martedì 17 luglio 2012

Sez. Grandi Scrittori: Philip Roth

Una lettura del romanzo "La Macchia Umana", 2000



Idealismo e idee estreme, l’intransigenza esistenziale che produce mostri. Coleman Silk ha della vita un’idea ben precisa, e – per lui – non c’è vita se non c’è Libertà.
Libertà, ovvero libertà da tutte le contingenze esterne al proprio unico inimitabile e irripetibile IO individuale. La Libertà e l’Individualismo. Coleman Silk è il banco di prova nientemeno che dei Grandi Valori Americani.
Coleman Silk viene da una famiglia di neri, ma ha la pelle tanto chiara da sembrare un bianco. Si arruola nell’esercito facendosi passare per bianco, si iscrive ad un’università per bianchi e comincia – scivolando quasi naturalmente nella menzogna – comincia a tacere sulla propria razza.
Perché devo passare la mia vita da nero?
Perché devo frequentare un’università per neri e farmi strada all’interno della comunità di colore?
Cosa c’entro IO con la storia dei neri?
Chi me l’ha chiesto se volevo far parte di questo NOI?
Comincia a tacere, a mentire, dunque. Comincia a sviluppare il suo Segreto. Alla fidanzata Steena non dice niente, parla dei suoi in maniera vaga, ma poi la invita a pranzo con la sua famiglia, e Steena scappa quando scopre il suo Segreto.
Coleman allora decide di alzare la posta in gioco. Vuole la libertà, a qualunque costo. Sarà bianco, punto.
Lo comunica alla madre, la cara madre che non gli ha fatto mai mancare niente, che lo ha amato tutta la vita di un affetto sensibile e attento, la cara madre che è arrivata a gestire il reparto di infermeria dell’ospedale cittadino “senza nessun altro aiuto che non le proprie competenze professionali”, una persona in gamba, aperta di mente, intelligente e colta, la cara madre, una vedova che ancora sospira il marito morto d’infarto mentre serviva ai tavoli di una carrozza ristorante di prima classe, finito a fare il cameriere dopo che la Grande Depressione lo costrinse a chiudere la sua attività da oculista. Gente energica, misurata, smaliziata, a proprio agio nel mondo dei bianchi.
Coleman le comunica: Sarò Bianco, Mi Sposerò. Farò Dei Figli. Avrò La Mia Vita Da Bianco. Per Tutti Io Non Avrò Né Padre Né Madre. Sarò Orfano E Senza Famiglia. E Sarò Bianco.
Capito, mamma? Avrai dei nipotini e non li conoscerai. Hai avuto un figlio, lo hai cresciuto utilizzando le migliori – lo so, mamma, le migliori! – arti materne, lo hai amato nel modo migliore in cui si possa amare un figlio, e lui che fa? Ti abbandona, ti ripudia, scompare, fa perdere le proprie tracce – e per di più te lo “comunica”, come se si trattasse di un’informazione di servizio – e tutto perché si è messo in testa che vuole essere Libero!
Non ti odia, no, lui non odia nessuno. È sempre così calmo e misurato. Ma vuole essere Libero, quindi ciao mamma, saluta tuo figlio che non rivedrai più. Salutalo e non te la prendere troppo se non avrai nemmeno una tomba su cui poterlo piangere.
E lei che fa? Dignità. Rispetta la decisione del figlio, e dice poche frasi grondanti Verità: “Tu ragioni come un prigioniero. Si, Coleman Brutus. Sei bianco come la neve e ragioni come uno schiavo”.
