svolgimento
solo
solo
sole
sale
mare
io sono un’isola.
Per favore, per un attimo, mettiamo da parte preconcetti e stereotipi sui siciliani. Che è gente solare, che hanno sempre il sorriso sulla bocca, che la loro ospitalità è ineguagliabile, che in Sicilia c’è sempre il sole, si mangia e beve bene spendendo poco, che ci sono uomini bellissimi e donne mozzafiato e giù di lì con considerazioni scontate, prive di qualsivoglia corrispondenza al reale e soprattutto fuorvianti. Parla un siciliano che, prima che siciliano, è un isolano. Giro la mia terra e in qualsiasi punto cardinale mi trovi so che c’è il mare. E il sole, e il sale, e sono solo.
Nei miei viaggi in continente (ho sempre amato chiamare così la terraferma) rimango estasiato e assumo un’espressione ebete da bamboccio. Ma non per i monumenti, per la vegetazione o per i colori. Neanche per il cibo a dire il vero. Mi affascina una cosa che puoi fare solo in continente: ti metti in macchina (o prendi un bus, un treno o qualsivoglia altro mezzo di locomozione terrestre) ed hai la possibilità di passare da una regione all’altra. Dio che cosa fantastica! Voglio dire, prendi un autobus e ti trovi, che ne so, in Campania: due ore dopo sei già nel Lazio. Sei in Emilia? Prendi un’autovettura e un’ora dopo sei in Lombardia. Sei nel Veneto? Prendi un treno e dopo un’ora sei in Trentino Alto Adige. Tutto ciò mi affascina. È una cosa che se vivi in un’isola non sperimenti mai. Sei in provincia di Palermo? Al massimo ti sposti in provincia di Trapani. O Catania se vuoi fare il figo. Ma sei dentro i confini territoriali di un’unica regione. Ed è la stessa esperienza dei miei amici sardi. E ancor più gli amici che vivono nelle isole minori. Parliamone. Sei ad Ustica? Rimani ad Ustica. L’isola corrisponde alla cittadina, l’identificazione è anche territoriale. Non ho ancora capito se questo sia un bene o un male. E non me lo chiedo neanche, se devo dirla tutta. Ma se oltrepasso lo stretto mi piace viaggiare in auto, o in treno tutt’al più, così posso avvertire il passaggio da una regione all’altra.
Questa sera esco dal cinema. Accendo una sigaretta e il fumo mi brucia la gola. Dalla terra sale il profumo di umidità lasciato dalla pioggia pomeridiana. Avrei voluto che si sentisse anche un afrore di incenso, o di lavanda. Ma la magia non avvenne. Non avendo specchi con me ho provato ad immaginare la mia espressione, avrei voluto vedermi. Un po’ di nausea e l’impressione di essere appena uscito da una centrifuga. Crialese. È tutta colpa sua. Ed è solo al suo terzo film. Che brirbantello che è! La potenza espressiva e la forte componente onirica ed evocativa trovano un confronto solo in Fellini. Certo son due percorsi artistici completamente differenti, ma è da allora che il cinema italiano non conosceva un regista così visionario. “Terraferma”: storia schematica e a tratti patetica, una sceneggiatura lacunosa e scontata, personaggini che si reggono su stampelle. Ma questi difetti passano inosservati quando lo spettatore viene rapito da una pulsione scopica che lo porta alla bramosia: dammene ancora Crialese! dammi mare, dammi cielo, dammi roccia, dammi legno, dammi sabbia, dammi pelle bruciata dal sole, dammi corpi, dammi braccia, dammi mani. Le mani e le braccia in questo film sono i veri protagonisti, insieme al mare, ad una terra matrigna fatta di rocce, spiagge nere e vegetazione arsa. E poi ci sono occhi, azzurri solo quelli di Filippo il protagonista, tutti neri gli altri. E capelli, tanti, scompigliati dal vento e bruciati dal sale. “Immagini che danno una vertigine elettrica” scrive in una recensione un mio amico giornalista (neanche a dirlo anche lui isolano, Sardegna però). Il blu di quel mare viene disseminato ovunque nel film, in tutte le sue declinazioni: dal verde acqua al cobalto, creando una tavolozza degna di un vedutista settecentesco. E da contrappunto la pelle nera di una madonna arrivata dal mare che stringe tra le braccia una bimba tra una panno rosso ed uno blu. L’ultimo album di Vinicio Capossela, uscito in primavera, contiene il brano “La Madonna delle conchiglie” affronta lo stesso tema del film di Crialese. Ed è straordinario cogliere questa affinità che unisce due artisti tanto evocativi. Fabio Bianchetti cura la fotografia, un’eccellente lavoro nelle scene diurne e di forte impatto risultano quelle notturne in cui la luce, proiettata solamente da un lato della scena, taglia e definisce corpi ed oggetti riproducendo immagini dal sapore decadente caravaggesco. Se abbiniamo a questo un montaggio, affidato all’occhio femminile della brava Simona Paggi, perfetto e nitido, senza sbavature, senza ambiguità e con una forte evocatività, il gioco è fatto. Emanuele Crialese, romano di nascita e siciliano di origine, sembra affetto da quella stessa malattia che pungola il cuore nostalgico e il fegato ingrossato di tutti gli isolani: l’isolitudine.
