mercoledì 20 novembre 2013

Tema: Poche cose in un borsone

Sez. In viaggio
Svolgimento

Il pavimento era freddo, lo sentiva attraverso la guancia, freddo e duro, e odorava di polvere umida e di detersivo, aveva lavato il pavimento al mattino ma dopo aveva piovuto e al rientro lui si era portato sotto le scarpe di gomma un po’ della nebbia della strada e i marciapiedi delle merde dei cani, i cantieri dove era andato a cercare un lavoro e i bar dove aveva bevuto gin fino alla tacca centrale, poco oltre la soglia della dignità. Poi era tornato a casa.
Il pavimento era freddo, adesso lo sentiva anche attraverso la maglia e il collant, la gonna si era spostata verso l’alto ma lei non si mosse, non allungò il braccio per abbassarla, forse lo pensò, però come si pensa nei sogni, quando si vuole fare qualcosa senza invece avere la forza di muoversi di un millimetro.
E infatti non si mosse, chiuse gli occhi e decise di pensare a Venezia, da quanto tempo voleva andarci, dai tempi del viaggio d’istruzione che non aveva fatto perché lui era geloso e non aveva voluto lasciarla andare, che ti serve andare da sola a Venezia aveva detto, poi ci andiamo insieme, in fondo è la città degli innamorati, che ci vai a fare senza di me. Ma poi non ci erano mai andati, lui diceva che le gondole gli sembravano bare galleggianti, e poi lo sanno tutti che Venezia puzza di piscio di gatto, altro che città romantica, roba per turisti giapponesi, come dire per allocchi pieni di soldi, ci sono tante belle città in Italia, lo sanno tutti che Venezia è cara e poi estate e inverno c’è sempre un’umidità che non si respira. Molto meglio Roma. O Firenze.
Così non erano mai andati a Venezia, però nemmeno a Roma o a Firenze, non erano mai stati da nessuna parte, perché ci volevano troppi soldi per partire come si deve, e lui che lavorava un mese sì e due no non si poteva permettere una vacanza come si deve, non potevano mica andare a fare i barboni in giro per il mondo, o si viaggia comodi o meglio starsene a casa.
Invece lei pensava che avrebbe fatto anche l’autostop pur di andare a Venezia, che ci sarebbe andata anche a piedi, però quella volta che lo disse finì come finì, del resto avrebbe dovuto pensarci prima, era ovvio che insistendo lo avrebbe colpito nel suo amor proprio di uomo, era colpa sua, avrebbe dovuto pensarci prima.
Dall’altra stanza sentiva il respiro di lui diventare sempre più profondo e regolare, adesso russava.

Chiuse gli occhi e cominciò a organizzare la sua partenza: poche cose in un borsone, anzi uno zainetto sarebbe bastato, non c’era nulla, pensava, che le servisse davvero portare con sé, pochi soldi in tasca, il necessario per comprare un biglietto del treno, un viaggio lungo e lento, un viaggio per assaporare l’attesa, per percepire l’allontanamento chilometro dopo chilometro, fermata dopo fermata.
Poi finalmente l’arrivo, finalmente avrebbe lasciato la terraferma alle sue spalle, avrebbe posato i piedi su uno di quei ponti che aveva visto solo in foto e in tv. Avrebbe trovato subito un lavoro, avrebbe fatto la commessa in un negozio di souvenir, si sarebbe adattata a dormire in un buco qualsiasi. E gli avrebbe telefonato, per dirgli che stava bene, che non si preoccupasse per lei, che però non sapeva quando sarebbe tornata a casa, presto, sì presto, il tempo di mettere da parte un po’ di soldi. Non gli avrebbe detto dov’era. Un giorno, una mattina, di domenica, con il sole e i turisti che vociavano e fotografavano intorno, avrebbe raggiunto Rialto, chissà se era davvero bello come in fotografia, sarebbe arrivata nel punto più alto del ponte, proprio in cima alla sua libertà, e avrebbe lasciato cadere il cellulare nella laguna, poi avrebbe cercato una panchina e avrebbe passato tutta una giornata lì, ad ascoltare l’assenza delle macchine, a sentire vibrare il selciato sotto i piedi, a guardare la luce giocare con l’acqua. Ad ascoltare l’acqua.

