi quando viaggio, e poi sono un po’ claustrofobico.
Poco male, in caso di guasto sarebbe stato il primo ad essere sbalzato fuori o il primo ad essere rapito dagli alieni. Gli altri avrebbero avuto il tempo di aggrapparsi a qualcosa e richiudere, e pace all’anima sua.
Ci vollero quattro giorni di viaggio.
Sulla Terra tutti davanti ai teleschermi. Qualcuno si ritrova a casa di parenti o amici. Nessuno vuole perdersi l’evento.
“Ha toccato. Ha toccato!” così Tito Stagno fa sussultare gli italiani.
E’ già notte, infatti, in Italia e un breve battibecco col collega Orlando in collegamento dagli U.S.A. che lo smentisce serve a svegliare chi si è un po’ assopito. Anticipa il reale allunaggio di circa un minuto, male interpretando una frase pronunciata proprio dal pilota che comunicava l’ingresso in orbita e il corretto allineamento.
A questo punto silenzio. Occhi sgranati su immagini sbiadite in bianco e nero. I retrorazzi del LEM alzano un gran polverone e piano lo fanno planare fino ad appoggiarsi al suolo. Nessuno fiata. Sulla scaletta un astronauta scende giù.
Ultimo gradino, un passettino e….un’orma, la prima!