giovedì 26 aprile 2012

Sezione Grandi Scrittori - Tema: William Saroyan

Leggendo William Saroyan, mi è venuto da pensare alla letteratura e al perchè della stessa. La letteratura non è un abito da mettere per le occasioni buone, non è un rolex da mostrare in società, non è uno status symbol. Gli scrittori professorini, seduti in cattedra, mi hanno sempre fatto abbastanza ribrezzo.

Saroyan (1908-1981) è un armeno cresciuto in America, cresciuto in orfanotrofio, che ha fatto lavori sporchi – tanti lavori sporchi – e che ha conosciuto il popolo da vicino. La gente comune, l’ignoranza, la stupidità se volete. Ma la gente vera, non gli arditi intellettuali che trancian pezzi e manuali e poi stremati fanno cure di cinismo. Saroyan conosce i sapori e gli odori della vita vera, conosce la città – sporca e puzzolente se volete. Conosce le giornate piegato in due a zappare, conosce la fame nera e i topi che ballano sul tavolo della miseria.


Da un po’ di tempo sto vivendo la mia personalissima Scoperta dell’America. Prima leggevo solamente francesi o italiani o russi o roba comunque che puzzava di intellettualismo a km di distanza. Gli autori dovevano essere pure mezzi filosofi, altrimenti non c’era gusto. Poi ho Scoperto l’America e tutto è cambiato.

L’America, questo immenso meraviglioso inquietante Esperimento Umano. L’America del meticciato a priori, delle bizzarre fusioni di culture, dei contrasti a prescindere. L’America pericolosa per forza di cose, rozza e bastarda per partito preso. Nessuna purezza, mi raccomando.

Nessuna terra offre più spunti narrativi dell’America. Tutti questi popoli ficcati lì dentro, tutte queste stratificazioni, tensioni pronte a esplodere. Gente diversa costretta a vivere gomito a gomito. Scontri, conflitti, inaspettate sintesi. Penso agli italiani terrorizzati dagli immigrati. Penso che non abbiamo visto niente.

E Saroyan intanto scrive. Racconta le piccole cose che vede, le sue intuizioni, mette su carta il sudore, gli umori, la vita vera. Il realismo, la semplicità della scrittura, il suo incedere biblico, l’assolutezza che ha fatto impazzire Vittorini (che lo ha tradotto e lanciato in Italia).

Saroyan – scrive infatti, nel ’42 – non ha fatti da narrare, situazioni da svolgere, ma cose da dire, e i personaggi non lo interessano che come simboli delle cose che ha da dire. La sua ispirazione è lirica. La sua composizione è uno sfogo lirico”.

E temi universali, come la terra lontana. L’emigrazione che è condizione di vita, la nostalgia per un popolo che quasi non esiste più, quasi annientato dai rivolgimenti storici. L’irraggiungibilità da una Terra Promessa che è simbolo di una vita autentica, giusta, felice. 
Una condizione universale, in America. Dove tutti sono immigrati. Nessuno è a casa. 




E l’utopia finale. L’utopia di un uomo che sia libero dalle contingenze. Dallo spazio e dal tempo. Dalla storia. Da nostalgie, popoli e Terre Promesse. Un uomo che sia autosufficiente, che affronti l’ambiente sociale, le forzature storiche, da pari a pari. “Voglio ricondurre – scrive Saroyan – l’uomo a se stesso: trarlo fuori dalla folla e restituirlo al proprio corpo e alla propria anima, alla cronaca verace del genere umano. Voglio che sia se stesso”.



NF


Citazioni da William Saroyam:

Tornando da scuola Clarence aveva sognato avventure, e sentito con malinconia come tutto fosse stupido nella sua vita, e aveva dato calci ai ciottoli lungo il marciapiede e la strada sognando avventure e soffrendo di essere un piccolo ragazzo che doveva andare a scuola ogni giorno e non poteva mai fare nulla di grande.

La signorina Gamma diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli, mia madre diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli, mio fratello Krikor diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli; tutti volevano che andassi a tagliarmi i capelli…
Ero contento che tutti ce l’avessero con me per i miei capelli, ma un giorno un passero cercò di farsi il nido nella mia testa; così corsi da un barbiere.

Che ve ne sembra dell’America?”, 1970

9 commenti:

  1. “Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India; o di lino, pianta originaria del vicino Oriente; o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato nel vicino Oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane, entrambe di data recente. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani. Tornato in camera da letto, prende i suoi vestiti da una sedia il cui modello è stato elaborato nell’Europa meridionale e si veste. Indossa indumenti la cui forma derivò in origine dai vestiti di pelle dei nomadi delle steppe dell’Asia, si infila le scarpe fatte di pelle tinta secondo un procedimento inventato nell’antico Egitto, tagliate secondo un modello derivato dalle civiltà classiche del Mediterraneo; si mette intorno al collo una striscia dai colori brillanti che è un vestigio sopravvissuto degli scialli che tenevano sulle spalle i croati del XVII secolo. Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell’India del Sud, la forchetta ha origini medievali italiane, il cucchiaio è un derivato dell’originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l’idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti, secondo una tecnica scandinava, con il frumento, originario dell’Asia minore.
    Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera delle sedie e fuma, secondo un’abitudine degli indiani d’America, consumando la pianta addomesticata in Brasile o fumando la pipa, derivata dagli indiani della Virginia o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille, attraverso la Spagna. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano”.

    Ralph Linton

    Bel post!
    FO

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se invece accende la TV e becca Dallas o Dynasty, beh, tutto il mondo può andare a farsi una sega, finalmente una bella boccata di americanità.
      Gd

      Elimina
    2. Bene, il 4 luglio tutti a casa tua per mangiare il tacchino ripieno?

      Elimina
    3. vegano disinformato, il tacchino per il giorno del ringraziamento.. il 4/7 pollo fritto
      gd

      Elimina
    4. Vegano informato...non mangio neanche quello!

      Elimina
  2. “The purpose of writing is both to keep up with life and to run ahead of it. I am little comfort to myself, although I am the only comfort I have, excepting perhaps streets, clouds, the sun, the faces and voices of kids and the aged, and similar accidents of beauty, innocence, truth and loneliness.”


    “The greatest happiness you can have is knowing that you do not necessarily require happiness.”


    “I took to writing at an early age to escape from meaninglessness, uselessness, unimportance, insignificance, poverty, enslavement, ill health, despair, madness, and all manner of other unattractive, natural and inevitable things.”

    ― William Saroyan, My Heart's in the Highlands

    RispondiElimina
  3. post molto bello, ma che l'uomo sia se stesso, la vedo una cosa veramente difficile.
    llg

    RispondiElimina
    Risposte
    1. al voler essere sè stessi preferisco l'idea heideggeriana di uomo come progetto gettato
      gd

      Elimina