martedì 30 ottobre 2012

Tema: Il colloquio

Svolgimento

Ore 09:35 di un qualsiasi mercoledì.
Mi presento puntuale, anche troppo. Ho un colloquio di lavoro alle 10:00 e per arrivare in orario ho puntato la sveglia alle 6:45.
Sono vestito in modo anonimo, niente particolari, nessuna identità.
Scarpe, mutande, calze scure, jeans, cintura, camicia, maglione, giubbotto, sciarpa.
Sono il signor Taldeitali, e mi viene anche un po’ da vomitare mentre suono al citofono.
Un portiere compare dal nulla, mi chiede con la faccia scura cosa voglio.
Ma dico, lo vedi come sono vestito, ti sembro un terrorista?! Ti sembro un serial killer?! Sono un altro stronzo che si presenta ad un altro colloquio di lavoro, quindi vedi di stare al tuo posto e dimmi in quale scala devo salire che questo condominio sembra un quadro di Escher.
Sulla porta d’ingresso c’è una scritta plastificata, com’è plastificato il sorriso di questo tizio che mi apre la porta.
 Alto due metri, la lingua di pezza, pochi capelli grassi, la pancia piena di birra, un alito da caffè appena preso.
È lo stesso che mi ha chiamato per telefono, insistendo a darmi del tu, ma chi ti conosce?! Ma chi sei?!
I miei passi si muovono all’unisono con i suoi, stiamo marciando verso il patibolo, a un tratto mi lascia in una sala break e mi dice di attendere lì mentre con un dito mi indica un distributore di caffè.


Attendere qui? E cosa? Mi sono svegliato come se dovessi andare a pescare, mi sono tirato a lustro, ho corso nel traffico, e tu mi dici di aspettare, e magari di prendermi questa acqua lorda che Tu chiami caffè e che Tu utilizzi come panacea per tutti i mali che ti affliggono dalla mattina quando ti svegli sino alla notte quando ti ubriachi? Ma finiamolo ‘sto teatrino, sono qui per un colloquio, sono qui per mostrarmi disponibile, per ridere a qualsiasi stupida battuta, per sopportare il fetore di deodoranti per ambienti e moquette lurida.
Ho un ghigno dipinto sul volto mentre faccio questi pensieri; alzo lo sguardo e due tizie squittiscono qualcosa guardandomi e iniziano a sghignazzare mentre masticano carote e mele; non faccio nessun commento e infilo un euro nella macchinetta che naturalmente non dà il resto.
… acqua lorda.
Il pachiderma ritorna, ha in mano il mio curriculum, sopra c’è scarabocchiato qualcosa a penna, mentre lo seguo divento quasi strabico per riuscire a capire cosa c’è scritto, entriamo nella stanza dei colloqui mi presenta una sua collega e mi mette davanti a un computer.
Silenzio di almeno tre minuti, poi mi guarda e chiede:
“Esperienze lavorative?”.
Idiota! Ti ho mandato il mio curriculum tre volte, ci ho messo due giorni per scriverlo in formato europeo, per specificare ogni singola cosa che ho fatto nella vita, mi sono anche umiliato a inserire quelle menate del tipo “particolarmente portato alla leadership e al lavoro di gruppo” o “ottime capacità relazionali acquisite durante gli anni di volontariato”.
Inizio a parlare, ma non faccio in tempo a inserire un verbo nella frase che al capidoglio squilla il telefono e risponde; mi volto a cercare la sua collega ma sembra essersi dileguata, mi blocco, aspetto, guardo fuori, lui chiude la telefonata e mi chiede le mie conoscenze linguistiche.
Ma sono venuto per un colloquio di lavoro per un call-center che vende abbronzanti, creme dimagranti e corsi di cucina, perché vuoi sapere le mie conoscenze linguistiche, dove li vendi ‘sti abbronzanti, in Zimbabwe?
Rispondo vergognandomi che il mio inglese è scolastico, e borbotto qualcosa di poco comprensibile mentre cerco di spiegare perché dal curriculum sembro meglio di Tiziano Terzani.
Mi chiede perché vorrei lavorare per questa società.
Questa la so.
 Recito la messa che vuole sentirsi dire, e non lesino bigiotterie linguistiche come: nuove esperienze, crescita formativa, ambiente stimolante.
Faccio fatica a rificcare i pensieri in fondo alla gola: sto facendo un colloquio per vendere corsi di cucina a casalinghe disperate (disperate vero però); se dovesse andare bene sarò pagato otto centesimi di fisso all’anno più due euro ogni venti tizie che riesco a infinocchiare costringendole a impegnare gli ori di famiglia per preparare il pollo tandoori invece della pasta con i broccoli ai loro mariti (pensa che saranno contenti!).
Verrò insultato, maledetto, ignorato, minacciato, calpestato, sgridato, offeso, umiliato e se scoprono dove abito corro anche il rischio di essere sequestrato e incaprettato.
Verrò incastrato in orari improponibili che non mi permetteranno di accettare neanche un altro part-time di dodici minuti al mese, e firmerò uno schifo di contratto a progetto che somiglia al regolamento interno della base di Guantanamo.
Finisco comunque l’omelia con il sorriso più ipocrita del mio repertorio, qualche frase di circostanza e il colloquio è finito.
Colleziono il suo “le faremo sapere”, e sono quasi certo che non mi richiamerà.
Esco, metto la suoneria al telefono, e trovo una chiamata di mia madre che vorrà sapere com’è andata.
Adesso non ci riesco, adesso proprio non ce la faccio.
Spengo il telefono e inizio a vagare per la città.
Sono le undici, inizia a far caldo, l’immondizia fermenta, io compro il giornale che finirò di leggere aspettando alla fermata di un autobus di questa meravigliosa città.



Alessio Colli

6 commenti:

  1. sei troppo CHOOSY! stasera ti twitto alla Fornero

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    1. twittato a tutte le testate giornalistiche Fornero compresa!! zzzzzz qualcuno leggera',anche a Chicco Mentana :°)

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  2. Ho sentito questo post. Lo ha lrinta, la giusta rabbia. mietto a un reading questa estate a Casaurro a Bagheria. Riesce a creare quel clima che solo un givane in questi tempi di poco lavoro sa raccontare. Mi piace la grinta, la giusta rabbia, Bravo!

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    1. Errata corrige: dove dico: lo ha l.., continua in maniera corretta con : lo ha letto a un reading a Casaurro a B.

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  3. Prima di leggere questo post bisogna andare in bagno e pulirsi gli occhi. E' un racconto tremendo, che funziona alla grande.
    Dopodichè fate uno sforzo d'immaginazione: chitarra di Dario in un giro di accordi blues, Alessio che lo legge con cadenza un po' da rapper. Non resta che urlare bis.
    Gd

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    1. È stato chiesto, infatti!
      Complimentazioni, Alessio!

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