venerdì 18 maggio 2012

Sez Grandi Scrittori. Tema: Vincenzo Consolo. Ritorno all'isola

Nottetempo, casa per casa, assoporando l'isola. 
Rosa, Rosaspina, profumata di basilico e tutta, tutta, prima o poi affonderà. 
Con i mosaici bizantini delle basiliche, l'architettura araba, le scogliere nere di tufo, quel Mandralisca, che tenne chiuso, nelle chiuse stanze, il sorriso dell'ignoto marinaio.
Quell'Antonello, celato al mondo, ripercorre nuove strade saltellando sul lastricato, da una pietra all'altra, verso il lavatoio. Scopre lo scrosciare delle acque che corrono via, soffermandosi un tanto, quello che possono, dentro  vasche ombrose. Corre via verso il mare, salta da una pietra all'altra, incontrando l'azzurro che ferisce,  per troppa luce e colore. Abbacina, stordisce, assopisce, in un limbo d'inedia.
Le pietre arroventano i sensi.
.
Ogni ritorno è come il primo.
Ogni saluto è come l'ultimo: denso, accorato.
Bisogno di partire, per poi tornare. Fuggire per poi ritrovare.
Il tempo ha corroso intanto pietre, rive, bruciato boschi, eruttato lava, ribollito acque nei mari. Ritornare a quella Ferita dell'Aprile.

Quel Cristo in veste bianca scende una celeste scalinata bordata di gigli immacolati,
muove un piede scalzo e fiorito d’una piaga sui gradini e gliene mancano ancora tre per essere a terra,
tra i bastasi della refezione
.( Da la Ferita dell'Aprile.  Vincenzo Consolo
Immagine sull'altare maggiore della chiesetta a S. Agata, ove nacque)



Per quella Ferita dell'Aprile torni e ritorni mai domito a questo sole che ferisce, intorpida le membra, assopisce.
Ma sboccia rose e rose, profuma salvia e sulla bocca fiorisce parole e versi.



Ritorni all'isola spezzata come un coccio, spezzata com'è da Scilla. 
Percorsa da venti fino alle rupi laviche, tagliate come diamanti; alle conche dei crateri affondati negli azzurri delle isole. Che,  affollate di felci, lì, sulle vette, ondeggiano come mare  e intasano le narici di un soffio vitale, come di sangue che scorre turbinoso e rigenera la mente. E ne senti l'odore, di sangue, di vita. E sale scorre via veloce e poi lento, sfuggito alle ciglia per il vento e per, mai esaurita, nostalgia.

Via, via da tutto questo. Via.
Per poi tornare.
E finire in essa.



Io non so  che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo, inoltrarmi all’interno, sostare in Città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vec­chie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca. (Vincenzo Consolo  Le pietre di Pantalica)



CLA



14 commenti:

  1. Hai reso perfettamente il ritmo dell'isolano, mai soddisfatto, mai quieto, sempre insonne e corroso dalla voglia di partire che è già voglia di tornare per andarsene ancora. Mi piace l'isola spezzata come un coccio, mi piacciono le narici intasate.

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    1. Sulle narici intasate mi sono affrancata dal pensiero dello scrittore, dalle sue parole, dal suo sentire che immaginavo via via...
      Ho parlato come Clotilde, con le mie parole, e come ho sentito io l'isola, sulle cime delle Eolie...
      grazie dunque del tuo giudizio, mi fa bene.
      Grazie Roberta!

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  2. La scrittura di Consolo.. conosco solo Lo Spasimo di Palermo, c'ho messo dieci prima di arrivare alla fine, scrittura impossibile, barocca, eccessiva, e però, dopo che l'hai letto, capace di farti sentire soddisfatto (per la scalata, forse?).
    CLA percorre Consolo e lo rende umano (cosa che Consolo non è nello Spasimo), preferisco lei a lui.
    PEr il resto, concordo con RL, brava CLA!
    GD

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    1. Grazie Giorgio per tutte le cose che dici...
      La scrittura di Consolo è difficile, concordo.
      anche per me fu non facile la lettura del Sorriso dell'ignoto marinaio, ma come te ringrazio della difficolà. Arricchisce. E prima o poi lo ami. Per l'isola e per come la sente. Un sentire collettivo.
      Prova con questo stralcio e dimme che ne pensi:

