mercoledì 10 ottobre 2012

Tema: ricordo d'estate

Svolgimento

Il profumo dell’erba tagliata nel cortile della scuola elementare annuncia l’arrivo dell’estate. Pochi giorni dopo, siamo sulla 128: papà, seduto davanti a me, guida e fuma col finestrino aperto. Ogni cartello chiedo quanto manca e sbuffo quando nelle curve a mia sorella viene da “gomitare” e bisogna trovare da fermarsi finché le passa.
La villa è fresca e sa come di polvere bagnata. Dopo aver baciato nonna Teresa corro subito su dalle scale sulla terrazza della mia camera per salutare la mia striscia di mare. Un treno passa fischiando e per un istante ruba lo scintillio azzurro. Il letto è stato rifatto con le lenzuola di lino ruvide e il copriletto a papaveri rossi.
Il resto del pomeriggio vola in giardino, dove ritrovo il viale con le rose profumate, il gazebo bianco di ferro battuto e faccio amicizia con i nuovi gattini della micia.
Mi risveglio col tintinnio della pendola in camera della nonna, otto rintocchi vibrano nel corridoio. Corro nel bagno di piastrelline azzurre: pipì, una manata d’acqua in faccia poi sposto la levetta del rubinetto del bidet. Chi aprirà l’acqua troverà il flusso deviato dai buchi del bordo a un buco in centro. Me la sghignazzo pensando allo spruzzo che bagna il soffitto.
Purtroppo le scale non hanno un corrimano abbastanza piatto da scivolare giù, comunque gli zoccoli nuovi del Dr Scholl fanno un bel “clack clack” sulle scale di pietra rosata. Stranamente da dietro le porte chiuse delle camere dei miei e dello zio non arriva nessuna sgridata. Mia sorella dorme ancora.

In cucina sul tavolo di marmo c’è già la focaccia calda, appena comprata. Ne scelgo un pezzo croccante ai bordi con tanto molliccio al centro. Ci mordo dentro con gli incisivi nuovi e mi godo il gusto con le mani unte.
La nonna mi manda nell’orto a raccogliere i lamponi per pranzo (uno in bocca e due nella ciotola) e quando torno in cucina, sono quasi pronti per andare “a spiaggia”.
I nostri bagni sono gli ultimi: bisogna passare sotto il voltino della ferrovia, girare a sinistra in un passaggio stretto tra il dietro delle cabine dipinte di azzurro e la massicciata. C’è un odore che sa di traversine scaldate dal sole misto a vernice.
Pino il proprietario ci accoglie sulla rotonda masticando, assieme al cannello della pipa spenta, una quantità di lamentele costellate di “belin”. Io butto zoccoli e prendisole in cabina e scendo in fretta la scala ripida di legno che è scivolosa per le impronte bagnate lasciate da qualcuno salito al bar. Finalmente ho i piedi nell’acqua.E' ancora fredda e i sassi sul bagnasciuga pungeranno almeno finché la pianta non si abituerà.
Uno strillo di mia madre mi riporta sotto l’ombrellone di corsa. Arriva la solita predica su: crema solare (con cui mi unge dappertutto), cappellino (che eliminerò il prima possibile) e aspettare le due ore prima del bagno che dura solo fino alle grinze sui polpastrelli. Oggi però non mi ribello, il bagno lo voglio pregustare cercando conchigliette e vetrini levigati dal mare e magari anche facendo un castello di sabbia con quell’imbranata di mia sorella.
Prima di tornare a casa i grandi bevono un crodino e noi un bicchiere di spuma. La doccia della spiaggia è così gelata che si appanna il tubo e io ci passo sotto solo per un attimo, così nei primi sorsi il gusto dolce della spuma si mischia con un rimasuglio di sale sulle labbra.
Dopo pranzo mamma ci veste bene. Di pomeriggio si va dagli altri nonni. Salgo i tre piani di scale di corsa: nonno Goffredo mi aspetta. Lo abbraccio forte ma per baciarlo devo aspettare che si chini. Profuma di dopobarba, sigaretta e caramella al rabarbaro. Poi usciamo: prima al bar Ghersi per il mio cono limone e cioccolato e il suo caffè, poi si va alla Croce Verde o a trovare Lino, il ceramista, che mi regala farfalle colorate (che rompo sempre) e che mi chiama “stondaia”. Ma io non sono bisbetica è solo che non mi piacciono troppo le smancerie. 
Oggi dobbiamo andare a casa di Pinetto a bagnare la barca che non si facciano le crepe sul fondo. La barca è nel cortile sotto un nespolo grandissimo e il nonno mi raccoglie le più mature e me le sbuccia, tenedole ferme mentre mordo la polpa succosa. Poi prende il suo fazzoletto, mi fa tirare fuori la lingua, inumidisce il fazzoletto sulla lingua e mi pulisce bene la bocca. Che non ci sgridino che abbiamo mangiato fuori pasto.
A volte ci fermiamo ad accarezzare il lassie di Clelia, fuori dal suo negozio con giornali e i giochi da spiaggia, oppure andiamo a trovare la zia Ernesta che è una zia del nonno vecchissima che abita in una casa con piastrelle bianche e nere, madonnine di Lourdes e biscotti molli nella scatola di latta in una credenza di legno.
Quando è ora il nonno mi riporta a casa di nonna Teresa. Ma va bene perché domani pomeriggio torneremo al bar Ghersi a prendere io il cono limone e cioccolato, lui il caffè.
E così sarà per tutti i pomeriggi della mia infanzia.

