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mercoledì 22 gennaio 2014

Tema: In viaggio con Sihaahm

Svolgimento



GAZA - La durissima offensiva israeliana contro Hamas è arrivata dal cielo: una serie di raid aerei lanciati dalla mattina hanno colpito il porto, le caserme di polizia e le sedi della sicurezza a Gaza. Poi l'attacco è proseguito in altre zone della Striscia. Obiettivi distrutti, ma il bilancio è gravissimo: fonti mediche parlano di 225 morti e 400 feriti, tra i quali anche donne e bambini.

Corriere della sera - esteri 27/12/2008

L’ho vista, aiutami a spostare la trave Giù, è qui ti dico: è viva. deve essere viva! dopo due giorni dai raid aerei, Federico tentava di trovare ancora Sihaahm: non riusciva a smettere di cercarla non sentiva lo stimolo della fame della sete del sonno, perfino la pipì non era riuscito a fare durante la ricerca della bambina, di Sihaahm che da quando era arrivato alla Striscia lo andava a trovare quasi tutti i giorni in caserma e gli portava i fiori che raccoglieva ai bordi della strada, talvolta erano semplicemente ciuffi d’erba: era certo che fosse viva. finalmente sentì qualcosa, un lamento. fulmineo si spostò sul luogo dove pensava di aver udito il gemito e cominciò a scavare a mani nude e con tutta la forza che aveva ancora in corpo. il suo compagno d’azione ed amico non lo mollò un attimo: sterrarono insieme fin tanto che riuscirono a trarla fuori dalle macerie.
Federico l’abbracciò, la strinse forte e iniziò a sorridere tra i singhiozzi: Sihaahm era viva! aveva la testa piena di sangue raggrumato, aveva una gamba rotta che penzolava in maniera scomposta,  ma era viva. cominciò a correre velocemente verso l’ospedale di campo e durante il tragitto, a piedi prima, in jeep poi con Giulio, tra le lacrime e la paura di perderla sussurrava “aiutooo, aiutami ti prego, non deve morire”. la guardava l’accarezzava la stringeva e piangeva di contentezza perché la sentiva respirare stretta al suo corpo di soldato: era viva. In ospedale la soccorsero subito, dopo essersi accertati delle sue condizioni, la prepararono per operarla alla testa e alla gamba. 

martedì 19 novembre 2013

Tema: color cammello

Svolgimento

Ero convinta che in qualche modo fosse stabilito che abitassi in quella casa. Qualcuno aveva scorso con un dito una lista che aveva davanti, si trattava di un militare di qualche corpo che non riuscivo a distinguere, un graduato ben piantato sulle gambe, non troppo alto, che aveva detto tu, a te è stato assegnato questo posto, sei di stanza qua, stacci fino a nuovo ordine, e io mi ero staccata dalla fila, e il militare, senza nemmeno darmi un’occhiata o rivolgermi un saluto mentre andavo via, aveva proseguito con le assegnazioni. Perché poi ci tenevo che mi salutasse? Non avrei saputo dirlo. In ogni caso fino a nuovo ordine potevo stare tranquilla.
Intanto una squadra di reclute si andava a piazzare nel seminterrato del palazzo. Ce n’era sempre una, di squadre. Facevano i turni per controllare la caldaia e l’ascensore. Erano giovani e ancora spaesati, e quel posto così protetto rendeva possibile un addestramento di intensità media, non eccessivamente stressante, preparatorio ai compiti che sarebbero stati loro assegnati in seguito, di gran lunga più impegnativi. Almeno, quella era la linea di quel comandante. Fuori, poi, ad ogni ora del giorno e della notte c’erano un paio di militari di guardia al palazzo. 
Il graduato restò in casa mia, da qualche parte. Lavorava prevalentemente seduto a una scrivania dal piano di vetro verde e due file di cassetti che facevano da sostegno, e si serviva di un grosso telefono nero di bachelite con il filo imporrito e i cavi rossi e bianchi che entravano nella cornetta scoperti, che squillava molto spesso, soprattutto di notte, facendomi girare nel sonno, se non svegliandomi, benchè lui avesse sempre la delicatezza, a una cert’ora, di abbassare il volume della suoneria facendo girare una rotellina sotto il telefono, nel basamento avvitato al corpo del telefono con quattro grosse viti a stella. Sentivo la sua voce bassa ma decisa formulare una dopo l’altra frasi che non riuscivo a decifrare, e che restavano come sospese nell’aria, di notte, nel corridoio della mia casa avvolto nel buio. Dalla porta socchiusa filtrava solo la luce fioca della sua lampada da tavolo, verde anch’essa, a campana. Io non ero del tutto insensibile a quel tono di voce, anche se mi sforzavo. Ma stando nel letto mi arrivava nella forma classica di una mano che mi scorresse lungo il corpo, che aveva nella realtà l’intenzione di conciliarmi il sonno, mentre io invece cominciavo a sudare e avevo voglia di rispondere subito e con trasporto a quel tocco.

