Era nervosa Sof'ja. Nervose le dita che stringeva in quella mano destra,
a scavare tra i solchi incalliti. Tutto quel tempo a scrivere, trascrivere,
disumana passione che l'aveva ammazzata. Alla morte l'aveva portata, non
sorrideva più. Guardava dalla finestra e non sorrideva da tempo. Solo le
sopracciglia aggrottava e silente aspettava ancora che tornasse a casa quel
disgraziato. L'aveva consumata, contessina a modo che era, tutti gli studi
aveva fatto, un talento era. Tutti glielo dicevano. Libera era e tanto sveglia
quanto quella stupida di sua madre. E c'era cascata pure lei, che tra quei modi
garbati, che anche se gli mancavano i denti, parlava bene. Come parlava bene.
Maledetta cretina quel maledetto giorno in cui avrebbe potuto serbarlo in seno
quel racconto, tra le pieghe profumate dell'abito non l'avrebbe imbarazzata
spedendola al manicomio tra gli elogi di lui. Ma che voleva? Aveva bruciato
tutto Sof'ja. Al diavolo le sue manie passate che non l'avrebbero portata a
nulla di buono. Non affermava né negava pentimento neanche quando quel porco le
faceva leggere i suoi diari. Avrebbe dovuto capirlo, lo aveva capito già in
quei pochi giorni di fidanzamento: una settimana angustiante, la madre, il
corredo e la sua fretta. Perché quella fretta aveva lui? Quella smania di tormentarla.
Non se lo chiedeva più e ripensava a quel terribile giorno della felicità degli
altri. L'angoscia fino a quella casa, tanto bella da soffocare. Ringhiava ancora
di rabbia a leggere di soppiatto i diari di quel maledetto porco. Pure un
figlio da quella popolana, quell'incubo. A pezzi lo faceva, ma quanta amarezza
ancora non le lasciava pace in notti turbolente di lavoro disperatissimo,
niente a che fare con bambole e dissolutezze. Per lui, e chi altri? Grande,
grande, maledetti all'inferno lui, la cuoca, i dispiaceri che dava alla vista
quella maledetta trave che lo lusingava diceva. E lo aveva anche reso felice,
gli aveva dato dei figli, vivi, morti, cosa importava più? Non gli bastava
niente, insaziabile era, lo diceva lui, mentre lei rimaneva china e pettinata a
correggere e cancellare, sederglisi ai piedi, piangere in silenzio mentre tutti
li festeggiavano e cosa ne sapevano. Ricopiare e trascrivere. E lui e il popolo
e le solitudini alle quali la legava. Che si fosse dedicato anche un poco alla famiglia
quando nessuna costrizione era malsana se non per lei e Platone e Seneca che
non avevano sollevato che un grugnito dal divano in cui giaceva, l'amore solo
alle popolane e a chissà chi altri. Tutto il resto del mondo ai piedi come lei.
Grugniva come il porco qual era. Altro che devozione. L'avrebbe ammazzato col
veleno che lui l'accusava di tenere in corpo, che coraggio. Stringeva i pugni
Son'ja dietro quella finestra fiammeggiava intorno, davanti e dietro. A
diventar vessillo del femminismo di poi a seni in fuori e giornaletti glamour.
Non era valso a niente, polvere
sui tomi in biblioteca. Neanche a saperlo dire, maledette troie con le loro
pillole contraccettive. Non lo sapeva dire lei che non ne aveva usate mai di
quelle parole, solo serpi germogliavano tra le fiamme e anatemi sgraziati al
frutto del suo seno e ancora avanti. Era viva l'alba accesa di cenere e
contraddizione, come mai aveva voluto, un sorriso stanco si spense sulle sue
vesti d'infamia.
CB
sette volte glielo fece ricopiare. 140.000 pagine a volta...
RispondiEliminaCB, io rimango impressionato dale cose che scrivi...
RispondiEliminaGD
CB leggerti e shokkante, ma in senso positivo!
RispondiEliminabò. grazie.
RispondiEliminaCB
che poi trasformare Sonata in Sonata elidendo una "a".. azz, ci pensavo stanotte...
RispondiEliminaCB for president!
GD