      Dal làstrico sul giardino verso il mare – il noce
      l’arancio vaniglia, il melograno, il fico bifero e il fico
      messinese, la palma e il banano, il mandarino e il cedro,
      il portogallo, il ficodindia e l’ agave, l’edera e la vite
      sul muro della stalla, il gelsomino attorno all’arco,
      le siepi d’ asparago, di mirto, la sénia sferragliante,
      l’asino cieco che gira all’infinito – dal làstrico si
      vedevano le isole.
      Ora remote, lievi, diafane come carta o lino,
      ferme o vaganti in mare, sospese in cielo,
      ora invisibili per cortine di nuvole o vapori,
      ora avanzanti, prossime alla costa,
      scabre e nitide, allarmanti – malo tempo,
      malo tempo! - . Ed era sempre un mondo separato,
      remoto e ignoto. Talvolta vedeva alla marina pescatori
      eoliani, spinti sin là, costretti a tirar le barche sui parati,
      scalmi e stroppi rovinati, sostare per il mare grosso,
      scirocco o maestrale, laceri, spossati, dormivano sulle reti,
      al riparo delle vele. ..

      Vincenzo Consolo
      da La rovina di Siracusa

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    2. Gli accumuli di Consolo sono notevolissimi.... voglio leggere altro di lui (tra l'altro, a detta di esperti, ho avuto la sfortuna di leggere la sua cosa peggiore - Lo Spasimo di Palermo...)
      Gd

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    3. Si una meraviglia!
      Organizziamo un giro sui luoghi di Vincenzo Consolo per guardare attraverso i suoi occhi, e...farlo rivivere!
      Da leggere: La ferita dell'Aprile.
      La mia isola è Las Vegas
      Il sorriso dell'ignoto
      Retablo
      E poi una poesia su Palermo che se la trovo la posto.
      Baci!

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  3. Ehila, il post è interessante ma l'ho trovato un po' difficile da seguire. Però è pieno di belle immagini, di accumuli, insomma...devo rileggerlo!
    Grazie CLA!

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    1. Grazie a te Federico. E' più facile se si conosce Consolo e si riconosce ad esempio l'accenno al suo Nottetempo casa per casa, premio Strega, Il sorriso dell'ignoto marinaio che prende il via da un ritrato di Antonello da Messina, in cui poi tutti identifichiamo V. Consolo, che raffigura quel famoso sorriso sornione, beffardo e sapiente acquistato dal Mandralisca, Barone di Cefalù (veramente) e ancora conservato al muso Mandralisca, accanto al lavatoio...e da qui si snoda il post raccontando la nostalgia di Consolo per la sua isola, per le sue isole. Di un tratto di costa che dopo Cefalù va verso Capod'Orlando e si ferma a S. Agata ove nacque. Lì le isole sono una costante del paesaggio, sospese in cielo a raccontare l'orizzonte, il suo. E anche il mio.
      Le pagine più belle di Consolo sono infatti quelle de: La ferita dell'Aprile, e altre in cui il rapporto con la Sicilia in versi, prosa, odori e suoni è costante e puntuale.
      e allora buona lettura! Uscito adesso l'ultimo inedito e postumo: La mia isola è Las Vegas, già in libreria...

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  4. Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha ròso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia, Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera d’opalina, e l’aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie, coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m’ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel cuore. Lia che m'ha liato la vita come il cedro o la lumia il dente, liana di tormento, catena di bagno sempiterno, libame oppioso, licore affatturato, letale pozione, lilio dell'inferno che credei divino, lima che sordamente mi corrose l'ossa, limaccia che m'invischiò nelle sue spire, lingua che m'attassò come sangue che guizza dal pietrame, lioparda imperiosa, lippo dell'alma mia, liquame nero, pece dov'affogai, ahi!, per mia dannazione. Corona di delizia e di tormento, serpe che addenta la sua coda, serto senza inizio e senza fine, rosario d'estasi, replica viziosa, bujo precipizio, pozzo di sonnolenza, cieco vagolare, vacua notte senza lume, Rosalia, sangue mio, mia nimica, dove sei?
    Da Retablo Vincenzo Consolo

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