MB

7 commenti:

  1. i ricordi hanno spesso sapori "conosciuti" come di un qualcosa di già sentito...soprattutto quando vengono filtrati dalla narrativa "adulta". Magari premendo sull'acceleratore della deformazione infantile si poteva trovare un'angolatura diversa. Ben scritto ma un po' freddo. Il profumo dell'erba tagliata ha annoiato ormai o no? :)
    Meis

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  2. Hai ragione, ci sono ancora un paio di cose che non mi "suonano" in questo scritto. Mi succede sempre quando scrivo di me senza usare un personaggio come filtro: da qualche parte la storia si impunta. Aspetto altri numerosi consigli che mi aiutino a superare questo problema. Grazie
    manubirba

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    1. ma te "bambina" è già "personaggio" altro no? :) io, ma ovvio è un mio parere, avrei usato il filtro deformato della bambina: le scale sono una montagna, spesso un'impresa per le gambette di una bimba...il bidet una piscina, il fumo una letale puzza il lassie una bestia quasi esotica e cartoonesca... :)
      Meis

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  3. secondo me Manubirba si è immessa in un sentiero molto calpestato, tanti hanno scritto della loro infanzia (i "mi ricordo"..) e tutti finiscono per scrivere delle cose simili, fatte di dettagli relativi a cose che non ci sono più (i punti delle figurine Miralanza, per dire), immerse in atmosfere delicate; quanto detto riguarda l'argomento, la scrittura invece è ben modulata, garbata, elegante, pertanto la lettura può dare piacere; secondo me esistono argomenti che ad un certo punto vengono distrutti da un'opera che presenta caratteri di novità: con lo stesso tono di Manu (e di tanti), Simona Vinci in un romanzo dal titolo "DEi bambini non sappiamo niente" (o qualcosa di molto simile), parla di una bambina di otto anni circa: lei e la sua amichetta frequentavano un gruppo di ragazzini più grandi e tutti insieme andavano a giocare in un capanno abbandonato combinando di tutto e di più, con dovizia anche di particolare. Simona Vinci ha posto molto in là la frontiera che bisogna attraversare se si vuole essere originali con la scrittura di fatti relativi all'infanzia. A meno di usare lo sgaurdo infantile per poi parlare di altro, chessò, la bambina che dal suo punto di vista ricostruisce un fatto storico...
    GD

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  4. Fare letteratura del proprio vissuto è una delle cose più difficili che ci sia. Ricordo con sdegno Marquez che in Vivere per raccontarla offriva allo sguardo morboso dei lettori i nonni e le zie resi immortali da Cento anni di solitudine. Qui si tratta di una specie di cartolina animata, arrivata con qualche anno di ritardo direttamente dagli anni 70, e che, con un piano temporale tutto giocato al presente,rende alla perfezione l'atmosfera della vacanza e quella del rapporto privilegiato (e inesauribile) tra il nonno e la nipote.

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  5. Allora tu l'hai "sentito" il nonno? Ti dico solo che è la prima volta che riesco a scriverne senza piangere ... Mai più autobiografie!!!
    manubirba

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    1. Certo che l'ho sentito! Perchè mai più? Magari con modalità diverse, per vederselo davanti ogni tanto. Anche io ho ho seguito il tuo esempio ;) vedi le bozze...

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