giovedì 13 settembre 2012

Tema: un ricordo

Svolgimento

Rosse talvolta color tortora. Non capisco come mai me le comprarono ambedue. Non si può. Tutti i capricci esauditi. Ero davanti ad uno scoglio.
La domenica pomeriggio andavamo al cinema, avevo un maglione aragosta. Il colore era aragosta intenso, non salmone, né fucsia. Aragosta. Vellutato come le mie guance, tonde, rosate e poi arrossate dal calore  della lana, degli ambienti affollati, al buio di sale cinematografiche.
Le risse dei gladiatori, i ruggiti delle belve, i cristiani crocefissi mentre fuochi bruciavano dappertutto: bracieri, tra le croci dei condannati, davanti agli altari degli dei immortali. I dialoghi degli attori della celluloide, i film comici e i film d'epoca romana, nient'altro. Se cambiava il genere restavo fuori dai dialoghi e dalla storia. E la risata di mio padre faceva eco a tutto. Alle risate e anche ai momenti di crisi, alle lacrime, ai capricci, ma era difficile non esserne contagiati.
Tenevo sette anni. Camminavo con scarpette di vernice, talvolta rosse, talvolta color tortora. Avevano un pon pon di lapin in tinta proprio al centro. Era il tempo delle scarpette e delle mutandine di pizzo, velate davanti e affollate di merletti dietro, rendendo tanto eleganti quelle bambine di pizzi e rossetti rubati. Di smalti sulle dita piccole e unghia microscopiche, nastri, treccine strette e tirate su da fiocchi enormi.
Sono davanti allo scoglio. Ha la forma esatta che mi aspetto. La solita e se cerco di capire perchè mi sia tanto familiare non ho risposte da darmi. Mi è familiare. Ha una cresta tozza che si inalbera sulla parte più alta, poi è strozzato quasi al centro. Sono tante scaglie laviche levigate che si susseguono.
L'aria ha il sentore di mare, di gabbiani, di pesci andati a male, di escrementi lasciati colare sullo scuro marrone arroventato dal sole.
Lo scoglio è affondato, adagiato su fondale alto quanto basta, di sabbia, e acqua chiarissima.
Aspiro l' odore forte di mare, intenso e misto a alghe, gabbiani ed escrementi. E mi porto intorno al versante nord. 
Lì un' insenatura piccola, suggestiva, tempestata da piccoli molluschi che ne imbiancano il bordo, da alghe, da muschi.
Immergersi è una festa di colori, l'azzurro dell'acqua, la miriade di pesci: azzurri, verdi, giallo-verdi, sole e ombre che dall'alto proiettano sul fondo la rupe sormontata dalla cresta rocciosa. Poi dai ricordi emerge il volto di mio padre e la sua spazzola di capelli ricci, morbidi, neri, come un colbacco sulla sommità della testa. I suoi capelli sono la sommità dello scoglio. Ne aspiro il profumo, sono a casa.


Dopo la passeggiata con una 1100 bianca per alcuni paesi dei dintorni approdavamo lungo una riva di scogli, neri, placidi contro la superficie liscia del mare. Nell'ora del tramonto erano galleggianti su un'acqua oleosa, quasi bianca. Li guardavo con scarso interesse, non erano un luna park, una giostra o un autoscontro, con gli aeroplanini che arrivavano in aria e poi si alzavano e scendevano senza troppi brividi, ma allettanti per un briciolo di emozione.
Si tornava poi, verso la piazza del paese. Era una tappa dovuta, obbligata.
In fondo, in un angolo estremo lontano dallo struscio, si accedeva attraverso una porta a vetri opalinata ad una sala biliardo da cui ci deviava in fretta mio padre, spingendoci verso il bancone del bar. Acque gassate, vetri e bottiglie di liquore facevano sfondo ad una donna di certo gioiosa, rotonda e morbida come le grosse palle unte e caldissime in cui affondavamo i denti. Le arancine di riso e carne di questa signora dalla mille morbidezze era la goduria infinita in cui mi perdevo tutte le eleganze, l'odore di cibo si appicicava financo ai capelli, scacciava l'acqua di colonia e il profumo buono degli abiti puliti, del bagno domenicale. Che ci stavi da Dio dentro a quell'involucro di  pelle nuova, pulita e levigata.
Poteva chiamarsi Bar Sport, o non ricordo il nome. Poi scendevo le scale del cinema, nel buio, nel fumo di sigarette densissimo. La risata di mio padre come una coperta.
Erano i tempi della vespa, della cinquecento, della seicento, della 850. Su tutte troneggiava la 1100, la familiare .