È notte fonda, sto fumando, avverto ancora una forte umidità. Accanto al posacenere ho una scatola con dei fiori di lavanda. Sul mio terrazzino alzo gli occhi dal pc e guardo verso il mare. È nascosto dai palazzi, ma so che c’è. I gabbiani sono stati richiamati dai pescherecci in arrivo e danzano sulla mia testa. Domani prenderò la mia punto rossa e so che non potrò cambiare regione. Ho gli occhi puntati verso il mare, come tutte le notti, come tutti i giorni. Il cuore nostalgico, il fegato ingrossato.
CHAPEAU!!!
RispondiEliminaCi siamo datti alla bloggata introspettiva..mi piacque mi piacque
RispondiEliminaIo cambio volentieri la ISOLITUDINE per la PIEMONTITUDINE!
RispondiEliminaChemmifrega delle altre regioni quando tutto l'anno viaggio in maglietta, alzo lo sguardo e invece che la Pianura padana vedo il mare, sto con gente allegra che non scappa se gli chiedo un informazione, mangio pesce fresco che non conosce il signor Findus.
E smettila di fumare che ti fa male :)
Ho ammazzato l'introspezione?? :)
Chissà se esiste una MONTECARLITUDINE!
RispondiEliminamanca il gin.
RispondiEliminacmq per me è tutta colpa della punto rosso, mai fidarsi delle Fiat.......
RispondiEliminaSì, più o meno sono d'accordo con la tua recensione tranne che su un punto: la sceneggiatura zoppicante quanto i suoi personaggi.
RispondiEliminaCredo che in un film del genere, una vera e propria tela di colori, di sensazioni e di romantiche evocazioni, la sceneggiatura non può e non deve costituire il pezzo da novanta, altrimenti si rischierebbe di rovinare tutto, quasi come mettere una bellissima tela in una meravigliosa cornice. Ma oltre questo, sceneggiatura e personaggi, nella loro semplicità, hanno il compito di mostrare allo spettatore un'altra dimensione del dramma parallela a quella principale, ovvero quella degli isolani, dei loro problemi, del loro abbandono alle leggi di natura, di una natura terribile come quella isolana, ma anche come quella della natura umana stessa, lupo per gli altri quando lo stato o un ordine superiore lo costringe.
Se consideriamo la sceneggiatura nella sua totalità, questo film è una matriosca.
E poi il personaggio di nonno Cuticchio? Lo sguardo, il modo di muoversi e di modulare la voce, a volte patetico a volte leggero come quello di un vecchio-bambino?
Un bacio.
Vale delle camelie.
Splendida la tua recensione! Sicuramente in campo cinematografico non ho competenze tali per controbattere. Sono uscita dal cinema poco fa e pur non avendo letto la tua recensione ho commentato il film con una sola parola "isolitudine". Non riesco a pensare a un'altra che renda meglio lo stato d'animo di chi, isolano, pur vivendo al nord da quasi cinque anni, porta nostalgicamente in sè quella condizione indelebile...
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