Coleman si sposerà con Iris, alla quale non svelerà mai il suo segreto. Vivrà tutta la vita come un bianco, tacendo a tutti la sua vera storia. A tutti, perfino alla donna che lo conosce nell’intimità e con la quale passerà tutta la vita. Coleman diventerà professore di lettere classiche – la disciplina più bianca di tutte – presso l’università più bianca del New Jersey, spiegando ai suoi allievi la tragedia greca e Omero, soprattutto L’Iliade, il suo poema preferito. L’Iliade delle volontà irresistibili e della ferocia, la ferocia umana e la ferocia dell’esistenza.
Ferocia che in Coleman è come autoimposta, frutto di una scelta deliberata. Una ferocia intellettuale, frutto della mente, della volontà. La ferocia umana che diventa ferocia dell’esistenza. La scelta, l’arbitrio personale, l’essere artefici di sé stessi. I valori americani, L’Occidente tutto, coagulato in Coleman Silk che ripudia sua madre.
Dopo la morte di Iris, e lo scandalo che lo costringe a dimettersi dall’università (Coleman viene accusato di razzismo, ed è un altro tema fondamentale del libro – l’ipocrisia, l’opportunismo, l’orrore del politicamente corretto – un tema che qui ignoriamo) Coleman intreccia a 71 anni una relazione con Faunia, una bidella della sua università con la metà dei suoi anni.
Faunia che scappa di casa appena adolescente per fuggire dalle molestie del patrigno. Faunia che sposa un pazzo reduce dal Vietnam che la picchia, poi divorzia e lui – violento, paranoico, ossessivo – la perseguita. Faunia che perde i due figli in un incendio. Faunia che fa tre lavori per campare. Faunia che è analfabeta, anzi: dice di esserlo ma in realtà non lo è. Come una ripicca contro un mondo che l’ha devastata con la sua ferocia.
Ma Faunia è ancora in piedi, e vive la sua vita con una spaventosa dignità, a 35 anni ha visto tutto lo schifo che la vita può offrire. Non è disillusa, rassegnata, no, molto di più. La sua amarezza dell’esistere ha raggiunto uno stadio superiore. Faunia non spera più niente. Faunia non si stupisce più di niente. Non è che sia apatica, è che la realtà più terribile che si possa conoscere l’ha fatta diventare – come dire – terribilmente realistica. A suon di morsi sulla carne.
La ferocia dell’esistenza si è abbattuta, con singolare violenza, così, tutta su Faunia. Cos’ha fatto per meritarsi questo? Dov’è la LIBERTà per una come Faunia? Cosa cazzo voleva dimostrare Coleman con i suoi ideali? A quale livello di Orrore può arrivare la volontà umana (L’Ideologia? Il Fondamentalismo?) se Coleman è riuscito ad infliggere una ferita così terribile – così premeditata e “razionale” – alla madre?
A Faunia, a lei, la sguattera analfabeta, a lei Coleman rivela il suo segreto. Così, perché per lei il suo Grande Segreto non è niente da giudicare, ma semplicemente l’ennesima cosa stramba che può succedere in questo mondo. L’ennesima assurdità di cui è capace l’essere umano.
Come davanti all’enormità del creato, e della sofferenza umana, e della piccolezza effettiva di ogni uomo, al di là di titanismi intellettualizzanti, vomitevoli idealismi e libertà talmente assolute che non possono esistere, Coleman davanti a lei, davanti a Faunia, la sguattera analfabeta con la metà dei suoi anni, Coleman diventa un bambino. “Tu sei troppo giovane per me” gli dice Faunia. E lui le rivela il suo segreto. Come un bambino che arrossisce per una bugia maldestra.

