mercoledì 2 novembre 2011

tema: fiori di campo, fiori di zucca, fiori d'arancio e pupi di zucchero.

svolgimento

Non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. Quando si stava peggio si stava peggio e, adesso che il peggio è peggiorato, quello di prima ce lo siamo scordati. È notte fonda oramai. Sono per un paio di giorni a casa dei miei. I motori delle celle frigorifere della salumeria sotto casa ronzano metalliche e mi ricordano grilli elettronici, tipo quelli che vendono da Città del Sole. Io ci vado spesso ed ogni tanto ci gioco sotto lo sguardo di disappunto di una gentilissima commessa sempre pronta al sorriso non appena mi giro di scatto. Non la colgo mai impreparata. Lei sorride. E mi diverto a giocare ora con gli animaletti elettronici (lo scarafaggio è bellissimo), ora col suo stucchevole sorriso. Sto divagando e la cosa non va. Ottobre è appena passato. Sono nello studio di casa dei miei, ho la finestra leggermente aperta per far uscire il fumo delle mie sigarette. Inizia un nuovo novembre. A me il mese di novembre è sempre piaciuto perché è l’inizio dell’inverno e fa freddo, ma non troppo. Poi è arrivata Giusy Ferreri e non lo posso sentire nominare più novembre perché mi passa per la testa quel motivetto cane martellante. Divago di nuovo. Ricapitoliamo: è notte e sono a casa dei miei. E mi fa bene anche. Sono originario di un paesino della provincia e vado fiero dei miei natali: uno perché qui c’è il mare, quello vero, con i pesci e gli scarabei e tutto il resto, due perché dicono che l’aria sia buona, nonostante le tonnellate di amianto, ancora da smaltire, regalateci dalle baraccopoli del terremoto della valle del Belice. È un dovere essere qui in questi giorni. Ognissanti è la giornata che dà inizio alla sessione delle feste invernali, un unico carrello infinito di portate che da qui finirà l’otto di gennaio, per poi riprendere a carnevale. 

Non voglio fare il nostalgico e non rimpiangerò mai gli stramaledettissimi anni ottanta e novanta che ci hanno rovinato. Ma quando ero piccolo io, Halloween non c’era. Era il periodo della raccolta delle olive e si andava in campagna e l’odore dei fiori bianchi di campo, ancora bagnati di rugiada e il vigoroso e aspro odore di olive verdi stordivano le mie narici e mi davano una piacevole sensazione di benessere. Vorrei chiedere a un professionista di farmene un’essenza, che potrei portarmela nel taschino della giacca che fa molto bohemien. Ma io sono povero e non vivo a Montparnasse. Vivo a Ballarò e, credetemi sulla parola, c’è una grossa differenza. E, soprattutto, sono nato in un’epoca ben lontana. Il 2 novembre era la vera festa. I morti, durante la notte, entravano di soppiatto nelle camerette di noi bambini e ci portavano un cesto pieno di leccornie: troneggiava al centro il “Pupu di zzuccaru” seguito a ruota da variopinta frutta Martorana, cioccolatini, caramelle, merendine di ogni tipo e, ai più fortunati, anche banconote da diecimila lire. A volte venivano accompagnati da giocattoli. Ricordo ancora il mio primo Transformers e il Baby Luca di mia sorella. Una notte volevo aspettare mio nonno in piedi. Io a lui non l’avevo mai visto e volevo coglierlo in flagrante e magari sentire la sua voce. Ma mi addormentai e persi l’occasione della mia vita. Le zucche svuotate con la faccia brutta e le candele dentro io non le avevo quand’ero piccolo e, tutt’ora, al nauseabondo odore dolciastro di zucca preferisco il dolce odore della frutta Martorana e dello zucchero vanigliato. 