giovedì 29 novembre 2012

Tema: Nessuno pianse

Sez. Aspettando l'apocalisse
Svolgimento


“When one world ends something else begins
but without a scream
Just a whisper because we just started it over again”
Marilyn Manson – The Fall of Adam


Qualche minuto antecedente alla prima esplosione, la gente viveva la sua vita quotidiana e regolare: nel mondo una donna litigava con un venditore ambulante, un ragazzo con una maglietta arancione era caduto dalla bici, un altro – uno studente dell’università, forse - stava raccogliendo dei libri da terra, mentre una bambina, dalla parte opposta del globo, giocava sull'erba e una donna anziana, poco più in là, portava un cane al guinzaglio che tendeva la testa per annusare ogni albero che incontrava.
Il primo attimo, dopo il colpo, fu di silenzio, smarrimento, confusione felpata, l’attimo in cui cominciava a innestarsi, nella mente di ognuno, la coscienza di quello che sarebbe successo di lì a poco, quando quel momento sarebbe passato e tutto avrebbe cominciato a distorcersi, deformarsi, cambiare: nella mente dei presenti sarebbe scattato l’odio per gli altri - per tutti – astio accumulato che si sarebbe riversato su ognuno - familiari, amici, nemici, amanti, conoscenti ed estranei – l’uomo aveva previsto la fine del mondo, nessuno, invece, aveva previsto la fine dell’uomo.
Quando tutto si mosse ogni singola cellula umana presente nel globo riversò il proprio odio su chiunque avesse davanti, l’aria si spezzò e dai tagli zampillò sangue nero che inondò le strade di ogni città americana, abbatté tutte le capanne di fango in ogni villaggio africano e così ogni monumento, ogni chiesa, ogni edificio fu percosso violentemente dalla malevolenza dell’uomo.


martedì 14 febbraio 2012

Sez. Anatomia - Tema: Fegato.


Queste cose non avvennero mai
ma sono sempre.
 Sallustio


Le sue tempie pulsavano vistosamente. Gli occhi offuscati dalla concentrazione e dal furore col quale guardava il verme nemico che sorgeva imperioso di fronte a lui. I muscoli tesi dentro a quell’armatura lucente e fiera. Le vene del suo braccio sembravano affluenti del grande fiume d’Egitto, tanto erano colme di sangue infetto dal morbo della vendetta. La mano destra stringeva la sua temibile lancia e nella sinistra, a coprire buona parte del suo glorioso corpo, il magnificente scudo forgiato solamente per lui. La mente gli si offuscava. Fiamme, bagliori, fumi, gambe e braccia e poi il volto di lui. Bisbigliava qualcosa quel vile uomo, quella feccia schifosa che presto avrebbe conosciuto la sua furia. Vacillò un momento e una lacrima, che sembrava goccia del suo sudore, percorse il viso tinto di terra e sangue. Quel sangue che aveva unito lui e il suo diletto dilaniato e oramai sepolto. Nelle sue orecchie rimbombava quella voce che non avrebbe più udito. Gli apparve il suo spettro una notte “Vivo m'amasti, e morto m'abbandoni. Sotterrami, ti prego. Respinto sono dalle vane ombre defunte, né mischiarmi con loro di là dal fiume mi si concede. Vagabondo mi aggiro. Più non potremo vivi entrambi,  lontano da tutti, sedere a parlare e aprire le nostre bocche e parlare di noi. Fammi cenere, come se fosse il tuo ultimo atto di amore”. E quella notte, quella stessa notte “Aspetta! Lascia che ti abbracci” e strinse fumo. E strinse il suo dolore tra le mani fredde e sanguinose di eroe. Dai suoi occhi uscivano lacrime copiose di sale e percuoteva le sue cosce possenti di guerriero che avevano domato cavalli e puledre, schiave e regine, servi e l’unico uomo che amava. E poi fumo e vino, carne tenera d’agnello e belve inferocite. Sapore di sangue arrivò fino alla gola. Ingoiava sabbia e vomitava rabbia. 

