domenica 11 settembre 2011

Tema: Il valzer degli arrivederci

Svolgimento

25 agosto 2011. Mi trovo a Tropea, ridente cittadina calabra in provincia di Vibo Valentia. Resa famosa dalle sue cipolle, è una meta turistica tranquilla e fuori dai giri mondani. Tarda mattinata, prima di andare in spiaggia il mio compagno di viaggio prende un po’ di pizza in una sorta di fast food alla buona, io opto per un panino e una birra. Entro in una salumeria, di quelle vecchie, vintage direbbe qualcuno: pareti annerite dalla muffa; tanfo di stantìo, sali e detersivi; bancone in marmo; affettatrice a manovella; vecchi fustoni di dixan; un paio di formati di pasta; due frigoriferi da cucina; un banco salumi con tre o quattro salami e un po’ di provole; dietro al bancone il sorriso smagliante di un vecchietto che ha superato abbondantemente i 70 anni. Le leggi delle Comunità Europea in quel posto non sono ancora arrivate. Io e il mio fascino decadente decidiamo che quello era il posto giusto per un pasto frugale e casereccio.“Buongiorno” faccio all’omino ricambiando il caloroso sorriso con cui mi aveva accolto. Mi chiede in cosa potesse essermi utile ed ordino un panino con una soppressata poco piccante e della provola. Chiedo un birra e mi dice che potevo aprire il frigorifero io stesso. Apro e prendo una media bionda. Gli occhi vengono folgorati da una luccicante e invitante bottiglietta di Brasilena. Breve parentesi. La Brasilena è una bevanda al caffè, una gassosa con aggiunta di caffè, che, per un mistero degno di uno dei più grandi dogmi, è possibile trovarla solamente in Calabria. Prendo anche quella e mi dirigo al banco, chiedo il conto, 3,50 euro (Tropea è una ridente cittadina calabra in provincia di Vibo Valentia ancora a misura di trentenne squattrinato), pago e sorrido all’ometto augurandogli una buona giornata e un buon lavoro; lui mi sorride e con una flebile vocina arrivatami da dietro il banco mi fa “salve!”.
Ecco. Poesia rovinata, stop fine basta.
Ricordo ancora quel giorno alle elementari, sarà stata la seconda o la terza quando la mia maestra (donnona sicula corpulenta dalla formazione fascista, con un alto culto della patria e dai metodi educativi veementi e alquanto discutibili) spiegò a noi fanciulli i saluti della lingua italiana. Lo ricordo bene, lo giuro: «Salve, che viene dal latino e significa salute a te viene usato come saluto di incontro».
Non è la prima volta, a onor del vero,  che mi viene rivolta questa forma di saluto all’uscita di un negozio o di un ufficio. Mi stride all’orecchio. Certo potrebbe sembrare una stupidaggine, e forse lo è.
La formula di saluto salve è un’espressione tradizionale che deriva dal latino e attestata in ogni epoca per l’italiano. Si tratta della forma dell’imperativo del verbo latino salvĒre “essere in buona salute” ed è quindi un’espressione augurale. In latino era spesso associata a vale “addio” nella formula di commiato vale atque salve “addio e stai bene”. Già nell’italiano rinascimentale si documentano casi che testimoniano la specializzazione delle due formule: salve come saluto d’incontro e vale come saluto di commiato.
La locuzione salve, ovviamente, ha perso il significato iniziale divenendo una forma di saluto simile ad altre ma che ha sempre quella caratteristica di essere una formula di incontro.
Nel 2009 Raffaella Setti scrive un articolo sulla rivista dell’Accademia della Crusca affrontando l’argomento. La Setti individua la rinascita e il ripescaggio di questa formula, che fino a qualche anno fa sembrava desueta, nell’abbassamento di formalità che caratterizza il nostro tempo.
La questione qui non è se usarla o meno. A me piace come espressione, ma nel suo significato iniziale “salute a te”.
Oggi salve viene largamente utilizzato nei messaggi di posta elettronica: la formula appare come risolutiva quando ci siano incertezze sul grado di formalità del registro da tenere con l’interlocutore (spesso più di uno e talvolta assolutamente sconosciuto) e non risulta vincolante rispetto al momento della giornata in cui scriviamo o in cui viene letto il nostro messaggio.
Che la lingua e le espressioni si evolvano non è un mistero né una novità. Che la formalità veda un lento e inesorabile declino è una certezza. D’altra parte sembrano così lontani quegli anni 60 e 70 in cui ancora i figli, soprattutto al sud, davano del voi a genitori e zii.
Ma quando incontrate un nostalgico decadente come me che ama Tropea, le vecchie salumerie, le maestre di formazione mussoliniana e la formalità, e ve ne separate e non volete essere troppo formali, vi prego, salutatelo con un benigno arrivederci.

VB

10 commenti:

  1. Ci sono saluti che cominciano con V e continuano con A e ancora con F, che valgono più di tanti "salve".
    Il tuo post comunque dimostra che si può tornare vivi dalla Calabria...ahahaahhahaaa

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  2. cerchiamo di rimanere lucidi.

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  3. Io uso spesso "SALVE" in quei di Torino, quando non so bene se dire "CIAO" o "BUONGIORNO" , lo considero una via di mezzo del saluto :)


    p.s. sono lucidissima come una palla da biliardo!

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  4. La signora Wood è affetta da comite.

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  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  6. Salve lettori!
    ecco, questo è uno di quei casi in cui amo utilizzare questa locuzione.
    ma adesso che chiudo il mio post occorre un saluto di commiato tipo:
    arrivederci
    anzi no...
    arileggervi.

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  7. cosa? sei stato una meteora? ahhhahaaaa
    o trattasi di post con la scadenza?

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  8. ...questo è il mio spazio...quello è il tuo spazio:-)

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