A me la zucca piace. E non per le sue capacità locomotorie. Solo a quella sgualdrinella di Cenerentola riuscì l’inghippo di accaparrarsi quel fotutissimo principe in calzamaglia azzurrocielodiprimavera. Della zucca mi piacciono pure i fiori: in pastella, in pastella ripieni di alici, in pastella ripieni di formaggio primo sale, abbinati alle cozze per uno sfizioso spaghetto o insieme ad un risotto magari coi gamberetti. 

A proposito di fiori. Tutte le volte che torno al paesello vengon fuori tutte le notiziole che riguardano i coetanei, compagni di scuola o gli amici di infanzia. Trovo nuovi amori, fiori d’arancio appena sbocciati e, nella migliore delle ipotesi, coetanei/e che spingono carrozzine e passeggini. Bene. Facciamo un pausa. Respiro. Ce la posso fare. No sì vabbè occhei. Tu hai la mentalità cittadina, mi dicono. E quando ti sistemi, ti vogliamo vedere sistemato, facci conoscere qualcuno. No dico, ma è proprio necessario? Incontro una volta l’anno un ex compagno di liceo che sta sempre a dirmi: sei l’unico che più passano gli anni più ringiovanisce. Un motivo ci sarà, dico sempre io. È che proprio io mi vedo ancora giovincello. Certo, mi son pure scelto un lavoro che non dà il minimo sentore di stabilità economica, mentre gli altri, i miei coetanei, hanno lavori seri. Loro lavorano cribbio! Mica come me. Avvocati in giacca e cravatta, piccoli-medio imprenditori che si dimenano tra uffici bancari e uffici postali, ingegneri che si dirigono da un cantiere all’altro, medici che dalla seconda linea passano direttamente in prima linea, impeccabili assicuratori, impettiti impiegati di banca, segretarie con gli occhiali che si fanno sposare dagli avvocati. La mia amica imprenditrice edile mi umilia sempre dicendomi “Oramai hai trent’anni. Devi smetterla di vestirti come un ragazzino”. Vero. Non posso darle torto. Anch’io a volte mi farei un rimprovero, ma dopo mi perdonerei. Io c’ho pure provato a vestirmi da trentenne. Non ce la faccio, mi sento triste. E poi, devo dirla tutta, non è che completamente opera mia. L’estate scorsa entro in uno store di una nota marca di scarpe di tela italiane. Per l’anniversario della casa mettono in vendita delle scarpe dedicate ai grandi fumetti americani. Ne compro immediatamente un paio coloratissime: nella destra compare un enorme Batman, nella sinistra un enorme Robin. Non ho resistito. Corro da mia madre pronto a ricevere, quanto meno, uno sguardo di dissenso. Macchè! Felicissima, mi abbraccia e mi dice di provarle e mi guarda con fierezza. Lei è fiera di avere un figlio tanto coraggioso. Non si cura minimente del fatto che i figli delle sue amiche siano tutti sistemati ed impostati. Lei dice in giro che suo figlio fa l’artista. Rendiamoci conto. Me lo dice sempre che io devo andare nei quiz a rispondere alle domande e non per i soldi, ma perché sono bravo. Solo che però sono troppo impulsivo, lei dice, e che potrei sbagliare proprio per quello. La mia amica d’infanzia, una di quelle persone con le quali ho condiviso una grossa fetta della mia vita, decide di sposarsi. Naturalmente mi chiede di farle da testimone. Una formalità perché me lo diceva sin dai banchi delle medie. La cosa atroce è che lei non mi avesse mai visto come colui che poteva essere al suo fianco sull’altare, no. Io dovevo, da sempre e per sempre, stare al suo lato, sull’altare. Tristezza. Comincio a cercare qualcosa da mettere per quell’evento. Naturalmente sarebbero stati presenti tutti gli amici comuni, la maggior parte dei quali è stata nominata poco prima. Dopo spasmodiche ricerche opto per una giacca e un pantalone grigio scuro gessato malva. Non volevo esagerare e sembrare appariscente. Ma non ce l’ho fatta. Misi al collo una cravatta che mi aveva regalato una collega di università. Un artista tunisino avevo deciso di fare una dedica a Palermo e imprimere su un vecchio cravattino anni settanta una colata di colore per tessuto bianco e una colata rosa e la scritta in nero “la vita è rosa e nera”. Mi decisi a mettere quella cravatta su una anonima camicia bianca. Il risultato fu da catalogo. Molti erano divertiti dal mio abbigliamento poco consono ma rispettoso e in molti mi fecero anche i complimenti. La cosa più incredibile fu mio padre che mi fa “Perché non vai in merceria e compri della coda di topo color malva? Potresti usarla per cambiare le stringhe alle scarpe. Staresti davvero bene”. Mio padre, che di suo è una persona sobria, aveva deciso che io potevo portarmi fino ai confini del decente per un’occasione formale come quella.