Il pavimento era sempre più freddo e adesso sembrava anche bagnato. Provò a muoversi, piano, sapeva come compiere caute ricognizioni per verificare che non ci fosse niente di rotto, che gli arti rispondessero. Solo allora capì che quel bagnato era sangue, dal labbro dal naso, chissà. Le costole le dolevano, la smorfia di dolore le rivelò un nuovo dolore, all’occhio sinistro. Raggiunse il bagno, rimase a lungo con la faccia sotto il rubinetto, l’acqua fredda dapprima faceva male poi anestetizzava. China com’era allungò un braccio verso il cassetto alle sue spalle, a tentoni cercò, trovò la cicatrene, il tubetto era quasi vuoto, doveva ricordarsi di comprarlo domani. Si riasciugò, fuori dalla finestra il cielo si era fatto scuro, dovevano essere le sette passate ed era tempo di darsi una mossa, c’era la cena da preparare e lei aveva dimenticato di scongelare la carne. Con gesti rapidi finì di medicarsi, avendo cura di evitare di incrociare il proprio sguardo nello specchio che aveva di fronte.

Patrizia Sardisco

14 commenti:

  1. Ben scritto, proprio bello. Triste, realistico, tragico. Il sogno nasce in mezzo al sangue, affiora libero di andare, è al risveglio che l'uomo (qui donna) perde tutta la sua forza e la speranza. Bravissima.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gazie Jole, sono contenta che ti sia piaciuto.
      ciao!
      pat

      Elimina
  2. Raccontare una violenza dalla fine e poi tornare indietro, partendo da un elemento poco banale come il pavimento freddo. complimenti.

    Federico

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ehi Federico, grazie! era proprio il freddo che volevo richiamare!
      ciao
      pat

      Elimina
  3. ciao Pat, il post è scritto bene e tu sei molto brava.
    quando ci vedremo ti dirò alcune cose, ricordamelo
    gd

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Giorgio! Ma.... come sei sibillino!!.... Devo preoccuparmi? Ahahaah....
      a presto
      pat

      Elimina
  4. La storia mi è piaciuta, vi ho trovato una Patrizia meno ricercata e più diretta, molto spontanea, mai scontata, sempre credibile. Certo, il tema è bello tosto e tu lo hai saputo raccontare con quella cifra che ti distingue e ti appartiene: equilibrio ed eleganza, la stessa che io noto in te anche quando bevi il caffè. E' dura per me leggere di violenze sulle donne, mi è ancora più faticoso scriverne, ma so apprezzare la bontà di un lavoro in cui temi così forti vengono saputi trattare con questo particolare stile, che è il tuo. Brava davvero Pat. Ho visto giusto.
    L.I.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lucia lo sai quanto tenga al tuo parere, grazie per le tue parole sempre tanto generose! quanto al tema, sì, lo sai che ci tengo molto, e ne ho già scritto altrove, anche su questo blog con "oltre il buio", è un'urgenza che non permette di abbassare la guardia, ogni giorno, in ogni piega, il mostro si infratta dentro ogni contesto anche in quello che meno ti aspetti.
      tvb, lo sai
      pat

      Elimina
  5. Anche a me il brano è piaciuto parecchio.
    Un tema trattato con tanta agghiacciante semplicità.
    Veramente complimenti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie di cuore! sono veramente contenta che ti sia piaciuto, ciao
      pat

      Elimina
  6. Complimenti Patrizia! Ormai riconosco il tuo stile fin dall'inizio, e mi piace molto! Durante il sogno di lei di fuggire a Venezia, sembra quasi che vada tutto bene, poi ti ricordi che lei è stesa sul pavimento... E' veramente bellissimo e mi ha colpita molto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. eh Valeria, addirittura! senti chi parla di stile.... grazie, davvero felice di esserti piaciuta. ciao
      pat

      Elimina
  7. Efficace. Freddo come l'impotenza. E triste come l'illusoria speranza di salvezza in un biglietto ferroviario. Brava.

    RispondiElimina