CLA

11 commenti:

  1. Cla, prosa altissima che ben si lega al ricordo, alla rielaborazione - e ogni parola è giusta.
    Il finale ti salva dal vezzo dell'ornamento: che pizzi, colonie e tutto il resto finiscano per essere coperti dall'odore di frittura è notevolissimo, dà - finalmente - la dimensione umana.
    Mi stonò solo una cosa: "tenevo otto anni". Uè, Clotì, simm'addivintat napuletà?
    GD

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    1. Mi piace il fraseggiare napoletano. Lo trovo molto elegante. E' un segno di globalizzazione. Uniamo tutti i dialeti e facciamone una nuova lingua.
      Ma qui non è per rendere spettacolo, che il fraseggiare napoletano è spettacoloso. Rende l'idea più dell'avere, rende l'idea del tenere come un fardello.
      Grazie per i complimenti, sei troppo buono. Che dico davvero sai?
      Le arancine spettacolose più del fraseggiare napoletano...sono con te. Rendono più di ogni frivolezza!!!

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    2. Cla, gigioneggiare in napoletano sarà fantastico, ma ripeto, quel "tenevo otto anni" non si può leggere!
      tutto il resto sì.
      GD

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  2. "Tenevo 8 anni" , non va bene per niente!! Il racconto si snoda piacevole e graziato che quasi sembra la sceneggiatura di un film e poi arriva il "tenevo" :) : tenevo un gatto morto tra le braccia , tenevo un cono gelato tra le zampette , tenevo una fame porca ...

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    "Sono davanti allo scoglio. Ha la forma esatta che mi aspetto. La solita e se cerco di capire perchè mi sia tanto familiare non ho risposte da darmi. Mi è familiare." E' cosi' una cosa ti piace e ti fa sentire bene ma non sai il perche'

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    1. Non so perchè finchè non realizzo che ha la forma dei capelli di mio padre...lo dico dopo.

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  3. Davvero bello, non lo avevo visto, il succedersi frenetico dei post degli ultimi giorni mi aveva fatto perdere il ritmo!

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    1. Grazie del commento. Anche se visto dopo, però lo hai letto e commentato.

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  4. Ehi CLA mi è piaciuto molto il fatto che il ricordo proceda da alcuni oggetti che fanno da stimoli sensoriali che coinvolgono tutti e cinque i sensi. Tutto ciò rende tutto molto vero, e non solo perché è vero.
    Altra cosa bella il tuffo nell'acqua che significa liberazione, rigenerazione, ma anche riaffiorazione del ricordo.

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    1. Nel tuffo il ricordo riaffiora e si completa: i suoi capelli sono la sommità dello scoglio.
      E poi: ... approdavamo lungo una riva di scogli...
      La familiarità dello scoglio che non è casuale: è un ricordo che affiora e al tempo stesso somiglia ai capelli che sovrastavano la sommità di un volto molto amato.
      E quasi subito, contemporaneamente, diventa un ricordo struggente, qualcosa che si è perduto e nella coagulazione attorno alla roccia trova conforto.
      Uno scoglio...che diventa un parente.
      Mi rendo conto che tutto ciò è schizofrenico...ma è esattamente così.

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  5. Scusate le risposte ai commenti in ritardo: sono stata assente.
    Ho in mente infatti qualcosa che frulla, per via di questa assenza, che prima o poi prenderà il volo.

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