NF

Citazione: 


Coleman è la dentro, ora, solo con Faunia, e ciascuno dei due difende l’altro da tutti gli altri. Là dentro ballano, molto probabilmente svestiti, lasciandosi alle spalle il mondo con le sue tribolazioni, in un paradiso non terrestre di terrestre passionalità dove il loro accoppiarsi è il dramma in cui decantano tutte le rabbiose disillusioni della loro vita. 
Ricordavo una cosa che aveva detto Faunia – così almeno mi aveva raccontato lui – nell’euforia di una delle loro serate, quando sembravano avere tante cose in comune. Coleman le aveva detto: – Questo non è soltanto sesso, è qualcosa di più, – e in tono reciso lei rispose – No, non è vero. Hai semplicemente dimenticato cos’è il sesso. Questo è sesso. E basta. Non rovinarlo con la pretesa che sia un’altra cosa”.Chi sono loro adesso? Sono la versione più semplice possibile di se stessi. L’essenza della singolarità. Tutto il dolore raggrumato in passione.


12 commenti:

  1. Ho letto la" Macchia Umana " parecchi anni fa, preferendolo a "Pastorale Americana" che trovai spesso e faticoso.
    Grazie a questo post dove vengono messi in luce aspetti che da profana non avevo inteso ne' percepito, rileggero' il libro.
    Grazie

    RispondiElimina
  2. L'ho letto quattro volte...e sono sicuro che alla quanta troverò ancora nuove sfaccettature...ci sono pagine e pagine scritte tanto bene da spingere al suicidio torme di aspiranti scrittori...un pò tutta l'opera di roth è così, ma questo è il suo romanzo più ricco e variegato, bello da leggere, equilibrato e profondo come solo roth - tra i contemporanei, credo - riesce a fare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io dal 1982 ad oggi ho letto 7 volte Cent'anni anni di solitudine, non è che hai scritto qualcosa anche su quest'opera di Marquez?

      Elimina
    2. Troppo meravigliosa per ragionarci su :)

      Elimina
    3. A me mancano 100 pagine!!!! Bellissimo!

      Elimina
    4. 100 pagine a 100anni di solitudine? Quanto ti invidio

      Elimina
    5. Una volta mi hanno detto: "Leggendolo, ti capita di sudare, di rabbrividire, di sentire odori e profumi". è vero. E ancora non riesco a capire come ci riesce...diavolo di un Marquez!

      Elimina
    6. E' vero! Spero di riuscire a finirlo questa settimana! Vi farò sapere!

      Elimina
    7. FO,sappi che ogni volta che lo rileggerai con il passare dei tuoi anni sara' come iniziare un libro nuovo. La prima volta che lo lessi avevo 18 anni regalo di compleanno.L'ultima nel 2008..è ora di rileggerlo.

      PS è l'unico libro insieme a quello di Fili che ha un organigramma dei personaggi esplicato a matita sull'ultima pagina.

      Elimina
    8. Concordo su tutta la linea su Cent'anni di solutidine. E' unico, incredibile, straleggibile(nel senso che lo leggeresti cento volte) E' una cosa bella.
      Ho anche letto Vivere per raccontarla, ma a dispetto della cronistoria, sembra, della sua famiglia, non rende quanto la "famiglia" di Cent'anni di solitudine.
      Ogni altro libro di Marquez a questo punto mi annoia.

      Elimina
  3. NF, sei uscito dall'approccio quasi saggistico in cui la tua scrittura era comunque creativa, e sei entrato nella in una cosa diversa, che sembra la riscrittura della trama del libro. Il risultato è magnifico, le frasi raggiungono picchi, sottolineano i sentimenti più profondi che Roth pesca nella palude dell'animo umano. é un Roth nel Roth.
    Mi hai ricordato la Monroy che parlava del Gattopardo e di tanto in tanto ne leggeva qualche parte - il mio accostamento con le dovute distanze, la tua lingua ha una potenza che la monroy si sogna.
    Il tuo pezzo dimostra come si possa fare scrittura creativa senza, necessariamente, dovessi inventarsi delle storie, ma appropriandosi di trame altrui, riscrivendole, riassumendole.
    Tant'è che è stato facile leggerti.
    Mi sei piaciuto assai assai. E quanto a Roth, Pastorale è la cosa più bella che abbia mai letto; ma il mio rapporto con questo libro è stato conflittuale pure: 3 o 4 volte mi fermai a pag 50; superata la 51^ sono andato dritto sino alla fine, saltando i pasti, andando a letto tardi.. grande libro, una lezione su come scavare tunnel dietro i personaggi.
    W NF
    GD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma lasciatelo stare Pastorale....meglio godersela con Il Teatro di Sabbath! :) (grazie per quello che hai scritto)

      Elimina