mercoledì 19 settembre 2012

Tema : Bianco il pavimento (Mi sento designificato *2)


Bianco il pavimento. Passano le valige degli uomini d’affari, i bisturi dei migliori chirurghi plastici, turisti grassi, gente e ancora gente si lancia sul buffet. 

È quel mangiare compulsivo tipico di chi vuole saltare il pranzo. Collezionare bricchi, uova, salsicce yogurt, frutta, cereali nello stesso piatto per lo stesso stomaco. Le hostess osservano il buffet come animali in cattività. Le cinesi si schiantano contro le colonne del wow hotel: è colpa del jet leg. Camerieri vigilano attentamente contro la pratica abusata del take away. L’ascensore scende e sale dal centesimo piano al primo intervallando le pause per i passaggi degli uomini con il carrello. Primo piano all’americana centoventottesimo piano, è lo stesso. Buongiorno signora triste, l’albergo si riempie si vuota: è la stessa balena che mangia il plancton. 

Marco e Irene scendono assonnati, piatti pieni per grandi cervelli. 

Troppe vertigini questa modernità ci vuole una botta di tradizione per poter stare bene. Spezie curcuma narghilè una favola da una mille e una notte tascabile, in una sola parola il grand bazar di Istanbul. Una ragnatela di Persepoli si snoda. 

Marco: «come va con vaccini?» 


«Non c’è male. Senti questa vaniglia bourbon. » 
« Attenta a quelli ci fissano. »
«Ah tutto tranquillo hanno in testa il fez. Sono religiosi. Il fez l’ho studiato ieri è: un antico copricapo turco, serve per distinguere i signori altolocati da quelli non. È una questione di estrazione sociale.»
«Il curcuma vien usato come colorante.»
«Del dragoncello che uso se ne fa?»
«Ah quello con la menta è per il pesce. Le spezie sono l’essenza della vita danno gusto al momento giusto. È un ottima prospettiva.» 
Viagra turco è il the. Le strade di Istanbul sono tutte in salita piene di gente che si affanna con cose sulle spalle. Ogni quartiere vende articoli diversi. È un luna park antropologico, un continuo clik e annotare movimenti e colori persone.