mercoledì 25 gennaio 2012

Tema: Teoria pratica del colpo di fulmine (sesta puntata)




Giuditta, in quanto vedova di uomo facoltoso, non se la passava male. Aveva case e proprietà, terreni e schiavi. Non avrebbe ripreso marito neanche morta. Però a Betulia, cittadina insignificante perduta nel nulla del deserto, la povera donna si annoiava. Per fortuna gli assiri si misero in testa di conquistarla. Cominciò così l’assedio. Trentacinque giorni dopo, la città aveva esaurito le cisterne d’acqua, i cittadini cominciavano a soffrire la sete, i parrucchieri dovettero chiudere bottega e non c’era più una messa in piega decente neanche a cercarla col lanternino …
Ozia, uno dei capi di Betulia, che comprendeva l’angoscia delle concittadine, disposte a subire la schiavitù piuttosto che veder ammosciare le cotonature, promise che, se qualcosa non fosse accaduto entro cinque giorni, la città sarebbe stata consegnata a Oloferne.
Giuditta, dal momento che aveva un’autoclave di dimensioni ciclopiche e il parrucchiere le andava direttamente a casa (al trentaquattresimo giorno di assedio ancora sfoggiava dei colpi di sole strepitosi), avrebbe preferito vedere un po’ di sangue, magari qualche bel corpo maschio ferito, e perciò disapprovava le intenzioni di Ozia. Un po’ di sano divertimento, dopo tutto questo mosciume, me lo gusterei volentieri, pensava osservando da lontano le truppe assire. Disgustata dalla vigliaccheria dei proprio concittadini, decise di prendere in mano la situazione e di andare a caccia di qualche brivido. Chiamò una serva e si fece aiutare ad abbigliarsi con le vesti più belle che aveva (uno strepitoso rosso Valentino comprato ai saldi tre giorni prima di restare vedova, e mai messo), si profumò d’unguenti (Aromatics Elixir: profumo da strega) e s’ingioiellò con tre giri di catene Bulgari, regalatele dal caro estinto in occasione dell’ultimo anniversario; non più oppressa nell’aspetto dall’abito da vedova, la sua bellezza si esaltò … “e che cavoli!”  disse guardandosi allo specchio “… ma allora non sono proprio da buttare via!”
Prima di lasciare la casa ordinò alla serva di prendere una piccola scorta di viveri (Giuditta era vegana convinta, e mai si sarebbe cibata delle schifezze fast food degli Assiri), e insieme si avviarono. Le sentinelle assire scorsero questo tronco di figliola e la catturarono per interrogarla; ella disse d’aver abbandonato il suo popolo morituro per presentarsi a Oloferne, al quale intendeva dare delle indicazioni sulla miglior via da seguire per vincere. Giuditta fece un discorso che fu un capolavoro di astuzia, disse che Betulia era ridotta allo stremo, senza più viveri, con tutti i parrucchieri chiusi e le donne ridotte con delle teste che parevano scope di saggina, e aggiunse che i comandanti della città avevano chiesto il permesso ai capi di Gerusalemme di poter consumare le primizie del grano e le decime del vino e dell’olio, riservate a quei gran furbastri dei sacerdoti e che Dio (naturalmente) proibiva di toccare. Quando ciò sarebbe accaduto i Betulesi avrebbero commesso un grande peccato e allora Dio non sarebbe stato più dalla loro parte, ma li avrebbe abbandonati e consegnati in suo potere, perciò lei era fuggita e chiedeva a Oloferne di poter restare nel suo accampamento; se glielo avesse permesso, ogni notte sarebbe uscita a pregare il suo Dio e, così facendo, avrebbe saputo quando i Betulesi si sarebbero macchiati del grave peccato, e lui li avrebbe potuti vincere senza combattere.