Domattina ho deciso che andrò a raccogliere le olive. Voglio risentire quegli odori e riavere i miei Transformers. Del resto ho la fortuna di ereditare un pezzo di uliveto. Vorrei che domattina i miei morti mi facciano trovare un paniere con tanta cioccolata, un pupo di zucchero (non il cantante), un nuovo programma per Serena Dandini, delle gomme da masticare, una diminuzione improvvisa dell’IVA, della frutta Martorana, un indice spread più basso, i Frizzy Pazzy, una Santanchè buona, dei biscotti all’arancia e cannella, il licenziamento di Barbara D’Urso, la crema di pistacchi di Bronte, la resurrezione di Sandro Pertini, un pezzo di panforte, un nuovo governo e, in fondo al paniere, magari un nuovo progetto tutto per me. Per il resto finisco di mangiare i fiori di zucca in pastella avanzati dalla cena che m’ha fatto la mamma, mi fumo l'ultima sigaretta e vado a nanna.

VB



8 commenti:

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  2. Bartucca, dopo aver letto tutto il post, trovare quel commento, mi stava facendo incazzare..ahahaahaah
    troppo bello assai questo post però fatti consigliare da quarche stilista, i pantaloni malva proprio non si possono sentire dire... però tò patri e tua matre manco babbiano.. ma loro come si vestono? come minimo idda sarà tutta Westwood e iddu tutto Moschino vintage..ahaahaha
    GD

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  3. Caro Bertucca, Laura Tonatto ( tra le altre cose di Moncalieri come Me ) conosciuta in tutto il mondo per i suoi profumi esclusivi ( ne ha fatto uno per la Regina Elisabetta) sara' felice di esaudire la tua richiesta! Se Vuoi ci metto una buona parola essendo concittadine! Anzi vado subito sul suo profilo a chiederLe se possibile!

    http://www.lauratonatto.com/tonatto.php?l=ita

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  4. Fatto!! se chiedi al D'Amato ti dira' che per me nulla è impossibile che accada :)

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  5. e siccome sono simpatico, bello e vincente i miei amichetti del blog me lo regaleranno per natale il profumo costosissimo della tipa praticamente sconosciuto ma tua concittadina. e per dovere di cronaca io non indosserei mai dei pantaloni color malva: i pantaloni erano grigio scuri dgessati malva.

    piccola postilla.

    nei primi anni del duemila sulle passerella apparve un colore molto simile al rosa antico ma un tantino più acceso (un rosa nuovo oserei dire) e cominciarono a chiamarlo "lilla". da qualche anno la stessa identica nuance ritorna anche nell'arredamento. stavolta cambia il nome. malva.
    cazzo.

    ma si può dire cazzo in questo blog o la maestra mi bacchetta?

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  6. la maestra di questo blog ha visto tutta la saga di Saw... aggiornata è!

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  7. ma come si fa che di in paese è sempre la stessa storia:-) in realtà è proprio vero forse siamo noi che siamo troppo cittadini, o forse che pretendiamo di stare veramente bene da non accontentarci mai...questo è il mio spazio e quello è il tuo:-(

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