Marco: « Non lo trovi strano? » 
«Cosa? »
«Quello, dico quello. » 
«Ah, il manichino. » 
«È sexy, provocante spogliato all’occidentale. »
«Eh beh? »
«Ma se le donne che abbiamo visto adesso sono tutte velate? Sarà una proiezione della fantasia maschile o un non potere per trasgredire. »
« Non hai considerato una cosa. Che dentro in casa le mussulmane si spogliano e si vestono come vogliono.» 
Ho un problema, devo andare in bagno. Passati i commercianti di narghilè, cellulari rubati, adidas. Ecco la scritta bagno pubblico. Si sente un grande scrosciare d’acqua e uno strofinare di pelli ritmico e adeguato alla temperatura esterna. 40 gradi. Basta un offerta per entrare. 
Lui si siede e aspetta. Lei esce con una faccia da arancia. 
«Allora dove è il problema? »
«Non c’era la carta igienica, così ho dovuto usare le mani e l’acqua per pulirmi.»
« Ma sei mi dai la mano sa di merda? »
«Sì.» 
Cosa vuoi farci anche questa è cultura, crivello sulle note di campo. Le spezie, solo quelle ci salveranno. Mangiate! veloci antropologi che fra un ora avete il volo. 
Irene: «Aeroporto centinai di destinazioni non si sa mai quale scegliere. Certo che oggi me ne andrei proprio a New York» 
«Perché non a Tel Aviv? Ogni destinazione sarebbe meglio di Kigali dove ci tocca andare ed è appena scoppiata la guerra.»
Kivu il lago come il gas e poi “bum”: se non si muore per la guerra si muore per il gas. 
I due ragazzi cercano disperatamente la connessione un wi-fi, salvezza. Il volo sarà di cinque ore, hostess turche pronte a spacchettare ore e pasti monodose per centinaia di passeggeri poco esigenti. Inizia la lotta per il posto: antropologi contro il resto del mondo. Alla fine vince la prenotazione. 
Marco : «Scelgo il Padrino II»
Oggi scelgo un album dei Rolling Stones, guardo la mappa. Arriva un pasto monodose d’elite: trancio di salmone e nocciole e la pesantissima mousse di – ancora - nocciole con un ciuffo di panna in cima. Il viaggio mi pare più lungo che mai. 
Le poltrone economy riservano lo spazio per stare comodi come giraffe in una bolla di vetro. Il tempo trascorre lentamente tracciato sulla mappa impressa sul sedile. Erano meglio le mappe analogiche dove almeno c’era il piacere della scoperta. Fa caldo, l’aria condizionata si sta preparando a diventare un safari. Bambini urlanti l’africa in trasferta si trasforma nel deserto del Sahara. Le hostess ben addestrate indicano le vie di fuga. Impossibile: mancano solo due ore e trenta all’arrivo. I passeggeri della business class sono divisi da una misera tendina. C’è una bambina figlia della cooperazione che se ne frega delle gerarchie e passa indistintamente dal buisness glaciale alla calda africa. Marco si lamenta che non bastano i tappi per le orecchie per attutire il caos. Le cuffie sono rotte: niente musica solo una mappa impressa. La strada si tatua sulla pelle. Irene piange. Japan. 
Avanti e indietro tacchi e carrelli in trance. Marco parla con la vicina, una cooperante italiana che si è messa nei casini con una relazione ugandese. Sì l’Africa è proprio bella, vedrete non avrete problemi sostiene. Se prenderete malattie non preoccupatevi perché la nostra pelle splendida ci proteggerà. 
L’aereo si avvicina alla terra. È tutto nero, “paint it black”. Nessuna luce né nessuna onda elettromagnetica li accoglie. Una telefonata e via verso il divano letto trovato in internet. Una cuccia stantia di cibi giapponesi, un divano e settanta mila princìpi di malaria li accolgono. 
Irene e Marco si accontentano di rosicchiare l’osso che hanno appena trovato. Grigio nonostante Rwanda. I due antropologi scodinzolano in giro per la città. Tutti li fissano: due giapponesi e due bianchi. Kigali centro non è l’Africa che ti immagini: banche centri commerciali acciaio si mischiano al traffico tumultuoso delle strade. 
La gente si affanna trasportando tutto in testa. È sabato il cielo è grigio ed è ricoperto da una sottile polvere. Prendere confidenza con una nuova città è un assaggio di umanità. Cosa ne è del Ruanda? 
Nel 2012 le ossa del genocidio sono sepolte da vent’anni. Del celebre hotel è rimasta la struttura bianca immutata e sul parlamento ci sono ancora le tracce delle granate. Il Paese si ricopre di polvere per ogni sospiro. 
La moschea si adagia molle sulla collina. Marco fotografa il tempo. Materassi in testa, galline legate nei cesti la prima puntata dei bianchi in vacanza. 
«Irene hai una penna? »
«Dovrebbe essere nella tasca sopra dello zaino. A quanto sta la valuta euro franchi ruandesi?»
«Devo contare. »
«Ho cambiato cinquanta euro e mi hanno riempito il portafoglio.»
«Un euro, mille franchi. » 
«È la svolta, siamo sfondati di soldi, possiamo permetterci l’iphone e i migliori ristoranti di lusso della città. Basta lesinare sul cibo contare i centesimi, siamo passati dall’essere due studenti a essere dei bianchi ricchi.» 
«Ehilà bambina frena, non abbiamo ancora la borsa di studio né il visto né il permesso di ricerca. Nascondi il portafoglio. Low profile » 
I giapponesi camminano per Kigali, gli occhi a mandorla permettono una visione profonda e oculata della colazione buffet che gli spetta. Il muezzin avvolge la sera, lascia trapelare alcuni respiri in una città dormiente. 
“Gentile Professoressa, buona sera. 
Fino ad adesso il Rwanda ci ha accolto molto bene, sto procedendo con la mia ricerca: sono stata al K.I.E dove si sono mostrati molto disponibili. Per le questioni tecniche dell’organizzazione del workshop del KIE mi hanno detto che sarà possibile da settembre. Sono stata un centro di giovani dove fanno attività culturali isho ( cinema, teatro, musica) e ho proposto l’idea di avviare un laboratorio con il fine della creazione di un laboratorio audio-visivo. Si sono dimostrati interessati e mi hanno detto che proporranno il progetto agli altri ragazzi dell’organizzazione e poi mi faranno sapere. 
Ho scoperto che nell’ museo del memoriale del genocidio stanno sviluppando un centro audio-visivo per il recupero della memoria orale, quindi ho colto l’occasione per parlare della mia ricerca che verrà presentata alla fondazione del museo per la possibile attuazione come partnership. 
La settimana scorsa c’è stato il film festival Hillywood purtroppo è finito il giorno del nostro arrivo. Ho visto il programma e c’erano una rassegna di documentari molto interessanti. Oggi ho avuto un colloquio con il loro direttore tecnico del movie center per proporre il mio lavoro, oltre al progetto stesso vorrebbero una Sua lettera di presentazione. Producono documentari con università in Svezia, Irlanda, Australia e hanno avuto anche una collaborazione con un istituto italiano di design Fabbrica. 
Io e Marco siamo andati a chiedere per il visto non dovremmo avere troppi problemi per il prolungamento. il campo pian piano ci accoglie. 
A presto 
Irene

3 commenti:

  1. Irene, per favore, non smettere mai di scrivere!
    Manubirba

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  2. nonostante Irene proceda per immagini inusuali, l'ancoraggio alla realtà è forte, nulla è letterario o superfluo. C'è tutta la turchia nella descrizione della turchia,e l'africa sa di africa: niente surrogati da edulcorazione.
    gd

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  3. Cara Irene, ogni volta che lo leggo sento un profumo diverso...Sara' colpa delle spezie?

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